Cinque semplici trucchi per non farsi dire dai genitori che si sta troppo tempo al computer

In teoria sembra tutto facile. Anche parlare ad un gruppo di pre-adolescenti (traduco: gruppo di ragazzini di 12 /13 anni) di dipendenza da internet. In teoria dicevo, però, perché quando un adulto si rivolge ad un pubblico di quell’età il rischio è sempre quello di far la parte dell’insegnante/genitore che ammonisce, e loro di ammonizioni ne hanno già abbastanza.

Mi sono fatta allora un esame di coscienza.
Io, che lavoro sul web e con il web, cosa ho imparato dalla mia esperienza?  Non ho rischiato io stessa di abusarne, fino a perdere il senso del tempo, ad utilizzare male le mie energie e anche a scivolare in comportamenti compulsivi, come verificare la posta due secondi dopo avere aperto gli occhi al mattino (e a volte senza neanche averli aperti del tutto?)
Come ha ben spiegato durante l’incontro di Firenze di NavigareSicuri il professor Federico Tonioni, che lavora nell’ambulatorio dedicato all’Internet Addiction Disorder del Policlinico Gemelli di Roma, tra l’abuso e la dipendenza vera e propria c’è comunque un confine, che però bisogna evitare di superare grazie alla prevenzione e ad una sana consapevolezza.

Fino a qua ci siamo.
Ma come si fa a capire qual è il confine, convincersene, convincere i nostri figli e trovare una soluzione alternativa e condivisa? Non è facile, io stessa mi ritrovo a sgolarmi più volte al giorno dicendo  le cose orrende che dicono tutti i genitori, tipo basta con quel computer, ora spegni, esci, hai fatto i compiti? Prima ti rifai il letto e poi giochi.
Da questa auto-osservazione antropologica ne ho tirato fuori qualche spunto, ad uso dei ragazzi in primo luogo, e dei genitori per diretta conseguenza.

Si tratta di semplici trucchi per non farsi urlare dietro, stare on line in santa pace, e crescere bene lo stesso (e anche meglio).

1. Il primo trucco si chiama la giustificazione del “lo faccio per lavoro”. Io per lavoro mando mail, chiacchiero su FB, mando tweet e mi esalto per un like. “Fanno come le ragazzine” ha detto un tipetto sveglio seduto dietro me e Jolanda, vedendoci smanettare sui cellulari. Giustificarsi con i propri genitori del fatto che c’è gente che sta su FB per lavoro può zittirli per un po’, fino a quando ti chiedono schifati “ma che razza di lavoro è?”. E come dargli torto?. Hanno ragione almeno quanto ne hanno i miei figli quando mi impongono di alzarmi dalla sedia ed andare a tavola a mangiare, che si è fatta una certa.

2. Il secondo trucchetto consiste nel provocare nel genitore una profonda immedesimazione col nativo digitale, ricordandogli le storie che gli venivano fatte quando passava ore al telefono il pomeriggio. Anche questo però è un trucco a tempo determinato (massimo 10 minuti). Il genitore tipo infatti tende a rimuovere questi ricordi sgradevoli e poi nessuna generazione è riuscita a considerare davvero normale e degna di stima quella l’ha seguita.

3. Il terzo consiste nel trovare un codice condiviso per gli stadi di reciproca insofferenza. Si può avere un livello uno per “ok, hai aperto Fb ma hai da fare storia e matematica, mi raccomando”, un livello 2 per “ti do ancora un quarto d’ora e poi se non chiudi quell’affare comincio ad innervosirmi”, e un livello 3 per “chiudi immediatamente altrimenti vengo lì e ti spacco la tastiera (o ti levo il cellulare per sempre)”. Non risolve il problema ma almeno evita le frasi tipo “questa casa non è un albergo”  che ogni volta che le pronunci ti escono 20 nuovi capelli bianchi.

4. Il quarto si chiama trucco del pomodoro. L’ho imparato da gente più brava ed esperta di me. Consiste nel darsi un tempo per le cose, facendosi aiutare da un timer da cucina (magari proprio a forma di pomodoro) o da una sveglia. Basta che suoni però, ricordandoci che abbiamo mezz’ora per fare i compiti, almeno i più importanti, prima di dedicarci a quello che ci piace davvero.

5. Il quarto, più difficile, consiste nell’acquisire coscienza dei propri stati d’animo. Se dopo aver passato qualche ora su internet ci sentiamo carichi, con idee e voglia di fare, è tutto ok, ma quando cominciamo a non avere più voglia di fare niente, ci sentiamo stanchi e svogliati, ci sembra di non aver scambiato niente con gli altri e non abbiamo neanche voglia di farlo, allora vuol dire che qualcosa non va. Che nella nostra giornata ci è mancato qualcosa. Non si tratta di eliminare internet, ma di trovare fuori da lì le risposte ai nostri malesseri. Diamoci una scrollata e usciamo, cerchiamo interessi diversi, reali e non virtuali.

L’ultimo trucco invece riguarda i genitori. Quella che stiamo vivendo è una rivoluzione antropologica. La possibilità di scambiare informazioni ed emozioni in modo così rapido e virtuale ci pone davanti a delle sfide. Capire come comportarsi attingendo solo alla nostra esperienza non basta, come non basta dare limiti. Non sarà un maggior controllo o clausole sul tempo a risolvere ogni cosa. La cosa più importante è mantenere un contatto costante con i ragazzi, che in questa fase devono allontanarsi, entrare in conflitto ed in confronto polemico con noi, ma hanno bisogno di far ritorno al nido (anche se solo quando vogliono loro, questo è chiaro).
Accompagnarli a questa età non vuol dire guidarli mano nella mano, ma camminare a debita distanza, con occhi e orecchie attente, pronti a meravigliarsi di tutto quello che sono, al di là di ogni nostra immaginazione.

Anna Lo Piano

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