Rosa di dicembre

Ecco la fiaba che Cristina ha scritto per la sua piccola Elisabetta (5 ottobre 2002).

C’era una volta un giardino che si stendeva intorno a una magnifica villa, nella quale viveva una bambina. Questo giardino era motivo di gioia per la piccola, che amava trascorrervi lunghe ore camminando tra i vialetti e gli alberi, ammirando i fiori e scrutando curiosamente tra l’erba e il fogliame, alla ricerca di piccole forme di vita: quando una farfalla si alzava in volo o una coccinella le correva sulla manina, oppure quando una lucertola le attraversava sfrecciando la strada, la bimba si entusiasmava e sgranava i grandi occhi con rapito stupore.
Il roseto era la parte più preziosa del giardino e l’angolo prediletto dalla bambina: negli assolati pomeriggi estivi, ella si soffermava all’ombra delle rose, ne sfiorava delicatamente i petali e si riempiva le narici del loro dolce profumo.
Anche il superbo roseto, però, doveva sottostare ai colpi inferti dalle piogge e dal freddo dell’autunno e dell’inverno: i rami sfiorivano e perdevano il manto variopinto e profumato, rimanevano spogli e si stagliavano secchi e spinosi contro il cielo. Eppure, proprio in uno di questi gelidi inverni, per qualche inspiegabile miracolo tra gli arbusti fece capolino un timido bocciolo rosso. Quel pomeriggio la padroncina del giardino si aggirava tra i vialetti, un po’ annoiata perché l’inverno offriva poche possibilità di fare scoperte interessanti. Immaginatevi quindi la sua sorpresa quando, avvicinandosi al roseto prediletto, vide quella piccola nota di colore. Il suo giubilo era alle stelle. Poiché quel giorno era il 7 dicembre, la bimba chiamò il bocciolo “rosa di S. Ambrogio”.
Accanto al roseto si trovavano anche una quercia e un pino, che nel giardino dimoravano da tempo immemorabile e che avevano visto innumerevoli generazioni di rose crescere e appassire, stagione dopo stagione. Quel ciclo di vita e di morte era per loro naturale e lo accettavano imperturbabili, senza scomporsi, con pacata e serena dignità. Ma una rosa rossa in pieno inverno, questo proprio no, non l’avevano mai visto. Forse per questo motivo provarono subito un sentimento di grande affetto per la piccola rosa, nata per chissà quale casuale prodigio. Cominciarono così a circondarla di mille attenzioni e a seguirla con amorevole dedizione, fin dai primi giorni di vita.
Insieme, la quercia, il pino e la piccola rosa di dicembre trascorsero molti mesi sereni. La quercia e il pino si chinavano sulla rosellina per coprirla con le loro folte fronde e riscaldarla durante il sonno, la cullavano e le cantavano dolci melodie al suono del vento che fischiava tra i loro rami. La proteggevano dalle intemperie e dai pericoli, le assicuravano nutrimento e non le facevano mancare nulla. La divertivano solleticandola con le ruvide foglie e lei li ripagava con le sue risate argentine. A poco a poco, i due alberi le insegnarono a conoscere tutti gli abitanti del giardino: le presentarono le altre piante, gli animali, i fiori, tutto quel piccolo mondo pulsante. La rosellina cresceva così forte e serena, sicura di poter contare su un affetto dalle solide radici. Da piccolo e timido bocciolo qual era, si trasformò in una fulgida, superba rosa dai petali vellutati e dal profumo inebriante.
Un giorno la padroncina del giardino si avvicinò al bocciolo e pronunciò queste parole:
– Cara rosellina, io devo lasciare questa casa e trasferirmi in città per andare a scuola. Non voglio però perderti e quindi non ti lascerò qui: ordinerò al giardiniere di trapiantarti in un vaso e ti porterò con me. Tutte le estati torneremo qui a trascorrere le vacanze e così potrai rivedere il giardino in cui sei nata.
A queste parole la rosa di dicembre si sentì colmare di febbrile eccitazione:
– Un viaggio! Che bello! Vedrò il mondo, conoscerò tante persone interessanti, farò un sacco di cose…
La quercia e il pino si guardarono intristiti: la loro piccola rosa stava dunque per andarsene per la sua strada e lasciarli. Il pino fu il primo a farsi coraggio e disse alla quercia:
– Non essere triste, vecchia quercia: la nostra piccola rosa ci avrà sempre nell’anima e, ovunque andrà, serberà sempre il nostro ricordo. Noi abbiamo solo potuto mostrarle il mondo, ma adesso spetta a lei esplorarlo e farne esperienza.
La quercia abbozzò un sorriso e rispose:
– Caro vecchio pino, hai ragione. La nostra piccolina è diventata una meravigliosa creatura e non sarebbe giusto privare il resto del mondo del diritto di godere della sua presenza. Non dobbiamo smorzare l’entusiasmo della nostra rosellina con la malinconia. E poi, la vedremo ogni anno al sopraggiungere dell’estate.
Fu così che la piccola rosa di dicembre, grazie all’amore di due grandi alberi, giunse a piena fioritura e fu pronta a lasciare il luogo natio per avventurarsi nel viaggio della vita. Qualche volta, però, avvertiva forte la nostalgia di chi l’aveva cresciuta con tanto amore: i suoi petali si imperlavano allora di gocce, e nessuno seppe mai se era solo la rugiada mattutina o se qualche lacrima era sgorgata dalla corolla.

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