Il numero nove

Ecco la fiaba di papà Fabrizio (11 giugno 2004).

Il numero nove segnava le ore.
No, non ci allarghiamo: segnava un’ora precisa, e precisamente le nove precise. Questo per essere precisi. Più o meno.
Teneva molto al suo lavoro: era lui a mandare a letto i bambini che abitavano in quella cameretta, proprio alle nove. Aveva a disposizione solo la lancetta corta, per segnare le nove: quella lunga, nei momenti importanti, stava sempre sul dodici, chissà perché.
Quando la lancetta corta passava accanto al numero nove, lui la salutava, e poi arrossiva un poco. Perché sapete, il numero nove la vedeva tutti i giorni, e la salutava tutti i giorni, e le chiedeva “Faticoso il giro oggi?”. E giorno dopo giorno, il nostro numero nove, con la sua pancia all’insù, se ne era, insomma, innamorato. E anche alla lancetta corta girava un po’ la testa a parlare con il numero nove. Anche più di quanto non le girasse tutto il giorno, per via del suo lavoro.
Ma lei era corta, e lui era lontano da lei, anche se di poco. Non potevano mai tenersi per mano.
E tutto sarebbe rimasto per sempre così, se non fosse capitata, un anno, un’estate molto, molto calda.
Durante quell’estate, i gelati erano assai contenti, perché non erano i soli a sciogliersi, finalmente. Si scaldavano e fondevano le vernici delle panchine, i signori e le signore molto grasse, ogni sorta di budini; i computer ronzavano e sbuffavano più del solito e il mondo sembrava un termosifone.
L’orologio, quell’estate, aveva il vetro che sudava. E dietro il vetro, figuratevi coloro che lavoravano per segnare le ore: lancette, numeri, tacche grandi e piccole…
Il numero nove, una sera, iniziò ad accorgersi che la colla che lo teneva attaccato all’orologio si stava sciogliendo. Sarebbe caduto di lì a poco. Alle nove meno venti, era appeso per mezzo di due minuscoli fili di colla al quadrante dell’orologio e penzolava. Alle nove meno un quarto, uno dei due fili di colla si staccò, e alle nove meno tre secondi si staccò anche l’altro.
Il numero nove stava precipitando. Non sapeva esattamente dove, ma erano esattamente le nove. (E non chiedetemi rime nuove). E alle nove, come sempre, passò davanti a lui, stavolta preoccupatissima, la lancetta corta.
Lei cercò di allungarsi il più possibile, ma era solo un’illusione (corta era e corta rimaneva…). Il numero nove, invece, che si era ormai spostato dalla posizione originale, si appese alla lancetta all’ultimo momento, con la sua zampetta.
“Credo… che tu mi abbia salvato la vita”, disse lui.
“Non saprei, comunque ti offro un giro di giostra”, rispose lei.
E girarono insieme, lui appeso a lei, per nove ore esatte, lungo tutto il quadrante dell’orologio. Lei era raggiante. Lui poteva star tranquillo: appeso così al contrario, era camuffato da sei e non lo riconosceva nessuno. Ridevano tutti e due e ballavano al ritmo del tic-tac.
I bambini quella notte non andarono a dormire: le nove non erano arrivate. Ballavano e ridevano anche loro.
Alle sei del mattino, la lancetta corta si trovò esattamente a testa in giù e lasciò cadere dolcemente il numero nove, che nel frattempo si era addormentato felice. I bambini, nel medesimo istante, crollarono addormentati.
Papà, il giorno dopo, incollò nuovamente il numero nove sul quadrante dell’orologio, e i due tornarono a fare più o meno la stessa vita di prima, sorridendosi ogni dodici ore. Ma aspettando buone notizie dal termometro.

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