I capelli del gigante

Gianni Rodari

Tratto da "Favole al telefono" - Edizione Einaudi. Tutte le sere un viaggiatore di commercio telefonava a sua figlia e le raccontava una storia...

capelli del gigante

Leggiamo insieme: I capelli del gigante di Gianni Rodari

Una volta c’erano quattro fratelli. Tre erano piccolissimi, ma tanto furbi, il quarto era un gigante dalla forza smisurata ma era molto meno furbo degli altri.

La forza ce l’aveva nella mani e nelle braccia, ma l’intelligenza ce l’aveva nei capelli. I suoi furbi fratellini gli tagliavano i capelli corti corti, perchè restasse sempre un po’ tonto, e loro stavano a guardarlo e intascavano il guadagno.

Lui doveva arare i campi, lui spaccare la legna, far girare la ruota del mulino, tirare il carretto al posto del cavallo, e i suoi furbi fratellini sedevano a cassetta e lo guidavano a suon di frusta.

E mentre sedevano a cassetta tenevano d’occhio la sua testa e dicevano:
“Come stai bene con i capelli corti”.
“Ah, la vera bellezza non sta mica nei riccioli.”
“Guardate quel ciuffetto che si allunga: stasera ci vorrà un colpetto di forbici”.

Intanto si strizzavano l’occhio, si davano allegre gomitate nei fianchi e al mercato intascavano i soldi, andavano all’osteria e lasciavano il gigante a fare la guardia al carretto.

Da mangiare gliene davano abbastanza perchè potesse lavorare; da bere poi, gliene davano ogni volta che aveva sete, ma solo vino di fontana.

Un giorno il gigante si ammalò. I suoi fratellini, per paura che morisse mentre era ancora buono a lavorare, fecero venire i migliori medici del paese a curarlo, gli davano da bere le medicine più costose e gli portavano la colazione a letto.

E chi gli aggiustava i cuscini, chi gli rimboccava le coperte. E intanto gli dicevano:
“Vedi quanto ti vogliamo bene? Tu dunque non morire, non farci questo torto”.

Erano tanto preoccupati per la sua salute che si dimenticarono di tener d’occhio la capigliatura. I capelli ebbero il tempo di crescere lunghi come non erano mai stati e con i capelli tornò al gigante tutta la sua intelligenza. Egli cominciò a riflettere, a osservare i sui fratellini, a sommare due più due e quattro più quattro. Comprese finalmente quanto essi fossero stati perfidi, e lui tonto, ma subito non disse nulla. Aspettò che gli tornassero le forze e una mattina, mentre i suoi fratellini dormivano ancora, egli si alzò, li legò come salami e li caricò sul carretto.

“Dove ci porti, fratello caro, dove porti i tuoi amati fratellini?”
“Ora vedrete”.

Li portò alla stazione, li ficcò in treno legati come stavano e per tutto saluto disse loro:
“Andatevene, e non fatevi più rivedere da queste parti. Mi avete ingannato abbastanza. Adesso il padrone sono io”.

Il treno fischiò, le ruote si mossero, ma i tre furbi fratellini se ne stettero buoni buoni al loro posto e nessuno li ha rivisti mai più.

 

 

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