Racchia Pernacchia e il papero mannaro
Francesca Capelli
Da “Io e il mio bambino – speciale 0-14” – Numero Giugno 2006 – Sfera Editore
Arianna era una bambina molto carina eppure nella sua classe la chiamavano Racchia. In realtà nessuno sapeva bene il perché. La colpa era di Fulvio Caroppo, un suo compagno, un tipo grande, grosso e prepotente che si divertiva a inventare soprannomi cattivi per tutti. A Caroppo piaceva terrorizzare gli altri bambini, soprattutto quelli piccoli, di prima e seconda. Perché era il più grosso di tutti e quando c’era da fare a botte aveva sempre la meglio. In più girava in compagnia di Timoteo e Ugo, altri due pesi massimi. Nessuno aveva il coraggio di mettersi contro di lui, men che meno di batterlo quando si giocava a calcio. A dire la verità, Caroppo era una vera schiappa, ma durante le partite gli lasciavano sempre fare goal, per paura di essere picchiati. Lui arrivava a un metro dalle porta, dopo aver preso a calci la palla e averla mandata in tutte le direzioni fuorché in avanti. E a quel punto tirava. Il portiere non faceva nemmeno finta di pararla, ma qualche volta non bastava, perché Caroppo prendeva il palo e doveva ritirare finché non riusciva a infilare la porta. L’unica che aveva il coraggio di non permettergli di fare goal in quel modo era Arianna, che a calcio era una scheggia, anche se era una femmina. Ad Arianna proprio non andava giù che uno vincesse non per bravura, ma perché era prepotente. Così, si era messa in testa di non dargliela vinta, a quel ciccionazzo di Caroppo. E quando giocavano lo batteva sempre, anche se lui le mollava certi calci nella gambe che le venivano pure i lividi, ma Arianna stringeva i denti e via, con Caroppo che stava lì a rodersi – che anche i suoi amici lo prendevano in giro – e intanto pensava come vendicarsi.
L’occasione arrivò un giorno, in un momento di debolezza di Arianna, che si era lasciata scappare una puzzetta, rumorosa certo, ma del tutto inoffensiva. Insomma una cosetta da niente che può capitare a tutti e chissà quante volte è successo anche a te. Però da quel giorno Caroppo si era messo a chiamare Arianna con un nuovo soprannome: Racchia Pernacchia. L’idea non era certo sua. Non si sa però chi gliela avesse suggerita, perché con Fulvio, Timoteo e Ugo, tra tutti e tre, non si faceva un cervello decente.
Arianna era offesa, certo, ma nemmeno quella cattiveria era riuscita a farle passare la grinta. Ma più lei se ne infischiava, più i tre prepotenti si incattivivano. Così si erano pure messi a rubarle la merenda e se non la trovavano di loro gusto se la prendevano con lei.
Arianna non sapeva più come difendersi. Era troppo orgogliosa per parlarne con i suoi genitori o con la maestra, anche se avrebbe fatto bene. Al tempo stesso però voleva che Fulvio Caroppo la smettesse. E così la sera, dopo aver spento la luce, si rigirava nel letto pensando che cosa avrebbe potuto fare. Una notte, mentre rimuginava al buio, le sembrò che qualcuno bussasse alla sua finestra. Siccome stava al sesto piano, pensò di esserselo sognato, invece il suono si ripeté. Incuriosita, Arianna uscì dal letto, si avvicinò alla finestra e vide un paio di occhi neri neri che la fissavano. Sopra gli occhi c’erano due sopracciglione folte, nere anche quelle. E sotto gli occhi, il corpo di uno strano volatile.
Arianna restò per qualche secondo a guardarlo, chiedendosi se non stava sognando, ma l’uccello stava colpendo con il becco il vetro, come per chiederle di entrare. Arianna aprì la finestra e l’animale con un salto si ritrovò nella stanza. A prima vista sembrava un grosso papero, ma Arianna vide subito che le sopracciglione non erano la sua unica stranezza. Sulla testa, oltre alle piume, spuntavano dei pelacci neri, anche le zampe erano pelose. Ma soprattutto, dal becco sporgevano due grandi denti canini.
L’uccello si inchinò davanti a lei: “Permettimi di presentarmi, sono Gennaro”.
“Gennaro chi?”, chiese Arianna.
“Come chi? Gennaro, il papero mannaro!”
“Un papero mannaro?”
“In persona”, disse Gennaro.
Arianna pensò che con quei canini poteva anche fare il papero vampiro, ma siccome era una bambina molto intelligente, tenne per sé quel commento.
Gennaro le spiegò che di giorno era un papero come tutti gli altri e nuotava con Lorella sua sorella nel laghetto del parco vicino alla scuola. Ma nelle notti di luna piena, si trasformava in papero mannaro e vendicava in bambini vittime delle prepotenze di altri ragazzi.
“E’ un po’ che ti osservo”, disse. “Giochi bene a calcio. Ma ho visto anche tutte le cattiverie che ti fanno quei tre ragazzi: Fulvio Caroppo, Timoteo e Ugo. Ultimamente, poi, ti rubano anche la merenda”.
Arianna rimase per mezzo minuto con la bocca spalancata.
“E tu come fai a sapere queste cose?”, chiese a Gennaro.
“Beh, sono un papero mannaro, no? Mi dà una mano anche Lorella mia sorella, che è mannara anche lei”.
Arianna era davvero molto impressionata, ma Gennaro le spiegò che non aveva molto tempo, doveva andare a casa di altri bambini, tra l’altro meno svegli di lei. E le bisbigliò in un orecchio quello che avrebbe dovuto fare per sistemare i tre bulli.
Il giorno dopo Arianna, mentre faceva colazione, prese il panino al salame, che la mamma le aveva preparato come merenda, e ci mise dentro, nell’ordine: pepe, peperoncino, senape, ketchup, zucchero, miele, sale, marmellata di prugne e di albicocche, dentifricio. Poi, come se niente fosse, rimise il panino nello zainetto e andò a scuola. Come sempre, appena entrata in classe, Fulvio, Timoteo e Ugo si buttarono sul suo zaino e le presero il panino. E durante la ricreazione lo divisero in tre parti (la più grande per Caroppo) per mangiarselo. Mentre masticavano tutti soddisfatti il primo morso, Arianna e gli altri compagni li videro diventare prima rossi, poi bianchi, poi verdi, che sembravano la bandiera italiana che stava all’ingresso della scuola. Poi si misero a tossire, a fare smorfie, a gridare per lo schifo e scapparono in bagno per non farsi vedere dagli altri. Che però avevano già capito tutto e si erano messi a ridere come pazzi.
Da quel giorno nessuno dei tre se la prese con Arianna. E tutti i suoi compagni, che non avevano più paura di Fulvio Caroppo, smisero anche loro di chiamarla Racchia Pernacchia. Ma la cosa più bella è che nessun ragazzo si comportò più da bullo, per evitare scherzi come quello (o peggiori).
Ogni tanto, la sera, Gennaro il papero mannaro vola ancora sul davanzale di Arianna e con il becco colpisce il vetro, come per chiederle se va tutto bene. Arianna accende la luce e lo saluta facendo ok con la mano, poi spegne, si gira dall’altra parte e si addormenta.