S’Orcu e il Professore
Alberto Melis
Una volta arrivato alle pendici del monte, per il professor Paolo Orano fu abbastanza facile individuare l’entrata della grotta.
Toc toc toc.
Si sentì il passo strascicato di due pantofole. Poi il portale in legno si socchiuse e una creatura gigantesca apparve sulla soglia.
– Sì?
– Buongiorno! E’ lei S’Orcu?
La creatura lo scrutò con uno sguardo diffidente.
– Chi le ha dato il mio indirizzo? – gli chiese.
– E’ stato un pastore di passaggio, nei pressi di Urzulei…
– Capisco… Prego si accomodi…
Paolo Orano seguì all’interno della grotta, che era arredata con pesanti mobili d’epoca. L’Orco gli indicò un ampio divano, si sedette vicino a lui e aggrottò le sopracciglia cespugliose. Non era bello a vedersi. Aveva i capelli folti e arruffati e una fitta peluria nera gli copriva il dorso delle mani.
– Cosa vuole da me?
Il professor Paolo Orano si scosse. Aveva appena notato un particolare curioso, l’Orco era leggermente strabico.
– Mi scusi – gli disse. – Le esporrò subito il motivo della mia visita. Sto eseguendo una ricerca per una pubblicazione intitolata “Semantica della diversità nelle fiabe: l’individuazione del diverso come atto fondante per un’identità condivisa”. Ovvero, in altre parole…
Il professor Orano fece una pausa. Gli sembrava che sul viso dell’Orco fosse comparso un moto di stupore.
– Ovvero, in altre parole… – continuò – sto cercando una fonte diretta che confermi la mia tesi: che l’individuazione dei cosiddetti “mostri” nella tradizione orale, svolgesse un ruolo squisitamente auto referenziale nell’espulsione e nella reclusione simbolica dell’Altro da se…
Il professor Orano fece un’altra pausa. Ora aveva l’impressione che il padrone di casa volesse dirgli qualcosa. E infatti l’Orco strabuzzò gli occhi strabici ed esclamò:
– Per Santa Genoveffa! Non ci ho capito un fico secco! Ma parla sempre così lei?
Il professor Orano arrossì e involontariamente il suo sguardo corse ai dorsi dei libri ordinatamente disposti su una mensola. L’Orco possedeva tutti i romanzi di Paolo Coelho. E su un tavolino vide una copia di Novella 2000 e un album di figurine di Wrestling.
Capì così di aver sbagliato approccio. Doveva parlare all’Orco con un linguaggio molto semplice. Quasi come se fosse un bambino.
– Mi perdoni… Quello che volevo dirle è che… E che a voi orchi la gente vi ha sempre trattati molto male! Sa, con tutte quelle fiabe in circolazione…
Il viso dell’Orco si allargò all’istante in un enorme sorriso.
– Davvero lei crede questo? – sussurrò, nei limiti in cui il vocione di un orco può sussurrare.
– Certo!
– Un attimo…
L’Orco scomparve dietro una porticina e tornò con due bicchieri e un bottiglione di vernaccia.
– Beviamo! – disse.
Il professor Paolo Orano sorseggiò un po’ di vernaccia e la trovò molto buona.
– Posso farle qualche domanda ora? – chiese all’Orco.
– Ma certo!
– Come ci si sente a vivere isolati da tutto e da tutti? Un po’ tristi vero?
– Tristissimi… – ammise l’Orco.
– Senza mai ricevere un invito, senza mai partecipare a una festa…
– Mai, mai…
– Scartati persino dal più derelitto degli uomini…
– Gia!
– Senza neanche un amico…
– Neppure uno…
– Additati come la feccia della società…
– Cosa vuol dire feccia?
– Come chi non conta nulla…
– Oh! Questo sì!
– Poveri orchi!
– Poveri noi!
– E tutti quei bambini spaventati da ciò che raccontavano gli adulti!
– Poveri bambini!
– E questo per che cosa? Per un semplice pregiudizio!
– Proprio così! – esclamò l’Orco. – Ma cosa vuol dire pregiudizio?
Il professor Orano allora spiegò in parole povere all’Orco il significato della parola pregiudizio. Gli disse che la gente si era convinta che gli orchi fossero creature poco raccomandabili solo a causa della loro diversità. Ovvero che a causa del loro aspetto un po’ rude – con rispetto parlando – ci si era convinti che fossero cattivi. Una convinzione certamente sbagliata, che però si era rinforzata a tal punto di generazione in generazione che gli orchi erano diventati degli spauracchi persino nelle fiabe!
Quando il professor Orano finì di parlare, lui e l’Orco avevano ormai scolato mezzo bottiglione di vernaccia. E l’Orco era così commosso, ma così commosso, che alcune lacrime grosse come acini d’uva gli avevano bagnato il viso.
Il professor Orano, che si sentiva girare un po’ la testa, pensò che fosse venuto il momento di tirare fuori dalla tasca il piccolo registratore che si era portato dietro. Era infatti sua intenzione, ora che si era guadagnato la fiducia dell’Orco, approfondire certi aspetti del suo pensiero.
– Vorrei farle un’altra domanda… – esordì, mentre l’Orco gli passava amichevolmente un grosso braccio intorno alle spalle. – Non ritiene che sia venuto il momento di dire a tutti che ciò che si raccontava nelle fiabe sugli orchi era profondamente sbagliato?
L’Orco fissò con gli occhi ancora umidi il registratore e singhiozzando disse:
– Non posso…
– Coraggio! Sì che può!
– Non posso… Davvero non posso…
L’Orco strinse forte a sé il professor Orano, che si commosse a sua volta per quella inaspettata manifestazione d’affetto.
– Vede… – continuò l’Orco tra un singhiozzo e l’altro. – Io vorrei dirglielo! Ma il fatto è che con tutto questo parlare, e con tutto questo bere, mi è venuto un certo languorino… E quando mi viene un certo languorino, io…
Questa volta il professor Orano non fece in tempo a dire né bò ne bà. Vide la gigantesca bocca dell’Orco che si spalancava e poi…
Gnam!
L’Orco gli divorò la testa e mezzo tronco in un solo boccone.
Poi si asciugò le lacrime e infilò quello che era rimasto del professore nel forno a microonde.
– Che stupido! – borbottò versandosi un altro bicchiere di vernaccia. – Non aveva capito che le fiabe dicono sempre la verità! E che noi orchi siamo davvero molto… molto cattivi!