Lo zingaro e il drago
Alberto Melis
tratto dal volume "Fiabe Zingare"
C’era una volta e ora non c’è più, un villaggio di contadini con centoundici case ma con un solo abitante. Tutti gli altri se li era mangiati un Drago che aveva preso a bazzicare da quelle parti. E siccome era un Drago buongustaio, prima aveva mangiato i bambini paffutelli, poi quelli mingherlini, poi le ragazze né troppo grasse né troppo magre (una vera manna per i draghi buongustai che le mettono in salamoia nelle notti di luna piena), dopo ancora gli uomini sotto i quaranta e di tutti gli altri aveva fatto marmellate, intingoli, ragù, conserve e salamini affumicati.
L’ultimo abitante del villaggio, un vecchio rinsecchito e curvo come un olivastro piegato dal vento, era stato invece risparmiato dal Drago. Fu proprio lui, il vecchio, non il Drago, che in una bella mattina di primavera vide arrivare nel villaggio un magnifico cavaliere in groppa a un possente cavallo. Be’, non era proprio un magnifico cavaliere in groppa a un possente cavallo. Era solo uno zingaro alto un tappo di bottiglia e un palmo in groppa a un asino spelacchiato e dalle zampe tozze.
Ma siccome il vecchio ci vedeva meno di una talpa cieca e senza occhiali lo accolse con tutti gli onori del caso.
– Era ora – disse – che un prode cavaliere venisse a vendicare i poveretti uccisi da quel maledetto Drago!
Prima ancora che lo zingaro smontasse dal suo asino gli raccontò così e cosà della sua povera moglie, dei suoi due figli, dei suoi quattro nipoti e dei suoi otto pronipoti finiti chi nella pancia del Drago, chi nella sua dispensa sotto forma di marmellate, intingoli, ragù, conserve e salamini affumicati. A sentirlo parlare in quel modo, allo zingaro, venne una gran voglia di darsela a gambe. Ma siccome aveva anche una gran fame (non grande come quella del Drago ma nemmeno tanto più piccola), fece due più due quattro e chiese al vecchio se avesse qualcosa da mettere sotto i denti.
– Sono un po’ stanco per il lungo viaggio – disse – e ho bisogno di rimettermi in forze, prima di affrontare la battaglia. Se mi dai un po’ di pane e mezza forma di ricotta, lo concerò di sicuro per le feste, il tuo Drago. Si fosse morsicato la lingua, il prode cavaliere, prima di dire quelle parole!
Perché il Drago, che aveva l’udito fino, non ci pensò due volte a lasciare la comoda dimora che aveva costruito in cima alla montagna lì vicina, per venire a vedere chi era quello sbruffone che voleva sfidarlo in battaglia. Lo zingaro così non fece in tempo a mettersi in bocca neppure un pezzetto di pane, che si ritrovò davanti quell’essere mostruoso, con tanto di artigli, scaglie, code a
pungiglione, narici fiammeggianti e tutto il solito armamentario che un drago si porta dietro quando sente puzza battaglia.
– Saresti tu, soldo di cacio, il temerario che vuole sfidarmi? – chiese il Drago allo zingaro, con un ghigno in bocca per niente bello a vedersi.
– Credi forse di essere più forte di me?
Lo zingaro, vista la mala parata, capì che in mancanza di muscoli doveva usare il cervello.
– Certo! – rispose. – E sono così arrabbiato che non so cosa potrei fare, con queste mani!
– Con quelle mani? – si stupì il Drago. – Di certo non riusciresti a fare ciò che ora farò io…
Afferrò con i suoi artigli una grossa pietra e stringendola la ridusse in polvere e frantumi.
– Tutto qui? – borbottò lo zingaro. – Mi sarei aspettato qualcosa di più da un Drago grande e grosso come te. Io dalle pietre faccio sgorgare l’acqua!
Lo zingaro sollevò la mezza forma di ricotta e la strinse facendone sgorgare tutto il siero.
Di fronte a quella straordinaria forza della natura il Drago si ammutolì. Perché anche se non tutti lo sanno, sotto sotto, i Draghi, non sono mica tanto coraggiosi. Non almeno davanti a un diavolo di zingaro che riesce a far sgorgare l’acqua dalle pietre. Così ora venne il suo turno, di fare due più due quattro.
– Per le narici fiammeggianti di mio bisnonno! Tu sei forte quanto me – convenne. –
Perciò da questo momento diventeremo fratelli. Io sarò il fratello minore e tu sarai il fratello maggiore.
Detto questo il Drago si caricò sulla groppa lo zingaro e il suo asino e li condusse in volo sino alla sua dimora in cima alla montagna.
– Mentre io accendo il fuoco – disse il Drago al fratello maggiore – tu vai nel recinto dei buoi, scegli il più grosso, caricatelo sulle spalle e portalo qui per la cena.
Lo zingaro si diresse verso il recinto dei buoi e il Drago, quando vide che non si decideva a tornare, lo raggiunse e lo trovò indaffarato a legare con una grossa fune tutti i buoi della mandria.
– Cosa fai? – gli chiese un po’ stupito.
– Cosa faccio fratellino? – rispose lo zingaro. – Lego una cinquantina di capi e me li carico sulla schiena tutti in una volta, ci basteranno almeno per un mese…
“Accidenti che tipo!”, pensò il Drago. E dopo averlo pregato di lasciar perdere prese lui un bue, lo portò dentro casa, lo scuoiò e lo infilzò con lo spiedo.
– Per favore – chiese ancora allo zingaro – mentre la cena cuoce vai nel bosco, prendi una quercia bella grossa, caricatela sulla schiena e portala qui, perché la provvista di legna forse non basterà.
Ma aspetta aspetta, quando vide che lo zingaro non si decideva a tornare, il Drago lo raggiunse nel bosco e lo trovò indaffarato a legare le querce l’una all’altra con una grossa fune.
– Cosa fai? – chiese ancora una volta.
– Cosa faccio fratellino? – fece finta di stupirsi lo zingaro. – Lego tutto il bosco e me lo carico sulle spalle, così la provvista di legna ci basterà almeno per un mese…
“Per la miseria!”, pensò ancora una volta il Drago, “Non ho mai conosciuto un uomo così forte!”.
E dopo averlo supplicato di lasciar perdere sradicò lui stesso una grossa quercia, la portò a casa e con qualche colpo ben assestato ne fece tanti ciocchi pronti a bruciare nel fuoco.
– Ti prego – disse ancora allo zingaro – mentre la cena cuoce vai al pozzo e porta un po’ d’acqua.
Così dicendo gli fece cenno di prendere la pelle del bue appena scuoiato, perché lui la usasse come otre.
Ancora una volta lo zingaro, che riusciva a malapena a sollevare la pelle del bue vuota figuriamoci piena, fece di testa sua e con una grossa fune cominciò a legare il pozzo.
– Cosa fai ancora? – gli chiese il Drago dopo averlo raggiunto.
– Lego il pozzo e me lo carico sulle spalle, fratellino, così avremo una provvista d’acqua che durerà per sempre.
– Ti prego, lascia perdere – lo supplicò il Drago. E riempita d’acqua la pelle del bue la portò lui stesso dentro casa e servì la cena.
Lo zingaro però, per tutta la cena, non fece altro che sospirare e mangiò appena un tocco di carne.
– Cosa ti preoccupa, fratello mio? – gli chiese il Drago.
– Cosa mi preoccupa? – fece di rimando lo zingaro. – Mi preoccupa che non ti va bene niente, di quello che faccio. Ho una gran voglia di tornare a casa a vedere i miei figli, invece di stare a perdere tempo qui con te!
Il Drago ci pensò un po’ su e decise che era meglio non contrariare un uomo così forte da volersi caricare sulle spalle un’intera mandria di buoi, un bosco di querce e un pozzo.
Perciò prese di nuovo sulla groppa lo zingaro e il suo asino spelacchiato e li portò sino a una piccola radura, nella quale spiccava una sola tenda storta e malmessa, dalla quale subito uscirono cinque o sei bambini.
– Che bello! Che bello! – esultarono tutti insieme. – Papà ci ha portato un Drago!
– Come mai sono così contenti di vedermi? – si meravigliò ancora una volta il Drago.
– Cosa vuoi fratellino – sospirò lo zingaro. – Sono bambini sani e hanno sempre un grande appetito. Ho paura che credano che ti abbia portato qui per la colazione di domattina.
– Per la colazione di domattina?
– Sì, fratellino. Credono che sia tu, la loro colazione…
Fu così che il Drago della Montagna, dopo aver fatto due più due quattro, in quattro e quattro otto spiccò in volo con quanta forza aveva nelle ali e fuggì da quei pazzi che per colazione mangiavano draghi. Per sicurezza abbandonò anche la sua dimora sulla montagna e si trasferì da un’altra parte del mondo. E chi lo conobbe giura che sino a quando visse si tenne alla larga da tutti gli zingari. Specialmente da quelli alti un tappo di bottiglia e un palmo ma con un cervello fino.
(per gentile concessione della Casa editrice Condaghes)