Il re porcaro

Guido Gozzano

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Leggiamo insieme: Il re porcaro di Guido Gozzano

Un Re di nome Alberto aveva tre figlie belle come il sole. Si chiamavano Chiaretta, Doralice e Lionella. Avvenne che il Re, rimasto vedovo, riprese moglie e cominciò per le tre fanciulle una triste esistenza. La matrigna si chiamava Selene; gelosa dell’affetto immenso che il Re aveva per le figlie, si consigliò con una fattucchiera. “Vorrei una fattura che le facesse odiare dal padre, per sempre”. La strega meditò a lungo, poi le disse di portarle tre capelli delle tre principesse.

La matrigna ritornò a palazzo e la mattina seguente entrò sorridendo nelle stanze delle tre principesse, mentre le damigelle ne pettinavano le chiome fluenti. “Voglio insegnarvi un’acconciatura di mia invenzione”, disse e, pettinando le tre figliastre, entrò in possesso di tre loro capelli.
Poi ritornò dalla strega. La strega pose in un lambicco i tre capelli dorati e tre setole di scrofa, vi unì il succo di certe erbe misteriose e ne distillò poche gocce verdastre che raccolse in una boccetta. “Eccovi, Maestà. Le verserete nel bicchiere del Re. È la fattura dello scambio”.

Alla mensa regale, la Regina versò furtivamente nel calice del Re il filtro fatato e attese. Aveva appena bevuto che il Re stralunò gli occhi e si alzò accennando verso le figlie: “Chi ha messo tre scrofe al posto delle mie figliuole?” E alzatosi furibondo cominciò a spingerle e a inseguirle fino al porcile dove le rinchiuse. Dal porcile prese, invece, le tre scrofe chiamandole coi nomi delle figlie; poi le condusse a palazzo e le fece sedere a mensa, sui seggi delle tre principesse: “Povere figlie mie, chi vi fece l’onta di chiudervi là dentro?”. E le baciava amorosamente. Tutta la Corte era stupita, ma non disse niente per paura della reazione del sovrano.

Chiaretta, Lionella, Doralice passavano i loro giorni nel porcile fino al giorno in cui dovettero essere fatte salame. Ma i due macellai si impietosirono a sentirle piangere e le liberarono ai confini del regno. Rimaste sole e povere, in paese straniero, le tre principesse trovarono una modesta casetta in cui vivere.

Picchiava spesso alla loro porta un vecchio mendicante e sempre le sorelle gli donavano una scodella di minestra. “Grazie, figliole! Che mani da principesse!”. “Siamo principesse”, risposero loro e gli confidarono la loro storia.
“Povere figliole! Il Re vostro padre ha bevuto la fattura dello scambio!”. Così dicendo, trasse fuori dalla bisaccia un libricino di pergamena sgualcito e cominciò a sfogliarlo attentamente. “Contro la fattura dello scambio c’è l’acqua che balla, che suona, che canta; ma non si sa dove sia…”

Una sera Lionella disse: “Sorelle mie, io sono la primogenita. Partirò alla ricerca dell’acqua miracolosa!”. Passarono i giorni, le settimane, i mesi e Lionella non ritornava. Allora Doralice disse a Chiaretta: “Sorella mia, sono la secondogenita. Partirò domani”. All’alba abbracciò la sorella e partì. Chiaretta restò sola nella piccola casa deserta. Passò il tempo e Chiaretta decise di partire.

Cammina, cammina, cammina… Un giorno, passando sotto degli alberi, gli piombò in testa una lucertola con due code: “Son prigioniera… Liberami e ti ricompenserò!”, la supplicò. Chiaretta liberò le zampine dall’intrico dei legami sottili. La lucertola le diede una delle sue due code. “Ad ogni domanda ti risponderà”. Chiaretta contemplò a lungo il moncherino che s’agitava. “Coda, codina, sai dirmi dov’è l’acqua che suona, che balla, che canta?” E la coda girò nella palma della mano e si tese verso un punto dell’orizzonte come l’ago di una bussola. Chiaretta prese quella direzione.

Cammina, cammina, cammina, giunse in un paese lontano e arrivò ad un castello fatato, dove trovò l’acqua miracolosa. Tutto intorno, a perdita d’occhio, statue di marmo. Chiaretta fece per avvicinarsi all’acqua, ma la codina parlò: “Non toccare l’acqua fatata! Chi la tocca resta di marmo!”. Allora Chiaretta appese l’ampolla ad un filo, la calò e l’estrasse ricolma; poi la chiuse e la mise in tasca. Pensava al ritorno quando riconobbe in due statue le sorelle. Disperata, chiese aiuto alla codina, che la esaudì immediatamente.

Tornarono a casa e, camuffate da viandanti, si fecero accogliere dal Re offrendogli l’acqua miracolosa. L’acqua fatata fece un inchino e cominciò a salire i gradini del trono danzando e cantando una canzone che narrava di tre principesse perseguitate dalla matrigna e di un Re impazzito per un filtro malvagio. La matrigna fece per ghermire l’acqua ma, non appena la toccò, restò di marmo. Al Re Alberto fu come se cadesse dagli occhi una benda; vide le tre bestie sedute sui seggi delle figlie, capì e cominciò ad abbracciare le tre figlie che si erano scoperte il viso.

E la matrigna di marmo, col volto furente e le mani protese, fu collocata su un piedistallo, nell’atrio del palazzo, e vi restò.

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