Piumadoro e Piombofino

Guido Gozzano

piumadoro

Leggiamo insieme: Piumadoro e Piombofino di Guido Gozzano

Caterina era orfana e viveva col nonno nella capanna del bosco. Fin da piccola aveva il nomignolo di Piumadoro. Il nonno era carbonaio ed essa lo aiutava nel far carbone. La bimba cresceva buona, amata da tutti e bella. Un giorno di primavera vide sui garofani della sua finestra una farfalla candida e la chiuse tra le dita. “Lasciami andare, per pietà!…” disse la farfalla. Piumadoro la lasciò andare. “Grazie, bella bambina, vado a disporre i miei bruchi in terra lontana. Un giorno ti ricompenserò.” E la farfalla volò via.

Un altro giorno Piumadoro ghermì un bel soffione trasportato dal vento e già stava lacerandone la seta leggera. “Lasciami andare, per pietà!…” Piumadoro lo lasciò andare.

“Grazie. Mi chiamo Achenio del Cardo. Vado a deporre i miei semi in terra lontana. Un giorno ti ricompenserò.” E il soffione volò via.

Un altro giorno Piumadoro ghermì nel cuore d’una rosa uno scarabeo di smeraldo che gridò: “Lasciami andare, per pietà!” Piumadoro lo lasciò andare. “Grazie. Mi chiamo Cetonia Dorata. Cerco le rose di terra lontana. Un giorno ti ricompenserò.” E la cetonia volò via.

Sui quattordici anni avvenne a Piumadoro una cosa strana. Perdeva di peso. Restava sempre la bella bimba bionda e fiorente, ma s’alleggeriva ogni giorno di più e cantava: “Non altre adoro, che Piumadoro. Oh! Piumadoro, bella bambina, sarai Regina”. E il nonno sospirava. “Piumadoro, che cosa canti?”. “Non son io. È una voce che canta in me” rispondeva la bambina.

Una sera il nonno si addormentò e non si svegliò più. Piumadoro pianse e poi socchiuse appena l’uscio di casa per andare a chiedere aituo. Ma il vento la ghermì e se la portò in alto come una bolla di sapone… Piumadoro volava ad un’altezza vertiginosa. Sotto di lei passavano le campagne verdi, i fiumi d’argento, le foreste cupe, le città, le torri… Piumadoro chiuse gli occhi per lo spavento e si lasciò trasportare. Poi sentì una voce: “Piumadoro, coraggio!”. Aprì gli occhi. Erano la farfalla, la cetonia ed il soffione. “Il vento ci porta con te, Piumadoro. Ti seguiremo e ti aiuteremo nel tuo destino”.

Piumadoro si sentì rinascere. “Grazie, amici miei”. Verso sera giunsero dalla Fata dell’Adolescenza. Entrarono per la finestra aperta. La buona Fata li accolse benevolmente. Prese Piumadoro per mano, attraversarono stanze immense e poi la Fata tolse da un cofano d’oro uno specchio rotondo. “Guarda qui dentro.” Piumadoro guardò. Vide un giardino meraviglioso e nel giardino un giovinetto stava su di un carro d’oro che cinquecento coppie di buoi trascinavano a fatica. E cantava: “Oh! Piumadoro, bella bambina, sarai Regina. “Lui è Riccardo, detto Piombofino, il Reuccio delle Isole Fortunate, ed è lui che ti chiama da tanto tempo con la sua canzone. È vittima d’una magia opposta alla tua. Diventa sempre più pesante. Il malefizio sarà rotto nell’istante che vi darete il primo bacio”.

La visione disparve e la buona Fata diede a Piumadoro tre chicchi di grano. “Prima di giungere alle Isole Fortunate il vento ti farà passare sopra tre castelli. In ogni castello ti apparirà una fata maligna che cercherà di attirarti con la minaccia o con la lusinga. Tu lascerai cadere ogni volta uno di questi chicchi.” Piumadoro ringraziò la Fata, uscì dalla finestra coi suoi compagni e riprese il viaggio, trasportata dal vento. Giunsero a uno a uno sopra i tre castelli, e ogni volta Piumadoro lasciò cadere i chicchi di grano, su consiglio dei suoi amici: la pieride, la cetonia ed il soffione, che chiamavano a raccolta tutti i compagni che incontravano per via. Così che Piumadoro ebbe ben presto un corteo variopinto. Viaggia, viaggia, la terra finì, e Piumadoro, guardando giù, vide una distesa azzurra ed infinita. Era il mare. Viaggiarono così sette giorni. All’alba dell’ottavo giorno apparvero sull’orizzonte le Isole Fortunate. Nella Reggia erano disperati. Il Reuccio Riccardo Piombofino aveva sfondato col suo peso la sala del Gran Consiglio e stava immerso fino alla cintola nel pavimento a mosaico. Biondo, con gli occhi azzurri, tutto vestito di velluto rosso, Piombofino era bello come un dio. S’udì, a un tratto, la voce di un valletto: “Maestà!… Una stella cometa all’orizzonte! Una stella che splende in pieno meriggio!”. Tutti accorsero alla finestra, ma prima ancora la gran vetrata di fondo s’aprì per incanto e Piumadoro apparve col suo seguito alla Corte sbigottita. I soffioni le avevano tessuta una veste di velo, le farfalle l’avevano colorata di gemme. Le diecimila cetonie, cambiate in diecimila paggetti vestiti di smeraldo, fecero ala alla giovinetta che entrò sorridendo, bella e maestosa come una dea. Piombofino, ricevuto il primo bacio da lei, si riebbe come da un sogno e balzò in piedi libero, tra le grida di gioia della Corte esultante.

Furono imbandite feste mai viste. E otto giorni dopo Caterina Piumadoro sposava il Reuccio delle Isole Fortunate.

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