Un giorno di vacanza

Corrado Govoni

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Oh, come tutto era bello allora, e importante!
Il cielo turchino con le nuvole bianche,
la via maestra piena di polvere e di sole,
il campanile grigio che traspariva
tra le robinie altissime fiorite,
il prato con le margherite,
il rombo del treno sul Po,
il canto del rigògolo lontano
come un fischio d’intesa ripetuto invano.

Il giorno di vacanza era aspettato
come l’arrivo della più grande felicità;
nessun piacere superava quello d’andare
a suonar le campane con gli amici,
di tenersi stretti alle corde
e sentirsi tirare in su,
nella camera oscura del campanile,
dalla campana che rintoccava lassù,
più alto delle nuvole, invisibile come l’allodola;

o di tirare il mantice affumicato
dal fabbro ferraio che, ansando,
batteva in cadenza col garzone,
con la mazza pesante
sul ferro lampeggiante dell’incudine.
Si andava a cogliere more,
le più nere e saporite,
intorno al roseo muro del cimitero…

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