Enrico e la luna

Sofia Gallo

Componimento costruito a partire da:
Personaggio: un bambino
Luogo: un quartiere periferico
Situazione: il desiderio

Enrico era seduto sul terrazzino di casa al pianterreno di un condominio di 10 piani.
Tutte le sere si sedeva là con il naso per aria.
Aspettava. Aspettava di vedere la luna e aspettava anche il suo amico Lungo, il vecchio barbone del quartiere. Quel gran mattacchione di Lungo, sempre in giro, stracciato e sporco.
Enrico lo sentì arrivare e disse:
“Non c’è. Anche stasera non c’è”.
“Che cosa non c’è?”, domandò Lungo con aria distratta.
“La luna”. Enrico era seccato. Il Lungo doveva capirlo subito che si trattava della luna.
“Ti sbagli – disse il Lungo – C’è, ma non si vede”.
“Sei un bugiardo – lo aggredì Enrico. – Io non la vedo mai, quindi non c’è”.
Lungo guardò in su.
“Le case sono brutte e la luna detesta le brutte case e sta alla larga”, disse.
“Bella stupida – sbuffò Enrico alzando le spalle. – Cosa le costa farsi vedere un attimo? Un sorriso e poi se ne va”.
“Che pretese! – Lungo si era appoggiato alla ringhiera del terrazzino. – Vuoi dare ordini alla luna? Vuoi essere tu a decidere dove va e dove non va?”.
“Non va da nessuna parte – lo interruppe Enrico – Non c’è e basta”.
“E smettila – sbottò il vecchio. – Vieni con me sulla collina e vedrai”.
“Quale collina?”, chiese Luca. Ma il Lungo si era già allontanato. Enrico con aria indifferente saltò giù dal terrazzino e lo seguì.
“Se mi scopre mio padre sono guai”, pensò. Poi pensò anche che per la luna si potevano arrischiare quattro scapaccioni. Mise le mani in tasca e accelerò il passo.
Il vecchio camminava spedito. Uscì dal quartiere, imboccò una strada buia che passava in mezzo a dei capannoni industriali e arrivò alla discarica.
“Che puzza!”, sbottò Enrico.
Lungo tirò dritto. Poco dopo nella penombra videro una montagna di terra su cui spuntavano sparuti fili d’erba.
“E questa sarebbe la collina?”, chiese Enrico con aria disgustata.
“Sì, è altissima. Ci sono sepolti i rifiuti di tutta la città”.
“E allora che facciamo?”. Enrico era impaziente.
Lungo taceva e continuava a salire sulla montagna di rifiuti.
Quando furono in cima la luna spuntò dietro le case.
“Vigliacca! – gridò Enrico. – Io mi allontano e la luna arriva. Vigliacca, maledetta!”, e corse giù dalla montagna di rifiuti. Corse fino alla discarica, poi nella strada lungo i capannoni, attraversò il quartiere e con il fiato grosso arrivò a casa. Afferrò con le mani la ringhiera e posò la testa tra le braccia per riposarsi. Poi lentamente alzò lo sguardo.
“Se non c’è l’ammazzo”, disse.
Ma la luna c’era. Una fettina piccola di luna tagliata dal profilo della casa più alta.
“Evviva”, gridò Enrico. I cani cominciarono ad abbaiare e alcune finestre si aprirono.
“La luna, la luna”, gridava Enrico impazzito.
“Se fai così la spaventi – disse Lungo che era arrivato con calma. – Se si spaventa la luna va via di nuovo”.
“Non ci credo”.
“Fai male – disse il vecchio barbone. – Perché il mondo è pieno di gente come te che l’aspetta. E la luna ha tanto da fare per accontentare tutti”.
“Già, non ci aveva pensato”.
“Pensaci adesso – sospirò il Lungo – e vai a dormire che è molto tardi, più tardi del solito”.
Senza salutarlo Lungo se ne andò. Enrico si sedette sul terrazzino al pianterreno del condominio di 10 piani. Guardò in su la sua fettina di luna, finché la testa divenne pesante e gli occhi si chiusero per il sonno.
Allora Luca in punta dei piedi andò a dormire.
Quella sera aveva fatto davvero troppo tardi.

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