Il farfallone
C’era una volta una casetta molto graziosa circondata da un giardino bellissimo che in primavera si riempiva di colori e profumi. Un giorno una farfalla di nome Fofò, si posò sul recinto del giardino ed esclamò. “Finalmente ho trovato un giardino con fiori degni della mia bellezza, chissà se riuscirò a maritarmi con uno di loro”. I fiorellini, incantati dalle sinuose forme del farfallone ed elettrizzati dalle sue dichiarazioni, iniziarono a fargli la corte cercando di ammaliarlo con i propri colori. Fofò iniziò la sua ricerca adagiandosi sui petali di Rita, la Margherita; la guardò bene e disse: “Cara Rita, dimmi cosa potresti offrire ad una farfalla bella come me?”. Rita rispose: “Caro Fofò io potrei darti semplicità e purezza, sai: sono qualità che oggi giorno non si trovano facilmente”.
Fofò rimase a pensarci qualche istante, ma poi fu catturato dalle eleganti movenze di Barbara, il Girasole, impegnato nella continua ricerca del sole, e si allontanò lasciando la povera Rita senza una risposta.
“Oh bella Barbara Girasole”, disse Fofò, “il tuo colore giallo mi abbaglia e mi incanta”.
“Grazie caro Fofò”, replicò Barbara, “io sono il fiore che porta allegria e mi crogiolo sotto i raggi del sole; potremmo divertirci molto insieme. Perché non rimani con me?”.
Fofò però, non sentendosi ancora pronto a prendere una decisione, riprese a svolazzare per il giardino lasciando anche Barbara senza una risposta.
Mentre volava qua e la, Fofò pensava tra sé: “Sarà dura trovare un fiore con cui trascorrere insieme il resto della mia vita. Non vedo nessuno che sia davvero alla mia altezza”. Mentre era assorto tra i propri pensieri, Fofò sentì un richiamo. Era Iole, la Gerbera, che lo invitava a posarsi sui suoi petali rosa.
“Caro Fofò”, disse Iole, “con me passeresti proprio una bella vecchiaia perché io dono amore e giovinezza”. Fofò, quasi infastidito dall’insistenza dei fiori, rispose cercando di mantenere un tono gentile: “Cara Iole, sei molto bella e gentile, ma temo proprio di essermi sbagliato. I colori delle mie ali sono troppo sgargianti per potersi sposare con quelli di voi fiori comuni. Io ho bisogno di un fiore raro, di quelli di cui si legge nei libri di fiabe e che col loro profumo e i loro colori fanno perdere il senno a chi gli passa vicino. Ecco, con un fiore così mi potrei anche sposare”.
Anche se ferita nell’orgoglio dalle parole di Fofò, Iole decise di dare comunque un suggerimento alla farfalla. “Dovresti andare da Dea, l’Orchidea”, disse, “lei è bella e colorata come un arcobaleno dopo un acquazzone di primavera. Si narra inoltre che non sia di queste parti, ma che le radici della sua famiglia si perdano nei meandri di foreste lontane miglia da qui. Forse con lei potrai trovare la felicità che cerchi”, concluse Iole la Gerbera.
Esaltato dalle parole del fiore, Fofò si diresse a gran velocità alla ricerca di Dea e una volta trovata le si avvicinò volando nel modo più aggraziato di cui fosse capace. Il povero Fofò però non riuscì neppure ad aprir bocca perché Dea, che aveva visto e sentito tutto, subito lo scacciò.
“Vattene via, specie di moscone”, esclamò Dea rivolgendosi a Fofò, “ho visto come hai trattato le mie sorelle di campo e le tue parole false e piene di presunzione suonano alle mie orecchie come un fastidioso ronzio. Vattene e più non tornare”.
Fofò, abbattuto da quelle parole, rimase a svolazzare qua e là per il giardino triste e sconsolato. Alla fine pensò di tornare da Rita, la Margherita.
“Lei non mi rifiuterà”, pensò Fofò, ma questa non lo degnò di uno sguardo e lo stesso fecero Barbara, Iole e tutti gli altri fiori che Fofò cercò di corteggiare.
Alla fine della giornata, stanco e sconsolato, Fofò si poggio su una dura roccia e da lì, ammirando quell’immensa distesa di fiorellini addormentati, pensò: “Ahimè! Che sciocco sono stato. Ho avuto tante possibilità per essere felice ma le ho sciupate tutte nel vano tentativo di ottenere di più. E’ proprio vero il proverbio: chi troppo vuole nulla stringe”.