Fermata
Ecco la fiaba di Sciacallo scritta il 22 giugno 2005 (11 febbraio 2006)
Quel giorno lì, sotto un cartello con scritto; “Azienda Trasporti – FERMATA” c’erano tanti animali. Non aspettavano l’autobus, il tram e neppure il filobus.
C’era scritto “fermata” e loro si erano fermati.
Diluviava ma nessuno aveva l’ombrello e nemmeno l’impermeabile.
Tra loro c’era una gatta di nome Testacoda che aspettava il suo compleanno; le piacevano i regali e ne faceva a tutti senza mai averne ricevuto uno.
Pensate che ogni anno scriveva una lettera a Santa Lucia per chiedere un topo di peluche, senza sapere che la Santa è cieca e non legge le lettere.
La poverina amava segretamente (le gatte non fanno nomi, si sa) un micione, anzi un pomicione di nome Policino (con una sola elle perché era un gatto poliziotto).
Tanti anni fa lo aveva conosciuto ad un riparty e si erano dati appuntamento per il giorno successivo in via Pressappoco, angolo All’incirca.
Ma al momento dell’incontro successe una cosa antipatica, come Emilio Fido; arrivata sul posto la micia vide un semaforo e scoprì di essere allergica ai semafori.
Le vennero delle strane bolle di accompagnamento su tutto il viso; non avrebbe mai avuto il coraggio di presentarsi in quel modo ad un ammiratore.
Tra l’altro era domenica, c’era sciopero degli accalappiacani e c’era il sole pieno, forse aveva bevuto (il sole).
Da quel giorno Lei si struggeva dalla gelosia, dalla fantasia e dall’afasia; continuava a sognare il suo amato vicino ad un semaforo.
Lo vedeva, in sogno, pieno di ammiratrici e con la penna in mano (non la penna di un uccellino, ma una penna ecologica, insomma di plastica, intesa come penna a sfera).
Firmava autografi, assegni e multe, poi con la stessa biro si puliva le orecchie.
Che dopo erano pulite ma nere di inchiostro, proprio come piace alle micie. Testacoda in questi anni aveva perso energia, coraggio e pelo.
Pensate che si chiamava così perché era velocissima, tanto veloce che la sua velocità si misurava in nodi, anche considerando che aveva il pelo lungo e i nodi erano all’ordine del giorno e all’ordine della notte.
La poverina aveva una casa quasi bellissima, accogliente e piena di otografie. Erano le foto dei suoi parenti, così diceva lei e se ne vantava in modo esagerato.
Sopra il divano letto e riletto c’era la foto dello zio “gatto con gli stivali” e quella della “gatta da pelare”, sua moglie.
Sulla parete del bagno, in alto ma molto in alto il nonno “Gatto delle nevi” e il bisnonno poeta “Alfonso Gatto” con il trisnonno pittore “Gattuso”.
In camera da letto la foto del quadrisnonno “Gatto nudo” che pudicamente nascondeva con una tendina canadese.
Ma qui finisce la genealogia, anche perché dopo la parola quadrisnonno si rischia l’impapinamento con quinquisnononno, sestisnonno ecc.
Ma fermiamoci alla fermata per incontrare un altro animale; la mucca Tricornata Marziana, che ha 7 corna verdi ma venne chiamata tricornata dagli scienziati del suo paese solo per il fatto che questi sapevano contare solo fino a tre.
Anche lei era innamorata, di un veterinario di campagna che aveva visto solo in televisione.
Lui aveva l’aereo e anche un bel fuoristrada, che però fuori strada oggi e fuori strada domani era tutto ammaccato.
Era ammaccato anche perché aveva fatto dei cattivi investimenti; aveva investito pure un elefante, che faceva l’indiano ma era un elefante africano. Sull’aereo c’era la scritta “arrivare appena in tempo a bere un amaro ……”.
Il veterinario si faceva chiamare “Toro seduto sull’aereo” ma non sapeva di avere un aereo perché non guardava la televisione.
Marziana di notte, ma anche di giorno, però tutte le notti e tutti i giorni sognava di lui che atterrava di notte col fuoristrada (che aveva i fanali rotti) e di giorno con l’aereo.
Una volta che la Tricornata aveva mangiato troppo fieno greco Lui era atterrato e atterrito con il paracadute.
Sul paracadute c’era la scritta “sei una mucca ma ti voglio bene uguale”. Beh, basta e avanza, lasciamo la Tricornuta ai suoi sogni e ai suoi bisogni (per questo avete la puzza al naso, n.d.a.) e parliamo di uno strano animale senza nome.
Ha solo tre cognomi Codazzo, Stainpoco, Stranbecco e Frittopollo.
Questo era (è) sempre triste, tutti i giorni, tutti i giorni della settimana, tutti i giorni del mese, tutti i giorni dell’anno e tutti i giorni della sua vita; ed era immortale, pardon, è immortale.
Ma andiamo a vedere perché era (è) tanto triste: al lunedì perché non poteva andare dal barbiere, al martedì perché non poteva comprare il Venerdì di Repubblica, al mercoledì perché non c’è la messa della domenica, al giovedì perché i negozi sono chiusi, al venerdì perché non si può mangiare carne e lui gli altri giorni è vegetariano.
Al sabato perché la gelateria davanti a casa sua è chiusa e lui gli altri giorni ha freddo.
La domenica perché gli chiude la fabbrica e a lui piace lavorare.
Considerate che brutte giornate passa ed è pure immortale….
Ma c’è un altro perso personaggio, un tacchino che prendeva appunto appunti sul taccuino.
Era un americano, aveva chiesto asilo politico in Italia, nel giorno del ringraziamento e, siccome gli hanno concesso asilo, aveva ringraziato.
Poiché era di origine ispano-americana aveva diversi nomi; Duscatulos y Mujpentido y Yscariotas Y Bananas Do La Rinascentes.
Il suo unico sogno era quello di poter volare, mica con le ali, che è faticoso, ma in aereo!
E c’era un animale grandissimo proveniente dalla Cina Popolare; l’Orso Popolare appunto!
Era innamorato di una stella del cinema, una star, come il brodo; appunto una star di Brodwai; la famosa stella popolare.
Che poi in Cina mica solo le star, tutto è popolare, anche le nutrie…E sentite la strana storia raccontata da pulce e pulcio**; avevano messo su casa da poche settimane, nell’orecchio di un cantante rock, erano felici, lei aspettava un figlio.
Ma una sera avevano voglia di un barbecue e accesero il fuoco in casa, fu un disastro; intervennero i pompieri e bonificarono tutto il cuoio capelluto del cantante.
Così ora Pulce e Pulcio erano in mezzo a una strada (assieme agli altri, n.d.a.).
C’era anche un bufalo, che aveva appuntamento con la sua bella alla fermata. Invece l’appuntamento con la bufala era una bufala e Lei non si era presentata, perciò Lui era imbufalito e incavolato come un cervo quando gli arriva la bolletta del telefono.
Tra l’altro il cervo ci lavora col telefono e quando non c’è campo gli tocca di lavorare in un altro campo e lui ci campa! Invece la capra crepa!