FeRoBriVin (una fiaba vera)

Ecco la fiaba di nonna Gabriella (scritta nel marzo 2000) (31 gennaio 2006)

Bri Bri

C’era una volta, in un paese non troppo lontano, una casetta non troppo piccina, tutta di mattoni rossi, con grandi finestre e tanti balconi, dove le piante cercavano di vivere il meglio possibile, anche se ostacolate da tanti micetti furbastri e perennemente affamati.

Parecchio tempo prima la casa era stata allietata dalla nascita di una bimba rotondetta, con due bei piedini gonfi, due guanciotte piene e rosee e una boccuccia sempre spalancata per reclamare la pappa o per sorridere, tanti capelli neri, con un buffo ciuffo che nessuno riusciva a domare.
BriBri, così si chiamava la piccolina, non era il solo angioletto della casa, aveva un fratellone, Fedino ed una sorellina, Robicchia, che ben presto si sentì la vice-mammina di quel frugoletto, perché non voleva si ripetesse la triste storia di quando lei era piccina, o, per meglio dire, quella che riteneva una triste storia e che invece altro non era che la fiaba-gioco che nonna Bru si divertiva a raccontarle.
Nonna le raccontava che era nata in una sera d’inverno, quando il gelo ghiacciava le strade e la neve minacciava di cadere da un momento all’altro.
Appena arrivata, così le raccontava la nonna, nessuno la voleva e perciò la buttarono fuori dalla finestra.
Ben presto arrivò Babbo Natale e, quando venne il momento di aprire i doni, in un bel pacchetto tutto infiocchettato, si trovò indovinate…la Robicchia!!!
O, per meglio dire “La Oby”, come esclamava la piccola, concludendo il racconto della nonna.
Ma nessuno la voleva e allora la buttarono fuori dalla finestra.
La notte precedente l’Epifania furono messe le calze sotto il camino, la Befana arrivò e che cosa mise nella calza più grande, tra mandarini, caramelle, pupazzetti e cioccolatini?
La Oby!!!
Ma nessuno la voleva e allora la buttarono fuori dalla finestra.
Venne la primavera, gli uccellini cantavano felici e con la primavera arrivò la Santa Pasqua.
Tutti attendevano ansiosi di aprire quello splendido uovo, avvolto in carta multicolore, che troneggiava sulla credenza.
Aperto l’uovo, ne saltò fuori…indovinate…
La Oby!
E questa volta, visto che proprio non ce la facevano a disfarsi di lei, tutti decisero che Robicchia doveva rimanere.
Questo gioco (nonna, fortunatamente, non lo ha mai saputo, ci sarebbe rimasta troppo male!) aveva rattristato tanto la piccola Robicchia, che non capiva che tutti invece l’avevano accolta subito con grande amore, anche Fedino, che pur avrebbe preferito Bruno, un fratellino.
Quando BriBri era ancora fra i “langioletti” (sic! proprio così diceva Robicchia!), ma già nella pancina di mami, una sera
di primavera la casetta di mattoni rossi sussultò, il lampadario ondeggiò, i quadri alle pareti cambiarono di posizione, il pavimento divenne un tappeto volante in attesa di decollare…
Che spavento, direte voi!
Certo si spaventò anche BriBri, e forse fu allora che quel ciuffo birichino si girò di traverso.
Il terremoto, di questo, infatti, si trattava, non ebbe comunque conseguenze disastrose per la casa di mattoni rossi, se non quella di aver riportato il ricordo dell’altro movimento, legato alla nascita di Robicchia: anche allora, infatti, la terra aveva tremato.
Che avesse già paura di queste due bricconcelle?
E il tempo passava e mamma Texy diventava sempre più tonda, finché un bel giorno chiamò Fedino (era lui l’ometto di casa!), gli diede un bellissimo orologio grande grande, con i numeri e le lancette ricoperti di lucciole brillanti e gli disse: “Calcola il tempo che passa tra un ahi di mimmina e l’altro, così, al momento giusto, chiameremo babbone”.
Fu un lavoro importante, e pensare che la matematica di casa era Robicchia, ma dov’era andata quella paciocca? Dalla Dadanna?
No, dormiva tranquilla nella sua stanzetta, ignara di ciò che stava succedendo e rimase non poco sorpresa quando, il mattino, incontrò la Dadanna per le scale.
Che ci faceva Dadanna lì a quell’ora?
Da bimba intelligente qual era (aveva addirittura coniato la parola ragnuccolato per descrivere l’atteggiamento del suo gattino, senza che la maestra, che l’aveva trovata troppo bella, osasse correggergliela) intuì ogni cosa, fece ordine nella cameretta, dopo aver svegliato il fratellone, pensò a che cosa indossare (presentarsi per la prima volta ad una nuova sorellina era una cosa importante, ci teneva a fare una bella figura!) e si mise ad attendere il ritorno di babbone.
Fedino invece non ebbe problemi: lui era già abituato a queste situazioni, gli era già successo una volta! Tra l’altro, era sempre stato un bimbo molto

elegante, figuratevi che non aveva che due anni e mezzo e già sfoggiava un impermeabile, opera di quella maga di Dadanna, che lo faceva tanto assomigliare al tenente Sheridan.
Anche BriBri si presentò al mondo in una notte fredda, gelida, con la neve che sbirciava di lassù in alto e non aveva ancora deciso se scendere o meno.
C.B.Sax avrebbe voluto dormire ancora un po’, ripeteva a mami che era presto, che si poteva partire più tardi, con la luce si viaggiava meglio (era l’una di notte!) , ma Texy, scusate, BriBri, non poteva attendere, anzi… per poco non nasceva in macchina, in quella curva a gomito della strada che porta all’Ospedale.
E fu velocissima a nascere BriBri, alle tre gorgheggiava di già, ed era talmente bella che in clinica fu addirittura scambiata.
Scambiata!!! Com’è possibile?
Mamma Texy era al settimo cielo: ora aveva il numero perfetto!
Tre bimbi meravigliosi!
Aspettava che le portassero BriBri per darle il latte e quando arrivò in braccio all’infermiera, che aveva preso l’ultimo neonato dei sei del carrello, la guardò un po’ stupita.
Come sembrava piccola, lei così cicciotta, in quel grande camicino!
Le avevano anche tagliato le unghiette!
Ma perché piangeva ancora per la fame se già aveva finito la sua razione di bimba di appena un giorno?
Tutti questi interrogativi ebbero la loro risposta quando mami, cercando di arrotolare le maniche di quel buffo coprifasce troppo grande, lesse il braccialetto della piccola, ops, del piccolo…
Quello non era la sua BriBri!!!
La vicina di letto corse a chiamare l’infermiera e, dopo una rapida ricerca, BriBri tornò fra le braccia della sua mammina!
Un’altra giovane mamma, evidentemente poco fisionomista, ma con molto buon gusto, invece del suo bimbo, si era presa il nostro smanuccini cagon.
Quanta gioia quella paciocca portò nella casetta di mattoni rossi, dove a fine primavera il glicine cominciava ad arrampicarsi per i balconi, i gerani sfoggiavano le loro belle foglie profumate, nell’attesa di accogliere i purpurei fiori e Dafne, pardon, l’oleandro, si apriva come un enorme ventaglio nel giardino antistante, fra le piante di rose, all’ombra delle alte e frondose mimose rosa!
Fedino e Robicchia ascoltavano mami che, per addormentare il cucciolotto di casa, raccontava le imprese dei suoi fratellini.
Fedino era arrivato per primo, non aveva lasciato tanta libertà a mammina e babbone, perché era nato un anno esatto dopo il loro matrimonio, ma tanto c’erano ancora i nonni Bru e Fra, che potevano dare una mano!
Era nato di maggio, non aveva fatto soffrire troppo la sua mamma, anche se le sue larghe spalle le avevano creato qualche problema, ma era nato prendendo di sorpresa babbone, che non arrivò neppure a fumarsi una sigaretta nella sala d’aspetto, come si vedeva fare in tutti i telefilm. Da notare che non fumava più da tanto tempo, si concedeva una sigaretta solo in casi eccezionali, e questo lo era, altrocché!
Aveva portato la primavera soprattutto nella casa dei nonni di Russi.
Anche loro avevano un bel giardino, che, con la nascita di Fedino, d’incanto si arricchì di giochi, quali una bella piscinetta, non troppo “etta”, a dir la verità, uno scivolo piuttosto alto, un angolo della sabbia, tanto da poter fingere di essere al mare, con in più la bella ombra del vecchio albicocco.
Si stava proprio bene dai nonni e l’ora della pappa era uno spasso per tutti, perché il piccolo ne inventava ogni giorno una nuova: ridendo a bocca piena costellava la nonna di stelline, tanto per non citare che una delle sue imprese.
Cominciò a parlare ripetendo la finale della filastrocca “Guarda, guarda il can che scappa”, che nonna Bru gli ripeteva per farlo mangiare. L’ascoltava con estrema attenzione, pronto a ripetere la finale di ogni verso.
Nonna iniziava “Guarda, guarda il can che …capa, ha portato via …a papa, via la pappa del …bino, per portarla al gnolino, cagnolin tutto tinto, se la pappa in un momento, se la pappa e fa bùbù, e a papa pù!”
E dopo mangiato… si addormentava seduto nel box.
Ancora piccino, quando sapeva appena sillabare qualche parolina, vedendo per la prima volta la neve esclamò Tanto pone!, che stava a significare Tanto sapone! e quando si trovò davanti al mare Iaqua tanta!!! cioè acqua tanta!!!
Diede la prime avvisaglie della sua genialità matematica quando al bar col suo babbone vide alla televisione le corse dei cavalli. Cavajo! esclamò e poi, correggendosi Due cavajo!,
tanto da lasciar stupito lo zio Felice che commentò Vigliaca d’la miseria, e sa zà cuntè!
La passione per la musica doveva avergliela trasmessa Dadotorino, che, dopo il festival di Sanremo 1967, gli suonava col violino “Pietre” di Antoine e Fedino, a soli otto mesi, la canticchiava, fra le esclamazioni di stupore di Dadanerina.
A tre anni corresse mami che chiedeva a babbone di chiudere la tapparella.
“Mo, mamma, che cosa dici, si dice capparella!”
A chi gli spiegava che quello era l’esatto termine, rattristato rispose “E pensare che io per tutta la vita ho detto capparella!”
Uno… era poco!
Detto fatto, Robicchia fu messa in cantiere.
A quei tempi la casetta di mattoni rossi non esisteva ancora e la famigliola abitava vicino alla piazza, in un piccolo appartamento, coperto dai verdi alberi di un giardino non molto grande, ma accogliente, dove mamma Texy, quando era libera dalla scuola, sedeva a cucire per il suo bimbotto e per la paciocca che doveva arrivare.
Anche questa nascita fu una sorpresa, perché allora non si sapeva in anticipo se sarebbe stato un bimbo o una bimba!
Il corredino doveva essere neutro, sarebbe dovuto andar bene per qualsiasi evenienza!
Mimmina, che era un po’ ripetitiva, anche quella volta chiese al dottore se la sua piccola aveva tutto,…tutti i ditini.
Era il suo modo per informarsi se era perfetta!
Questa volta babbone era presente, quando Texy cominciò a sentire le prime avvisaglie. Avevano deciso di andare al cinema, ma, siccome il medico, due giorni prima, le aveva detto che se avesse sentito dei dolorini, anche se aveva mangiato fagioli, avrebbe dovuto correre, si precipitarono in clinica. E dopo pochissimo Robicchia fece la sua comparsa, niente sigaretta neanche allora.
Anche Robicchia era un amore, ma, a differenza di Fedino, che alla nascita era pelatino (tanto da far dire al nonno “Chissà se sarà ancora così bello quando avrà i capelli!”), lei aveva tantissimi capelli neri.
Forse fu proprio per questo che un giorno si impadronì di un piccolo pettine rosa e… lo mangiò. No, non tutto, ma quando mami si accorse che al pettinino rosa mancavano alcuni denti, rapidamente prese Robicchia per i piedi e glieli fece sputare.
Ora ne ridono, ma allora lo spavento fu grande, tanto grande, da mettere tutti sul “chi vive”.
Con la piccola Roby ci si poteva aspettare di tutto, anche che saltasse giù dal seggiolone!
Piangeva sempre in un modo esagerato, tanto che le si diceva che la bocca le arrivava alle orecchie. E allora il suo pianto cessava, ma Roby, con l’aria più triste di questo mondo, esclamava, urlando: “A me non mi vuole nessuno!”
Fin da piccolissimi festeggiarono il Carnevale in maschera. La “sartoria” di mami nonna e Dadanna preparava costumi eccezionali, figuratevi che fedino esordì, quando appena si reggeva in piedi (per cui nella foto si vede la mano di qualcuno che lo sostiene), trasformato in Calimero. Era dolcissimo!
Con Roby formò il duo Geo e Gea, gattini bianchi cosparsi di fiori colorati; Giulietta e Romeo, con tanto di balcone su di un carro, che ne raffigurava la vicenda; Robin Hood e Lady Marian; Batman e la Gatta, con calzemaglie aderentissime; tanti altri che ora sfuggono al ricordo, ma quando fu la volta del Corsaro Nero e della sua amata, Fede decise che era la fine.
Un po’ impacciato negli alti stivali con tanto di tacco, esclamò: “Io non mi maschero più!” Ed aveva ragione, in fin dei conti aveva già undici anni!
Non mantenne comunque la promessa, perché alla veneranda età di vent’anni o giù di lì, partecipò, con tre amici, ad un veglione mascherato: erano quattro splendide majorette, con tutte le curve al punto giusto, calze di seta, gonnellino mini lunghi capelli e trucco abbondante.
Fede e Ro crescevano insieme, indossando gli abitini che mami faceva loro con i più piccoli scampoli: gonnellina scozzese per lei, pantaloni scozzesi per lui; completo di jeans per lui, lo stesso in negativo per lei.
Erano splendidi: lui con lisci capelli biondissimi (sì, ora li aveva ed era ancor più bello!), lei con lunghi capelli scuri, ondulati.
Si era negli anni settanta, la TV era in bianco e nero, ma Robicchia la vedeva a colori ed ogni tanto esclamava “Bello quel vestitino rosa!”
Fedino era geloso di questa sua facoltà ed asseriva di vedere anche lui i colori, per cui era veramente esilarante assistere alle loro discussioni!
“Allora dimmi di che colore è quel vestito!”
Trionfante Fede “Rosso!”
“Ecco, hai visto che sei un bugiardo…è blu!”
In età scolastica Roby cominciò a seguire un corso di danza classica: sembrava un piumino da cipria nei suoi tutù colorati.
Fede, che fin da neonato aveva evidenziato un notevole orecchio musicale, andò a lezione di pianoforte.
Non poteva certo essere da meno della sorellina, ma un bel giorno si accorse che non gli piaceva poi così tanto!
Roby, per andare a danza, non doveva far altro che prendere il suo zainetto col costume e le scarpette, lui, invece, avrebbe dovuto allenarsi anche a casa, solfeggiando.
Volevano già farlo studiare!
Fede rinunciò perciò al pianoforte e, dopo qualche anno, Roby rinunciò alla danza, a causa di un incidente sciistico.
Era destino! Niente artisti in casa!
Texy e C.B.Sax cominciarono a pensare che avere una casetta un po’ più grande non sarebbe stata una cattiva idea e perciò, come le rondinelle in primavera, si misero alla ricerca di un nuovo nido.
Trovarono quello che cercavano: la casetta di mattoni rossi, vicino alla stazione.
In una casa così grande, con due rondinini già piuttosto grandicelli, c’era posto per un altro rondinotto e fu così che BriBri arrivò.
La sua venuta diede maggior libertà ai fratellini, che dovettero responsabilizzarsi.
La casetta di mattoni rossi era sì vicino alla stazione, ma era anche di là dalla Reale, quella famosa strada statale così difficile da attraversare!
Ebbene Fede e Ro cominciarono ad andare a scuola da soli, mentre babbone li controllava, non visto, da lontano.
All’ora di pranzo mami andava sul balcone ad attenderli, con BriBri in braccio, e poi entrambi a tavola raccontavano le loro avventure scolastiche.
Quante risate nel ricordare ciò che aveva fatto Fede il primo anno delle elementari!
La maestra gli aveva promesso “Bravissimo” se avesse fatto tutto bene il dettato in classe, e nel suo lavoro non c’era nemmeno il più piccolo errorino.
Risultato: “Bene”
E Fedino si era corretto il voto: “Bravissimo” doveva essere e “Bravissimo” sarebbe stato.
Alla mamma che chiedeva spiegazione su quella strana grafia della maestra, Fedino tranquillamente le aveva risposto che la maestra si era evidentemente sbagliata, pertanto aveva rimediato lui.
Se i due più grandicelli evidenziavano una spiccata predilezione per la matematica, BriBri, fin da piccolina, aveva buttato i numeri alle ortiche e si dedicava alle lingue straniere.
Non aveva ancora tre anni quando mami la trovò che, mentre disegnava, ripeteva frasi in inglese, ascoltando la cassetta del corso dei fratellini, che, evidentemente erano molto meno interessati di lei a questo studio.
Il suo spirito indipendente, inoltre, la piccola BriBri lo aveva dimostrato al nido, quando pretendeva di mettersi da sola il pannolone, saltando sul lettino dove precedentemente lo aveva sistemato.
Inutile dire che non ci sarebbe mai riuscita senza l’intervento della Pia, che però, non vista, prima di intervenire, assisteva a lungo alla scena.

All’asilo Robicchia aveva avuto il suo primo amore: Alberto o Daniele? Chissà! La cosa comunque non ha grande importanza, tanto erano gemelli!
Fedino invece si era rivelato un grande attore con la frase. “È vero, è vero! Il manto della Madonna!”
Fin da piccolissimi i due avevano affrontato grandi viaggi.
Fedino, a venti giorni, era andato a Bologna dagli zii, a sei mesi, con mami e nonna Bru, era andato a Trieste a conoscere i parenti, o forse sarebbe meglio dire a farsi conoscere dai pro-pro-zii. In quell’occasione il ritorno fu piuttosto fortunoso. Si era, infatti, nel novembre del’66, il periodo della famosa alluvione, che, oltre a colpire Firenze, aveva colpito anche Veneto e Friuli.
I tre viaggiavano in treno (erano altri tempi!!!) ed il loro fu l’ultimo a passare in mezzo alle campagne allagate. Le forti braccia di nonna Bru sorreggevano l’infanseat in cui riposava il piccolo Fedino, mami allora aveva un ben valido aiuto!
Ro a due anni e mezzo già conosceva il sud della Francia, dove, vedendo il toro ucciso nella corrida, esclamò: “Povero mucchio! Chissà cosa dirà la sua mucchina!”
Di quel viaggio resta un filmato in cui la povera piccola, che indossava un cappottino rosso, è inseguita da un toro infuriato. Niente paura: semplicemente babbone aveva riutilizzato, per errore, una pellicola già impressionata e le due immagini si erano sovrapposte. Comunque l’effetto resta piuttosto divertente.
Molto attenta alle parole dei grandi, Ro traeva le sue conclusioni.
Quando aveva tre anni al cinema assistette ad un western dove tutti ripetevano che il tale era un figlio di p…
Il poveraccio fu infine ucciso e nel silenzio della sala si sentì la vocina di Ro: “Hanno fatto bene ad ucciderlo, era un figlio di p…!”
Evidentemente aveva assimilato il concetto!
BriBri cresceva, mami riprese la scuola e spesso cucciolotta era affidata ai fratellini, che la prendevano in giro, fingendo di essere tristi perché tutti e tre erano stati abbandonati da mami e da babbone.
La scena era ben simulata, tutto avveniva con aria circospetta, perché la piccola BriBri non sentisse, ma il vero scopo era quello di farla piangere.
Il “gioco” si concludeva con coccole e bracciatone affettuose.
Si sentivano importanti e, molto probabilmente, la educavano alla musica, alla loro musica, infatti parlava appena e già, saltando sul letto, imitava i Pink Floid, urlando “teacher… lala… in the wall!”.
Al cinema a Brunico addirittura ballò quasi sempre, mentre proiettavano “La febbre del sabato sera”.
Quale orecchio musicale!
Peccato che la voglia di ballare l’abbia esaurita tutta quella famosa sera.
BriBri era una grande ammiratrice degli amici di suo fratello, soprattutto di uno, ed è rimasta un tormentone la sua frase “È belo Tijo!”
Nido, scuola materna, elementari, medie, il tempo volava, la “cultura” aumentava, per primo Fede dovette scegliere la scuola superiore.
Perché non dedicarsi al settore alberghiero, un cuoco è sempre molto richiesto.
Ma come , se Fedino, scusate, Fede , non distingueva il prezzemolo dal rosmarino!
Abile nel disegno, forte in matematica, la sua fiaba si conclude sui banchi dell’Istituto per geometri, che abbandonò diplomato.
Ro aveva avuto la stessa idea, molto prima di lui, ma, una volta diplomata, manifestò il desiderio di continuare gli studi e la casetta di mattoni rossi la perse.
La riaccoglieva soltanto nel fine settimana, finche un bel giorno …Ro, come una rondine, spiccò il volo e si costruì il suo nido altrove.
Un lavoro, una nuova casa ed infine un amore dal quale sboccerà presto un fiore: Pagottino/Vin.
Un terzo della storia è finito, direte voi.
Neanche per idea, mami sarà nonna e comincerà una nuova storia, anche se Fede, da eterno fidanzato, non ha ancora deciso di collaborare.
Resta inoltre BriBri (al secolo Bru, dato che anche lei è piuttosto cresciuta) e i ricordi si affollano, sempre radiosi.
Non è più la paciocca a cui babbone cantava “Balla, balla, sacchetto di paja”, facendola saltare sulle sue ginocchia, mentre lei rideva e lanciava gridolini di gioia.
Mami, facendola galoppare, le ripeteva la filastrocca “Cavallin Rorò…” e la piccola, sobbalzando, sembrava volerne ripetere le parole, oppure, per addormrntarla le canticchiava “Dindò palot…”
Idalgo, in montagna, le raccontava le filastrocche toscane , mentre Ernesto si divertiva a cambiarla sul prato, nonostante non profumasse proprio di gelsomino.
Oggi mami si sente un po’ Cornelia, anche lei ha i suoi gioielli ed ora il suo forziere sta per arricchirsi di un’altra pietra preziosa: Pagottino.
Un tempo era giovane, magra, scattante.
Ora, di tutto questo, non ha che la gioventù nel cuore, ma serba tanti splendidi ricordi, perché il tempo è come il vento, che scompiglia le nuvole, spazza via le gialle foglie d’autunno, fa volare i petali dei fiori di primavera, cancellando quello che ha fatto soffrire e lasciando le cose più belle.
E domani…ci sarà ancora il tempo per un’altra fiaba, che già comincia ora.
Non più solo mami, ma futura nonna Gabriella, canterà nuove ninnananne e colmerà il suo cuore di gioie rinnovate.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dove vuoi andare?