Filastrocche di animali stravaganti

Rosalba Troiano

La trota-mucca
Filastrocche per bimbi gemelli
(un piccolo omaggio a Toti Scialoja)

C’era una volta un’acciuga-pitone
a cui piaceva il colore arancione:
con un barattolo d’idropittura
tingeva tutto, perfin la verdura
e quando poi di pittare era stanca
si riposava su una sedia bianca.

C’era una volta un pitone-acciuga
che coltivava carote e lattuga
ma la lattuga cresceva a sghimbescio
e le carote girate a rovescio.
“Forse”, diceva il modesto animale
“d’orticoltura mi serve un manuale”.

C’era una volta un fringuello-bue
che non sapeva contar fino a due.
Per far di conto così ogni mattina
metteva un sasso dentro a una bustina
e quando poi i sassolini eran cento
se li mangiava e era tutto contento.

C’era una volta un bue-fringuello
s’inciuccava col vinello,
con la birra chiara e fresca
con il latte o il té alla pesca.
Si ubriacava con la grappa, la gazosa e col chinotto
anche l’acqua minerale lo stendeva fritto cotto.

C’era una volta una trota-mucca:
si coricava in pigiama e parrucca,
dormiva tutta la settimana
ravvolta in una coperta di lana.
Se si svegliava a notte fonda
si strofinava la testa bionda.

C’era una volta una mucca-trota
che andava in cerca di un biondo pilota
e sospirando il suo principe azzurro
si imbibinava di pane col burro.
Quando vedeva un aereo o un cavallo
gli sventolava un fazzoletto giallo.

C’era una volta una pecora-tonna:
sopra i calzoni metteva la gonna,
sopra il cappotto metteva il gilé,
sopra le scarpe allacciava i suoi pié.
E quando andava a saltare sui prati
tutti i mon-tonni restavano incantati.

C’era una volta una pecora-tonno
a cui cascavano gli occhi dal sonno:
si addormentava comprando al mercato,
se la dormiva mangiando il gelato.
Teneva su le palpebre con pali e con stecchini,
ma anche ad occhi aperti schiacciava pisolini.

Ho conosciuto un cinghiale-anatroccolo
che per la musica aveva il bernoccolo:
suonava il flauto, il trombone, il fischietto,
anche il sassofono e il clarinetto.
Ed a soffiare tanto a quel modo
restava magro peggio di un chiodo.

L’anatroccolo-cinghiale
va alle feste e poi sta male:
mangia torte e salatini
vol-au-vent e pasticcini
dopo aver ballato il valzer
chiede acqua e un alka-seltzer.

C’era una volta lo gnu-coccodrillo:
visto da dietro sembrava un birillo
visto da vicino
sembrava un lavandino,
visto un po’ di lato
sembrava un carroarmato.
Allora tutti quanti
guardavano il davanti.

Il coccodrillo-gnu
aveva un occhio blu.
Dell’altro tutto nero
andava molto fiero.
Eppure con gli occhiali
li aveva entrambi uguali.

C’era una talpa-anguilla
con un vestitino lilla,
la borsetta ed i guantini,
la collana e gli orecchini.
Passeggiava in Galleria
fino all’ora di andar via.

C’era una volta un’anguilla-talpa:
faceva vela per Tegucigalpa.
Tutta la notte stava al timone
calma ed intenta alla navigazione
e tutti quanti i pesci del mare
con lei in Honduras volevano andare.

C’era una volta un canguro-criceto
che saltellava soltanto all’indietro.
Si era proposto persino ad un circo
insieme a un orso di nome Mirco
e quando il pubblico li applaudiva
uno rugghiava e l’altro squittiva.

C’era una volta un criceto-canguro
ch’era d’orecchi piuttosto duro:
non ci sentiva nemmeno da un metro,
non si scansava ai frantumi di un vetro,
ma appena udiva frusciare una foglia
di andare a spasso gli veniva voglia.

C’era un barbagianni-ghiro
che del mondo fece il giro:
per aver fama e fortuna
volle andare sulla luna
e quando ritornò giù
dopo non si mosse più.

C’era un ghiro-barbagianni
che era senza compleanni.
Lo diceva anche agli amici:
“Sono un dei più infelici!
Ventinove di febbraio
festeggiare gli anni è un guaio”.

C’era un topolino-leprotto
che sul ghiaccio faceva l’otto:
era un ottimo ballerino
anche sui sassi di un sentierino.
Se cascava in fondo al mare
anche lì sapeva pattinare.

Un leprotto-topolino,
piemontese di Torino,
sol mangiava bagna cauda
gianduiotti e torta sabauda.
Le trofiette con il pesto
le mangiava mesto mesto.

C’era una lumaca-blatta,
stava dentro una ciabatta.
Era tanto piccolina
da stare dentro una pantofolina,
era poi tanto caruccia
da stare anche dentro una babbuccia.

C’era una blatta-lumaca
che ballava il tiki-taka,
tuca-tuca ed il sirtaki
con il kilt a quadri kaki,
mentre il ballo del qua-qua
con la blusa a bolli e pois.

C’era un bolso basso-tuba
con al polso un grosso Scuba:
s’immergeva in fondo al mare
a cercare di squillare.
Per gli squali uno sconcerto
era assistere al concerto.

Mica fesso il lupo-tasso
che tossicchia sul Gran Sasso,
che passeggia a Abbiategrasso
con un passo da gradasso,
che s’abbiocca in Mato Grosso
e s’ingrassa sul Mar Rosso:
a abbassare i fossi è un asso,
se lo fissi schiocca l’osso.

L’orso-picchio vive a Vicchio
con in testa un vecchio nicchio,
ma se sol gli salta il ticchio
un bicchiere di Verdicchio
se lo ciuccia e un poco alticcio
saltabecca a Machu-Pichu.

C’era un tirchio picchio-orso,
passeggiava per il corso,
si sedeva al Gran Caffè
e mangiava tre bigné.
Ma quando arrivava il conto
lui faceva il finto tonto.

La scimmia-salmone
in cima al balcone
si lascia cantare
una bella canzone.
Se cala la treccia
nel cuore fa breccia,
se mostra la faccia
il cuore si ghiaccia.

C’era un dì un salmone-scimmia
che faceva la vendemmia,
s’immetteva nella vigna
con un po’ di pane ed emmenthal.
Immigrato poi in Sardegna
commerciava cai-piri?a.

C’era un giorno un bruco-grillo
tormentato da un assillo.
Gli dicevano “E’ un cavillo”,
ma era sempre meno arzillo:
“Può un armadio più uno spillo
dare in somma un armadillo?”

C’era un giorno un grillo-bruco:
nella giacca aveva un buco,
una pezza sul maglione,
una toppa al pantalone.
Tutta sera rammendava
perché ovunque s’impigliava.

C’era una volta un’iguana-bisonte
con la bandana intorno alla fronte,
con un anello nell’ala del naso,
con un gilé di lamé e di raso,
che si aggirava tra i grilli in Missouri
in una scia di vaniglia e patchouli.

L’obeso bisonte-iguana
molto esperto di ikebana,
molto esperto di computer,
molto esperto anche di scooter,
mangia un dolce quando ha fame
pieno molto di aspartame.

C’era un pollo-pipistrello
che faceva il saputello
in un campo di lavanda
e poneva la domanda:
“Potrà un polpo col rastrello
rastremare un polpastrello?”

C’era un pipistrello-pollo
con un borlo blu sul collo,
che strillava a tutto spiano
strimpellando un fortepiano:
“Se mi accollo più il colletto
mi si occulta un po’ il difetto?”

La buga-marmotta
di Chioggia chiozzotta
ha fatto baruffa,
diremo una zuffa,
con uno scoiattolo
per un bugigattolo
col tetto che scotta,
col muro che smotta.

La solar marmotta-buga
se ne sta sul bagnasciuga,
ma se avvista un bel beluga
prontamente si dà in fuga
borbottando: “C’è un cetaceo
di color madreperlaceo!”.

La cozza-gallina
di Piazza Armerina
se apre la valva
si vede che è calva,
ma quando apre il becco
ti lascia di stucco.

La gallina-cozza,
carina, ma rozza,
salendo in carrozza
si fece una bozza
sul cranio e esclamò:
“Che zucca che c’ho!”

La rana-cocorita
ha un grosso girovita:
la cruccia la focaccia,
il grana, la vernaccia.
Poi mangia una banana
e ingoia anche la buccia.

La cocorita-rana
se vola va a Tirana,
se gracida va a Procida,
se salta va in Indòcina,
se canta va in cantina,
se cuce sta in cucina.

Il ramarro-pavone
in tabarro marrone
l’aringa al vapore
marina per ore.
S’arresta soltanto
se piove o se è stanco.

Un pavone-ramarro
finito sotto un carro
sputò un po’ di catarro
poi disse: “Toh, bizzarro!
Pavento l’incidente
ma poi non sento niente”.

La tinca-giraffa
in una caraffa
di zinco e di ottone
ci mette un limone:
poi versa e, prodigio,
un bel Pinot grigio.
Ritenta e, magia!
Si beve sangria.

C’era una giraffa-tinca
con gli occhioni blu pervinca,
con il pelo folto molto,
con un néo che andava tolto.
Ma la cosa proprio strana
era ch’era in porcellana.

Il grongo-tapiro
ha in tasca una biro.
Si siede a Las Vegas
la biro si piega,
si siede a Acitrezza
la biro si spezza.

Il tapiro-grongo
ha in tasca del pongo.
Si siede su un bongo
e il pongo si spiaccica,
si siede su un mango
ed il pongo s’appiccica.

La mosca-formica
non vuol che si dica
che ha l’aria un po’ losca.
Con chi la conosca
l’amica ci tiene:
è animale perbene.

La formica-mosca
mangiava una mica
di pane e esordì:
“Mi sembra un po’ tosta,
forse un po’ antica,
lasciamola lì”.

C’era una volta un ragno-elefante
a cui cascava la consonante:
se diventava rano-elefane
faceva i dolci col marzapane,
quando cambiava in agno-eleante
se li mangiava con il croccante,
poi diventava rago-elefate:
lavava i denti con il Colgate.

Ci sta un elefante-ragno
che giammai non si fa il bagno:
mai che immerga lo zampetto
in un fiume o in un laghetto,
mai si puccia, mai si tuffa,
sa di sudicio e di muffa.
Glielo dici? Fa spalluccia.

C’era un bufalo-orbettino
balbuziente un pochettino:
orbe orbe bu bu bufa
quando parla un po’ ti stufa,
ti ti ttino fa fa falo
se sta zitto fa un regalo.

C’era un orbettino-bufalo
Che, vivendo dentro un bungalow,
misurava con il regolo
quanto ampio fosse il réfolo:
se più largo di uno zufolo
lo tappava col batufolo.

Ci sta un’upupa-cavalla
papuasiana o di Marcialla
che martella col martello,
che girella nel girello,
e che pialla con la pialla,
ma che sputa nella stalla
alla vacca: puh puh puah!

La cavalla-ùpupa
se la notte è cupa
non si preoccupa:
mette una cuccuma
piena di curcuma
sopra il fornello
e tinge la piuma
del suo cappello
tutta di giallo.

C’è questo castoro-toro
canta casto dentro un coro.
Quando stecca, gran disdoro,
si fa rosso pomodoro.
Così in tasca, per ristoro,
c’ha una fetta di pandoro.

Il toro-castoro
usando il traforo
invece di un buco
ha fatto un foro.
“Che ciuco, che ciuco”
piangiucchia sonoro,
“fo tanto lavoro
ed un guasto produco!”

La coccinella-tigre
intera è solo in Niger.
I cocci stanno a Biella,
la Nella a Brisighella,
la ti la trovi a Tangeri,
la gre nel green di Bolgheri.
La coccinella-tigre
intera è solo in Niger.

La tigre-coccinella
tritando tre dita
di ghiaccio e cannella
ti grida cocciuta
e oltremodo contrita:
“M’intriga la granita
perché non va cuociuta”.

Sotto il salce
l’alce-pulce
molce l’erba
con la falce.
Una firma
metto in calce
a una vita
così dolce.

Sopra la felce
la pulce-alce
mescola calce
con talco e selce.
A chi la intralci
sferra due calci,
a chi mugugni
tira due pugni.

Il girino-zebra
in oscura latebra
ovvero in un covo
di bravi ritrovo
s’aggira col blazer.
Raggiro raggiro,
gli ruban la biro!
Nel buio ritiro
di quella bagarre
se fa un altro giro
ora gira col laser.

La zebra-girino
non suona il violino
non suona la cetra
e nemmeno il clarino.
Soltanto, un po’ tetra
con voce da ameba,
tra l’erba se è ebra
lei canta un pochino.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dove vuoi andare?