Gatti cintura nera e il topo bullo

Questa è la fiaba di Guido Sperandio (25 Marzo 2009)

Un grosso topo si mangiava il prezioso e sudato grano di un contadino.
Il topo si faceva colossali abbuffate ma il contadino non voleva usare i terribili veleni in commercio. Così non sapendo come e cosa fare, andò da un vecchio e saggio monaco.
“Hai ragione a non usare i terribili veleni” il monaco approvò. “Ho io il giusto rimedio”.
E il monaco diede al contadino un magnifico gatto.
Stupendo esemplare.
Rosso-fuoco.
Tutto muscoli.
Agile e scattante.
Da far pensare che un sorcio sarebbe morto di paura solo a vederlo.
Messo alla prova, il gatto rosso fu subito sul topo. Ma il topo, più lesto, gli si ritorse contro azzannandogli i baffi.
Con tanta ferocia…
Che il gatto mollò la presa. Dolorante. E il topo ebbe tutto il tempo di filarsela, e farsi beffe sia del gatto che del contadino.
Il contadino tornò dal monaco. Gli riportò il gatto rosso coperto di cerotti. E il monaco dopo avere riflettuto diede al contadino un altro gatto.
“Questo è molto più forte e allenato” disse il monaco. “Basti dire che è cintura nera… Cintura nera nella magica antica arte del karate”.
In effetti, era un gatto che con una zampata spezzava un tronco in due.
Beh, il gatto, cintura nera nella magica antica arte del karate, come vide il topo lanciò il suo tipico terribile urlo e gli si avventò addosso.
Con la furia spaventosa di un ciclone.
Il topo, sorpreso, era restato di sasso. Fermo. Apparentemente annichilito.
Salvo che…
All’ultimo momento, quando c’era da aspettarsi di vedere pezzi di topo volare, il topo s’era spostato. Da schivare il gatto che, lanciato, era finito impastato contro un muro.
Il contadino, disperato, tornò dal monaco. Gli riportò il gatto, incerottato e in più coperto di bende peggio di una mummia.
“Quel topo è davvero un demonio!” commentò il monaco. “Ma visto quanto è tosto, stai tranquillo… Adesso ti do io quel che ci vuole”.
Il monaco, stavolta, diede al contadino un gatto malmesso, dall’aria che stringeva il cuore. Spelacchiato. I peli bigi. Era anche vecchio. Si muoveva malfermo sulle zampe. Ciondolava. Sembrava sempre sul punto di cadere addormentato.
Il contadino, vedendolo, scosse la testa. Pensò: questo monaco è impazzito o si sta divertendo alle mie spalle.
Non osando comunque dire niente, tacque. E se ne andò col gatto malconcio.
Tornato a casa, il contadino lasciò il gatto malconcio nel granaio. Certo che non avrebbe combinato niente.
Il gatto, difatti, si lasciò subito cadere accovacciato. Si acciambellò, comodo e per benino. E iniziò a russare. Tanto sonoramente, da far vibrare perfino le travi al soffitto.
Il topo, visto il gatto, scoppiò a ridere da farsi scoppiare ancora un po’ la pancia.
“Oh, ora mi diverto” pensò. Compiaciuto.
E così pensando, intanto si avvicinava al micio.
“Oltre che spelacchiato dev’essere anche sordo” si disse il sorcio ridacchiando.
Aveva abbandonato ogni precauzione, indeciso se partire dalla coda del gatto e morderla o se tirargli invece i baffi.
E intanto sempre più si avvicinava…
Il vecchio micio non ebbe bisogno di fare tanta fatica. A differenza dei suoi due predecessori.
Gli bastò allungare una zampa.
Assestò al sorcio un ceffone…. Che il topo bullo sta girando ancora adesso.
Su se stesso.

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