I bruchi
Giuseppe Porto
Il bruco che si trascina
su due molli file di piedi,
è anch’esso creatura divina,
con un cuore che tu non vedi.
Bruchi rossi come rubini,
bruchi verdi come smeraldi,
irti di peli lunghi e fini
come una seta che li riscaldi;
portano un fuoco che li consuma,
sentono un’ansia che li trasforma:
si trascinano, eppure nessuna
orma è più lieve della loro orma.
Sono anime incatenate
dentro corpi goffi e orrendi:
ma quando le belle giornate
ritornano a splendere, e i venti
vanno colmi d’odori e di polline,
nessun occhio vede più i bruchi:
son scomparsi dai prati, dai colli;
si sono chiusi in cortecce ed in buchi,
si sono appesi al ramo e alla foglia,
ma mutati, come mummie di carta
velina, con dentro la voglia
che preme, con un cuore che batte
già l’ala a una gran vita celeste.
E quando un mattino tu vedi
volare farfalle in gran veste
di gala, ah, ricorda i lor piedi
già molli e quegli orridi dorsi
villosi: ripensa al divino
anelito che li ha percorsi
nel loro terrestre cammino.