Il fiore giallo

Sanja Rotim

Il fiore gialloIn un paesino piccolo viveva una ragazzina quattordicenne di nome Giulia. Abitava in una casa modesta insieme ai suoi genitori, la sorellina più piccola di lei di cinque anni, con cui divideva la stanza e il suo adorato cagnolino Bobbi.

Giulia era una ragazza molto simpatica, amata da tutti. Non era particolarmente bella, forse per via delle orecchie grandi e il naso molto pronunciato, ereditato dal padre. Desiderava aver un aspetto più piacevole e a volte si lamentava di essere brutta. “Guarda che naso ho. Sono proprio brutta”. Ma il papà le rispondeva: “Secondo te io sono brutto?” “Ma cosa dici, papino, sei il più bello del mondo”. “Allora, come fai a dire che sei brutta che mi assomigli così tanto?”. Le piaceva la risposta del papà e poi aveva tante cose da fare e pensare. Solo qualche volta, così, le venivano questi pensieri.

Di fronte alla loro casa abitava una signora anziana, la signora Luigia. Non aveva figli e da quando era rimasta vedova era molto triste e sola. Aveva un bellissimo giardino pieno di fiori su cui si affacciava la finestra della cameretta di Giulia. “Signora Luigia, ha bisogno di qualcosa, posso esserle d’aiuto?” chiedeva sempre Giulia. “Sei così dolce, bambina mia, se vuoi puoi aiutarmi a bagnare i fiori, perché ormai faccio fatica a piegarmi, mi sarebbe veramente utile”. “Naturalmente che posso, signora Luigia, tutte le volte che vuole, poi a me i fiori piacciono molto”. Così Giulia dalla sua finestra ammirava i fiori della signora Luigia e l’aiutava sempre a bagnarli.

Quando andava a scuola Giulia veniva accompagnata sempre da Bobbi; doveva attraversare dei campi per arrivarci. Così Bobbi saltellava, sfruttando ogni secondo per poter stare con Giulia. L’aspettava davanti alla scuola e poi tornavano ancora insieme a casa. Nei campi c’erano dei fiori e Giulia aveva impressione che un fiore in particolare la osservasse con interesse. Ma non disse niente, pensando che forse era lei che si metteva certi pensieri in testa.

Giulia aveva una cara amica, Sara, che dopo scuola veniva a trovarla spesso. Anche Giulia andava a casa sua. A volte giocavano, a volte chiacchieravano, ridevano. Un giorno sulla strada per andare a scuola Giulia aveva notato quel fiore che girava la sua corolla quando la vedeva. “Bobbi, non ti sembra che quel fiore mi stia fissando?”. Si avvicinarono così al fiore, che aveva una corolla gialla, sembrava la miniatura del sole appoggiato sul prato verde. “Senti, fiore giallo, a me sembra proprio che mi guardi ogni volta che passo di qui. Hai per caso qualcosa da dirmi?”.

“Hai indovinato, cara. So che tu sei una brava ragazzina. Per questo vorrei esaudire i tuoi desideri. Io ho questo potere. Però, di desideri puoi averne tre e devi fare in tempo a esprimerli finché non appassisco.” “Lascia perdere”, disse Bobbi, “cosa vorresti desiderare, hai già tutto”. “Va bene, ci penserò”, rispose Giulia al fiore giallo. Chiacchierando con Bobbi lungo il tragitto, pensò anche lei che non sapeva cosa desiderare. Ma tornata a casa le venne in mente una cosa da chiedere al fiore e così tornò da lui.

“Fiore, vorrei essere più bella, si può fare?” “Certo, questo è il tuo primo desiderio e ricordati che non devo appassire per vederne altri due esauditi”. “Non ti preoccupare e grazie, fiore giallo”. La trasformazione non fu così improvvisa, ma ogni giorno Giulia vedeva che le sue orecchie diventavano più piccole e così anche il naso, le ciglia più folte e i capelli più splendenti. “Tua figlia sta diventando un cigno”, dicevano le amiche alla mamma. “Quando hanno quest’età cambiano così alla svelta” rispondeva lei. Adesso Giulia era proprio consapevole della sua bellezza. Anche la signora Luigia le faceva complimenti quando andava a bagnarle i fiori. Solo che Giulia adesso aveva sempre meno tempo per gli altri, perché passava tanto tempo davanti allo specchio. Più raramente andava a casa di Sara e anche lei veniva a trovarla meno spesso. A volte persino si dimenticava di andare dalla signora Luigia. Bobbi abbaiava fuori, aspettandola davanti alla porta, ma lei era sempre davanti allo specchio. Non c’era niente da fare, si era innamorata di quell’immagine che vedeva nello specchio. Anche alla sorellina dedicava meno tempo.

Dopo un po’ le venne in mente che poteva esprimere altri desideri. Così andò ancora dal fiore giallo, tutta contenta e speranzosa. “Fiore giallo, posso esprimere il mio secondo desiderio. Vorrei essere ricca.” “Va bene”, disse il fiore” e non dimenticare di fare in tempo per il terzo desiderio. Se appassisco non te lo posso esaudire”. “Mi ricorderò senz’altro”, rispose.

Quando tornò a casa Giulia, trovò una sorpresa. Al posto della sua casa minuscola, c’era una villa grande con il giardino. Sulla porta stava il maggiordomo. Quando la vide si inchinò e le chiese la sua giacca per appenderla. In un primo momento Giulia voleva chiedere spiegazioni, ma poi si ricordò che aveva appena espresso il secondo desiderio. Quando salì in camera sua, rimase a bocca aperta. Non divideva più la stanza con la sorellina, ma ne aveva una tutta per lei. E che stanza! Così spaziosa, con un letto a baldacchino in mezzo, come quella di una principessa. “Evviva!” Si buttò sul letto e osservò il soffitto che aveva dei disegni con gli angeli. Poi si alzò e apri l’armadio. “Ooh, che vestiti!” Si sentiva così felice, adesso aveva proprio tutto. Cosa avrebbe potuto desiderare di più?. Entrò la mamma in camera sua, tutta vestita elegante, ingioiellata e truccata, non l’aveva mai vista così. Sua mamma era una semplice donna di campagna. “Papà ha avuto una promozione, così adesso ci possiamo permettere un po’ di lusso, no?” “Certo, mamma. Chissà come saranno stupite le mie compagne di classe quando mi vedranno indossare questi bei vestiti”. “Ma tu non andrai più a scuola, bambina mia. Verranno i professori qui a darti lezioni private. Avrai la miglior istruzione che si possa desiderare. Un professore per inglese, uno per francese, uno per matematic, i ricchi non frequentano scuole pubbliche”, le spiegò la mamma.

Giulia non era preoccupata per questa cosa, aveva solo in mente la sua cameretta e i vestiti da principessa. Bobbi abbaiava sotto casa, aspettandola, ma lei gli disse dalla finestra di smettere, perché non aveva tempo. Anche la signora Luigia l’aspettava tristemente, ma non voleva essere troppo invadente.

Passarono così un po’ di giorni, tra una lezione e l’altra, davanti allo specchio a guardarsi vestita di bellissimi indumenti. Però le era passato in testa il pensiero che non aveva nessuno a cui mostrare i suoi vestiti. Ai professori di certo non interessavano. Così giorno dopo giorno, la felicità iniziale di Giulia cominciò a diminuire e lei se ne rendeva perfettamente conto. Ogni giorno diventava più triste, le mancavano le sue amiche. “Come era bello andare a scuola, stare con gli amici, ridere e scherzare”. Si affacciò alla finestra per prendere una boccata d’aria e notò i fiori della signora Luigia, tutti sofferenti. All’improvviso le venne in mente il fiore giallo. Si vestì in fretta. “Spero di essere ancora in tempo”. Uscì di corsa, “Bobbi, corriamo”. Il fiore giallo da lontano non si notava più. “Bobbi, speriamo che non sia appassito, per favore, fiore…” Quando si avvicinarono al posto dove stava il fiore giallo, non riuscirono quasi a riconoscerlo. Si era piegato, la sua corolla non era più gialla, ma quasi marrone. Stava appassendo, ma era ancora vivo, per fortuna. “Fiore, fiore, per favore, non abbandonarmi. Ho ancora un desiderio. Vorrei tornare a essere la Giulia di prima.” “Bene, cara. Fate sempre in tempo, grazie al cielo.” “Cosa intendi dire con questo, fiore giallo?” chiese. “Io sono un messaggero del Sole. Cresco qua e là in cerca delle brave persone e devo far capire a loro che non devono mai desiderare di essere qualcun altro.” Erano le sue ultime parole.

Quando tornarono Giulia e Bobbi, ritrovarono la loro vecchia cara casettina. “Signora Luigia, arrivo, vedo i fiori un po’ sofferenti. “Grazie, cara, mi sei mancata”. Giulia entrò nella sua camera, che ancora divideva con la sorellina. Si guardò allo specchio. “Mi piaccio, anche se ho il naso un po’ grande come mio papà”, pensò. “Domani si va a scuola. Evviva!”.

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