Il garzone fortunato

Francesca Fabris

In un paese del basso Egitto una mattina prima dell’alba il garzone di un fornaio stava facendo un giro di consegne quando, svoltando in un vicolo, per poco non inciampò nel corpo di un uomo. Riavutosi dallo spavento si avvicinò per capire chi fosse. L’uomo non era morto, ma soltanto svenuto e aveva una ferita alla testa, sicuramente era stato picchiato, ma da chi? Il ragazzo alzò lo sguardo e vide qualcosa in lontananza. Poi sollevò il mantello per vedere se avesse ferite più gravi e gli trovò addosso un pugnale col manico d’oro tempestato di pietre preziose. Ebbe subito la tentazione di prenderlo, lo nascose lesto tra le focacce e scappò perché il malcapitato stava riprendendo conoscenza.
Passavano i giorni e la speranza che nessuno lo accusasse del furto diventava certezza.
Un’altra mattina prima dell’alba il garzone sentì delle grida di aiuto provenire dalla piazza: era una ragazza legata alla colonna del tempio. Il garzone accorse prontamente e con il pugnale la slegò. Ma da dietro la colonna sbucò qualcuno.
“Dove hai preso quel pugnale?”, disse.
“E’ un regalo!”, rispose il garzone.
“Bugiardo! Appartiene a me”.
Il ragazzo si sentì perduto. “Signore, non volevo far nulla di male! Con i miei guadagni è difficile tirare avanti! Ho preso il pugnale con l’intenzione di venderlo, ma non ci sono mai riuscito. Ecco, tenete!”, e piangendo restituì il pugnale.
“Dov’è il resto?”
“Credetemi, signore! Non vi ho rubato nient’altro!”
L’uomo prese il pugnale, ebbe pietà del giovane e disse:
“Sono un consigliere del faraone, egli vuole che mi mescoli alla gente per scoprire quali sono le necessità del suo popolo. L’altra notte sono stato picchiato e derubato di tutto. Scopro ora che tu hai preso solo il pugnale. Secondo la legge ti dovrei punire, ma il nostro faraone è un uomo giusto e saprà cosa fare”.
“Signore, io so chi sono i ladri, li ho visti scappare!”
Il garzone e il consigliere furono ascoltati dal faraone che fece arrestare i ladri e decise che il ragazzo prendesse tante monete d’oro quante la sua cesta ne poteva portare. Con quella grande ricchezza il garzone aprì un negozio del pane grande e lussuoso e visse per sempre felice e contento.

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