Il genio incompreso

Massimo Lunardelli

C’era una volta, e questa è la sua storia, un genio. E non un genio qualunque, come ce ne sono in giro tanti, ma un grandissimo genio, il migliore di tutto il pianeta e forse anche dell’intero universo. Era davvero una persona intelligentissima, in qualunque campo si cimentasse non aveva rivali, gli bastava mezza giornata per imparare ogni cosa e diventare primo in tutto. Sapeva essere un eccellente matematico, uno straordinario scrittore, un grande ingegnere, un inimitabile musicista, e poi un astronomo, un astrologo, un archeologo, persino un ottimo cuoco, per non dire di quanto era bravo a disegnare; ma la sua dote più grande, il suo essere genio tra i geni, consisteva nell’avere ogni giorno una fantastica idea nuova. Non era colpa sua, non lo faceva certo apposta, gli bastava svegliarsi al mattino ed ecco che subito, con ancora gli occhi chiusi, senza neanche scendere dal letto, una lampadina si accendeva nella sua testa. Aveva già inventato praticamente di tutto, per esempio l’orologio che non segnava il tempo; oppure il cappotto trasparente, così uno non aveva bisogno di mettersi le mani in tasca per sapere se aveva le chiavi; o la macchina a tre ruote che invece di andare a benzina andava ad acqua; o la bicicletta che pigiando un pulsante si trasformava in aeroplano; o la cipolla che quando la tagliavi non faceva piangere ma ridere; o ancora le patatine che uscivano con un fischio dal frigorifero e si friggevano da sole nella padella.Insomma era proprio un super genio, questo almeno era quello che pensava di se stesso, perché a dire il vero ogni volta che andava in giro a cercare di vendere le sue invenzioni, anzi addirittura qualcuna era persino disposto a regalarla per fare del bene all’umanità, si sentiva rispondere sempre alla stessa maniera: “Che cosa sarebbe questa idea nuova? Adesso basta con le tue stupidaggini, lasciaci in pace, vattene, non vedi che abbiamo da fare cose molto più serie che stare a sentire un imbecille come te?” gli dicevano prendendolo in giro, umiliandolo poveretto, facendolo sentire piccino, piccino, con solo più la voglia di piangere e di nascondere la testa sotto la sabbia per lo sconforto: “Nessuno mi capisce, nessuno mi vuole, sono proprio un buono a nulla” si disperava. Ma era soltanto un momento, perché subito si riprendeva: “Non è vero, io sono un grande genio e gli altri sono soltanto invidiosi, lo fanno apposta per non darmi la soddisfazione di dirmi che sono il più bravo. Ma un giorno, quando diventerò ricco e famoso come mi merito e come è giusto che sia, voglio proprio vederli strisciare ai miei piedi e chiedermi scusa” pensava orgoglioso e con un po’ di rancore.
Intanto però il tempo passava e quel povero genio non aveva i soldi neanche per mangiare. A dire il vero aveva provato ad inventare una dispensa che si riempiva con la forza della mente, ma non ci era riuscito. Trascorreva le ore nella sua piccola casa, seduto su di una sedia a dondolo, in mezzo a tutte le sue invenzioni, le sue idee, i suoi progetti che ormai avevano riempito la stanza fino al soffitto. Tanto era il suo sconforto che una mattina, appena sveglio, forse a causa dello stomaco che brontolava dalla fame, ebbe un’idea diversa dal solito: “Basta, mi sono stufato di essere un genio, voglio diventare il più stupido tra gli stupidi” disse tra sé, alzandosi dal letto. E per esserlo davvero, per essere sicuro di non sbagliarsi e di non pentirsi, prima gettò nella spazzatura tutto quello che aveva inventato, compresa la sciarpa gelata che si metteva d’estate, e poi si mise a dare testate contro il muro fino a quando non cadde a terra svenuto. Restò lì sdraiato per tre settimane, poi si risvegliò: “Chi sono? Cosa ci faccio qui?” si chiese. E se lo domanda ancora oggi, come uno stupido, tutte le mattine quando si sveglia.

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