Il grande passo

Emanuela Nava

Tommaso non capiva come mai a suo fratello maggiore fosse stato consentito e a lui invece proibito. Eppure la mamma lo aveva detto tante volte che solo così si diventa grandi. E anche la maestra Costanza Biscuola, che aveva un bel nome da romanzo, lo aveva ripetuto molte volte in classe.
– In Africa alla stessa età si va nella foresta ad affrontare leoni e leopardi. Anche voi a undici anni dovrete dimostrare che siete pronti per il grande passo.
Il grande passo era lasciare gli amici e avventurarsi nel mondo da soli. Ma Tommaso sapeva che Fabio e Ezio quel giorno non lo avrebbero abbandonato.
– Se dobbiamo combattere contro le belve feroci, facciamolo almeno insieme. – diceva ai compagni.
Il giorno venne, ma qualcosa era cambiato.
Tommaso non capiva, chiese spiegazioni. In classe c’era un’eccitazione scontenta. Per cinque anni si erano preparati tutti, maschi e femmine, a superare la prova. La maestra Biscuola aveva annunciato che quello sarebbe stato un giorno molto speciale, dove persino i desideri più matti, se uno avesse avuto il coraggio di scriverli o di rivelarli a voce alta, da grandi si sarebbero potuti avverare.
Tommaso da grande voleva fare il Viaggiatore. Lesse mappe, consultò cartine, imparò nomi bellissimi a memoria: Timbuctù, Varanasi, Castagneto Carducci, Kinshasa, Libreville.
Era pronto per il tema e per l’interrogazione di geografia. Era pronto anche per attraversare la savana e affrontare una iena se fosse stato necessario. Ma Costanza Biscuola una mattina annunciò a testa bassa che l’esame di quinta elementare era stato abolito, che sarebbero andati in prima media senza sostenere nessuna prova.
– Senza prove? Ma allora quando diventeremo grandi?- chiese qualcuno.
– A quattordici anni. – rispose la maestra. – Alla fine della terza media.
Tommaso tornò a casa e, a chi si complimentò con lui perché l’aveva scampata bella, disse che quella era stata proprio una disgustosa ingiustizia.
Suo fratello era diventato grande a undici anni, mentre lui per diventare grande avrebbe dovuto aspettare un’età spaventosa. Un’età in cui in certi paesi forse si è già papà.

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