Il segreto dei cavallini della foresta di Bialowieza

Antonio Trillicoso

C’era una volta, ma c’è ancora, ma adesso ci sono solo rovine, un castello. Ma possiamo dire pure che era un villaggio.
Il villaggio del “Signore” e “Padrone”: il principe Micka Mickaelevic Mikowski.
Si trovava, e si trova ancora, ai margini della foresta di Bialowieza, tra la Bielorussia e Polonia.
Quando il castello-villaggio era abitato, c’erano continue feste e festini che vedevano la presenza della più nobile “nobiltà” della regione.
Un giorno al castello giunse un personaggio strano dall’aspetto decisamente sinistro, era un misto tra un monaco e un mago.
Giunse su un carretto vuoto con delle cancellate, come quelli usati per il trasporto dei malfattori. C’erano anche delle catene proprio come quelle usate per tenere i condannati a morte. Tutti si chiedevano chi fosse e cosa fosse venuto a fare.
Alcuni giorni dopo il suo arrivo, si presentò all’ingresso degli appartamenti privati del principe Micka e chiese di incontrarlo per rivelargli delle cose importanti riguardo la foresta di Bialowieza.
Questa foresta da sempre era considerata un luogo stregato dove avvenivano fatti strani e cose inspiegabili.
Ad alimentare questi mestieri, circolava una leggenda secondo la quale, tra la vegetazione della foresta, viveva una piccola mandria di cavalli selvaggi. Non erano stalloni, erano di bassa statura, più simili agli asini.
Si diceva che chi fosse riuscito a cavalcarne uno, sarebbe stato l’uomo più potente del mondo.
Si diceva anche, che solo un uomo di animo nobile sarebbe riuscito a cavalcarne uno, dopo averlo trovato.
Molti nobili e titolati avevano tentato questa impresa. La maggior parte di essi non era più tornata.
Chi era riuscito a tornare non ricordava più niente.
Al castello del principe Micka Mickaelevic Mikowski, passavano tutti quelli che volevano affrontare questa impresa.
Arrivarono dai paesi Baltici, da quelli Orientali, quelli Africani e anche un principe dal lontano Giappone.
Adesso però, erano mesi che al castello non veniva nessuno, perché era arrivato l’inverno e la neve, la nebbia e il ghiaccio rendeva l’impresa ancora più difficile.
Quei pochi che avevano tentato l’impresa d’inverno, non avevano trovato la minima traccia dei cavallini, si pensava ad una loro transumazione.
Il principe Micka aveva da tempo il desiderio di intraprendere questa impresa, ma il principe Serghei, suo padre, glielo aveva sempre impedito.
Da quando il padre era morto, stava preparando il viaggio, raccogliendo tutte le notizie e le informazioni possibili per prevenire qualsiasi imprevisto.
Quando il servo gli annunciò l’arrivo del “monaco” e del motivo per cui lo volesse incontrare, subito lo fece entrare nel suo appartamento privato.
Restarono chiusi da soli fino a notte fonda.
La mattina seguente, di buonora il principe Micka si preparò per uscire. Non era una delle solite uscite, ma nemmeno come quando partiva per un viaggio.
Salì sul cavallo tenuto fermo da uno dei suoi servitori, aveva con se solo la sua spada. Tutti nel piccolo villaggio-castello, si fermarono a guardare il loro “Signore” e “Padrone”, si creò un’atmosfera carica di tensione.
Lui, fiero sul suo destriero, guardò tutti prima di partire.
L’atmosfera di silenzio fu interminabile, fu interrotta dal pianto della vecchia balia che aveva intuito che il suo piccolo Micka partiva per un’impresa ardimentosa molto rischiosa.
Con un colpo secco dei talloni nei fianchi del suo cavallo, si avviò verso l’uscita del castello.
In pochi attimi scomparve nella fitta boscaglia della foresta di Bialowieza.
Dopo alcuni giorni senza notizia, fu inviato un drappello di cinque uomini alla ricerca del principe.
Passarono cinque giorni e cinque notti, all’alba del sesto giorno, tra la
Nebbia, apparvero i cinque uomini dall’aspetto trasandato, ma fieri come quando si ritorna da una battaglia vittoriosa.
Dietro di loro il principe Micka, in sella ad un cavallo di bassa statura dal pelo bianco, con la testa e la parte bassa delle gambe di colore nero.
Nel castello-villaggio, subito si sparse la voce dell’arrivo del loro “Signore”. Tutti si resero conto che quel cavallo bianco, era uno dei famosi cavallini di Bialowieza.
La leggenda si era trasformata in realtà.
Questo significava che il loro “Signore” era davvero un uomo dal cuore nobile.
Ci furono festeggiamenti per sette giorni e sette notti, arrivarono da tutti gli angoli della regione. Tutti volevano sapere come avesse fatto a catturare e cavalcare uno dei cavalli di Bialowieza.
Quale fosse il segreto di questa impresa, il principe Micka non lo rivelò mai a nessuno, e nemmeno cosa si fosse detto con il “monaco” quella notte prima di partire.
Qualche anno più tardi, si venne a sapere, che il segreto dei cavallini era legato al colore della loro pelle, che cambia con l’avvicendarsi delle stagioni. Mimetizzandosi, riuscivano a non essere catturati.
Il principe Micka si sposò ed ebbe sette figli, continuò a governare in pace e con giustizia per il resto dei suoi anni, grazie alla forza trasmessa dal cavallino di Bialowieza che era riuscito a prendere.
Del “monaco” non se ne seppe più niente. Come era arrivato così sparì nel nulla.
Chi disse che era un santone, chi che era un nobile decaduto, chi uno stregone, chi addirittura diceva che era il diavolo al quale il principe Micka aveva venduto la sua anima per sapere il segreto dei cavallini della foresta di Bialowieza.

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