Il signor Aiuola

Ecco la fiaba di Andrea (13 maggio 2004).

Il signor Aristide Aiuola abitava in una casa in campagna non lontano dal centro della città e aveva un bellissimo lavoro. Faceva il lavavetri.
Lavava i vetri dei negozi, delle case, ma non solo, anche quelli dei palazzi più alti della città. In quel caso attaccava una robusta corda sulla cima del palazzo in questione, poi si calava giù con un secchio in una mano ed un panno nell’altra, quindi puliva tutti i vetri che da dentro l’edificio non si potevano pulire.
Il signor Aiuola era fiero del suo lavoro. Quando aveva un po’ di tempo libero se ne andava a spasso per la città e se vedeva un palazzo i cui vetri aveva pulito si soffermava a guardarlo e ai passanti diceva soddisfatto: “Quello l’ho pulito io! E’ splendente!”
Lo sporco dei vetri in città, con tutte le macchine, motorini e camion non mancava mai, quindi il lavoro del Signor Aiuola andava benissimo. Tutte le sere arrivava a casa e sua moglie Lisa gli diceva: “Amore, ha chiamato l’amministratore Stellis, dice che devi pulire tutti i vetri del palazzo Bellavista. E ha chiamato anche il banchiere Magnagatti. Dice che devi pulire tutti i vetri della banca di via Cavour al più presto!”
Lui, togliendosi i vestiti e mettendosi il pigiama, rispondeva: “Sì cara. Domani farò il palazzo Bellavista e dopodomani la banca Magnagatti.”
Tutto andava bene per il signor Aristide Aiuola. Il lavoro non mancava, i soldi sotto il materasso erano abbondanti, la moglie gli voleva bene ed era anche un’ottima segretaria. Insomma, il signor Aiuola non aveva niente di cui lamentarsi.
Un giorno, dopo aver passato la settimana a pulire i vetri del palazzo più grande della città, l’Altocento, che aveva ben 20 piani, Aristide arrivò a casa. Lisa, sua moglie, gli diede un bacio e come al solito gli disse delle telefonate che aveva ricevuto: “Amore, ha chiamato il signor Struzzi e dice che c’è bisogno di pulire tutti i vetri della palestra di via Gardini, poi ha chiamato Don Nicola, per pulire tutte le vetrate della chiesa.”
“Cara. Doman comncerò con l pscna e dopodoman farò le vetrate della chesa d don Ncola”
Lisa pensò di avere udito male e si ravanò le orecchie con la penna con cui prendeva tutti gli appunti. Quindi disse: “Domani comincerai il lavoro… Vero amore? Ho capito bene?”
“S, doman nzo l lavoro.”
“Come?! Ma come parli, amore? Non ti capisco!” disse Lisa mettendosi faccia a faccia con il marito.
“Parlo come sempre, amore. Doman nzo l lavoro!”
“Domani inizi il lavoro… Questo vuoi dire, caro?”
“S. Doman nzo l lavoro.”
“Vedi, vedi… C’è qualche cosa che non va, amore. Non riesci più a parlare. Non pronunci più le “i”.”
La Signora Aiuola si mise le mani nei capelli e disse: “Fai un bel respiro, amore, e prova a dire “domani”!”
Il Signor Aiuola fece un bel respiro e disse: “Doman…” Riprovò e riprovò, ma altro non riusciva a dire che “Doman… doman…”
“Amore, vedi. C’è qualche cosa che non va. Forse ti sei ammalato.”
“Ma no. O m sento benssmo!”
“E allora perché hai perso la “i”?”
“Chssà!”
“Proviamo ancora. Prova a dire… Illinois?”
“E che cos’è? Una marca d panetton?”
“No. È una regione dell’America. Prova!”
Il signor Aiuola fece un bel respiro ma tutto ciò che seppe dire fu: “Llnos…”
“Riprova, amore mio bello. Riprova! Concentrati!”
“Llnos… Llnos…”
Non c’era niente da fare. Il signor Aiuola aveva perso completamente la “i”. Non riusciva più a pronunciarle e, cosa altrettanto strana, neanche riusciva più a scriverle!
Il signor Aiuola era preoccupato e anche la moglie lo era, così decisero di andare a cercare un dottore.
Passò un po’ di tempo. Di dottori ne avevano visitati non uno ma dieci. C’era chi aveva detto che era una malattia che andava curata con delle pastiglie speciali per il mal di testa, c’era chi diceva che non si poteva fare niente, ma che un altro dottore forse avrebbe potuto fare qualche cosa. C’era chi diceva che era un problema alla gola da curare con una serie di speciali tisane della Tailandia. Ci fu anche un dottore che come cura disse al Signor Aiuola di mettere nella sua camera dei bei poster con raffigurate delle bellissime “i”. A casa fecero quello che il dottore aveva detto: riempirono non solo la stanza da letto, ma anche la sala, la cucina e il bagno. Dappertutto c’erano poster o foto di “i”: quella maiuscola, quella minuscola, quella in corsivo, quella sottolineata, quella con i ghirigori, quella grassettata, quella tedesca antica e quella accentata. C’era la speranza che con tutte quelle “i” la mente e la gola del signor Aiuola si sarebbero risvegliate, ma…
Passato un mese non era cambiato proprio niente. Il signor Aiuola continuava a non pronunciare la “i” e una mattina la situazione si aggravò ulteriormente.
Marito e moglie stavano facendo colazione quando lui disse: “Cara, passa l latt pr favor.”
“Cosa dici, amore?”
“Passa l latt.”
“Cosa? Vuoi il tè?”
“No. L latt.”
“Il latte? Vuoi il latte?”
“S, cara.”
Lisa allora si mise a piangere. Aveva capito che suo marito aveva perso anche la “e”. La situazione si faceva sempre più grave.
I due ripresero a cercare il dottore giusto che potesse trovare la cura adatta. Ne visitarono altri dieci… Tutti dicevano che bisognava fare qualche cosa così le provarono tutte: a cambiare alimentazione, a cambiare la marca dell’acqua che bevevano, a cambiare il tipo di giornale che ogni mattina comperavano. Un dottore gli disse che forse il signor Aiuola doveva cambiare lavoro… Allora il signor Aiuola fece per un mese il cameriere, per due il marmista, per tre il metronotte, per un altro mese lo spazzacamino, per un altro il pescivendolo. Ma tutti quei cambiamenti non sortirono alcun effetto, anzi: dopo aver perso la “i” e la “e” il signor Aiuola perse anche la prima consonante, la “t” e dopo quella anche la “f” , la “m” e la “s”.
Il signor Aiuola era arrivato a parlare in un modo che nessuno ci capiva più niente. Quando il fruttivendolo lo vedeva, avrebbe preferito scappare, piuttosto che servirlo perché gli diceva: “Un klo d nalaa, u klo d pr, r to d przzolo, mzzo klo d aparag…” e ci voleva mezz’ora prima che avesse capito tutto quello che voleva.
Passò un anno in casa Aiuola. Lisa era sempre più disperata perché non ci capiva più niente e perché intanto il marito aveva perso anche la “a” e la “c”. Di dottori non ne visitarono più perché avevano capito che era tutto inutile e anche perché non avevano più soldi per pagare le visite.
Ma una mattina accadde qualche cosa di assolutamente insperato. Mentre erano a tavola per la colazione Lisa disse al marito: “Amore, nell’orto i finocchi sono maturi? Vuoi che te li faccia in casseruola come ti piacciono?”
“Sì!” rispose Aristide.
Lisa, udito quel “sì” con la “i” era sobbalzata sulla sedia. Erano anni che non sentiva una “i” da suo marito.
“Amore! Hai detto la “i”. È un miracolo!”
Aristide era sorpreso. Non si era accorto del miracolo. Ma la contentezza della moglie l’aveva contagiato tanto da mettersi a gridare un “sì” lunghissimo: “Siiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”
I due si abbracciarono. Forse tanti anni di patimenti erano finiti, ma Lisa volle mettere alla prova il marito: “Proviamo a vedere se ti sono tornate delle altre lettere: prova a dire “imbecille”.”
Aristide prese un bel respiro, ma tutto ciò che gli uscì fu un misero: “icill.”
Lisa storse il naso, però disse: “Mancano tutte le altre lettere, però la “i” è tornata. Ora bisogna scoprire perché. Forse una delle cure che abbiamo fatto in questi anni ha finalmente fatto effetto. Però abbiamo fatto mille cure! Quale sarà quella che ha funzionato?”
Aristide scosse la testa. Ne avevano fatte davvero così tante!
“Fors qull pgl ro dl dor Iui?”
“Come? Forse quelle pastiglie rosse del dottor Ciucci?”
“Sì!”
“Però potrebbe averti giovato anche fare per un mese il marmista!” obiettò Lisa.
“Fors… S foro qull pul ll nio?”
“Come? Se fossero quelle capsulette alla manioca? Quelle che ti ha dato il dottor Camuzzo? Sì, può essere, ma potrebbe anche essere stata la polenta che ho fatto ieri sera. Erano anni che non la facevo. Forse è la polenta che ti ha fatto bene!”
I due erano confusi. Il signor Aiuola aveva fatto un passo verso la guarigione, ma non sapevano cosa esattamente l’avesse aiutato. Potevano essere mille cose.
Per tutto il giorno, seduti al tavolino di casa, passarono in rassegna tutte le cure fatte nel corso degli anni, pensarono a tutte le iniziative intraprese e a tutte le pastiglie, pasticche, capsule, infusi e tisane provate, ma chissà quale era quella giusta? Ora bisognava riprovare tutto da capo. E poi, quando si sarebbe avuto l’effetto di guarigione desiderato?
Era sera e Lisa si era messa a cucinare. Intanto il signor Aiuola era uscito in giardino per dare un’occhiata all’orto quando il signor Spallatozza, dal campo vicino, lo invitò ad avvicinarsi: “Vecchio mio, come va?… Quanto tempo che non ci vediamo!… Sono passati due anni dall’ultima volta che ci siamo visti… Ti ricordi, mi avevi aiutato a piantare il melo nel mio giardino. A proposito, guarda: l’albero ha fatto il suo primo frutto!”
Così il signor Spallatozza tirò fuori dalla tasca la bella mela che aveva appena raccolto.
“Beh, visto che è un po’ che non ci vediamo,” riprese a dire Spallatozza, “te la regalo. Guarda che bella!”
I due si salutarono e il signor Aiuola tornò a casa per la cena. Quando entrò in casa si avvicinò alla moglie per mostrare la bella mela che Spallatozza gli aveva dato e disse: “Gurd che bll ml. Dll’lbro ch ho pinao inim lui du nni.”
“Come? Guarda che bella mela… Dall’albero che ho piantato insieme a lui due anni fa?”
“Sì.”
In quell’istante Lisa ebbe un’idea. Mollò il mestolo nella pignatta nella quale stava girando la polenta e disse: “Amore, quanti alberi hai piantato in questi anni?”
“Du. Uno on Pllozz uno nl noro girdino.”
“Due… Uno con Spallatozza e uno nel nostro giardino… E quanti ne hai abbattuti in questi anni?”
Aristide si mise a contare sulle dita: “Uno, du, r, quro… oo!”
“Otto… E quante sono le lettere che ti sono venute a mancare?”
“Oo!”
“Ecco! Ti manca una lettera per ogni albero che hai abbattuto! Io te l’avevo detto di non tagliare quegli alberi! Ci stavano così bene e facevano dei frutti così belli, ma tu… con la storia di dover fare spazio per parcheggiare la macchina, il furgoncino e la moto hai voluto fare di testa tua.”
“Non poibil!” disse il signor Aiuola.
“Invece è possibile! Vedi! È così! L’albero che invece hai piantato ha dato il suo primo frutto e ti è tornata una lettera, la prima che ti era venuta a mancare!”
Il signor Aiuola lo ammise a se stesso: per ogni albero che aveva tagliato gli era scomparsa una lettera. Ma non era del tutto sicuro. Il secondo albero che aveva piantato era un pero che aveva un frutto, ma non ancora del tutto maturo. Decise di aspettare qualche giorno…
Una mattina di quelle, a colazione, i due stavano mangiando, quando Lisa chiese al marito: “Caro, mi passi il latte?”
“Eo” rispose Aristide per dire “ecco”.
La signora alzò gli occhi meravigliata: suo marito aveva pronunciato una “e” ed erano anni che non lo faceva. Scesero subito in giardino per vedere se il frutto sull’albero fosse maturato. Lo tastarono appena e costatarono che era pronto per essere mangiato.
Il giorno stesso il signor Aiuola andò a comprare sei alberi da piantare: comprò un arancio, un pesco, un nocciolo, un mandorlo, un fico bianco e uno nero. Li piantò con grande cura vicino ai ceppi degli alberi che in passato aveva tagliato. Li concimò, li bagnò, li amò e ad una ad una, in coincidenza con i primi frutti che quegli alberi diedero, tutte le lettere che gli erano sparite ricomparvero, facendolo guarire del tutto.

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