Il soldato dei due mondi

C’erano una volta un re e una regina che non avevano figli. Entrambi ne erano sconsolati: ma soprattutto il re, il quale non sapeva a chi lasciare il suo regno.
Un giorno che guardava con tristezza ai campi sui quali dopo di lui avrebbe regnato chi sa chi, gli si presentò una vecchia mendicante.
-Maestà- disse. –Voi pensate a chi lasciare la vostra corona e i vostri campi: ebbene non dovete preoccuparvene. La regina avrà tre figlie: ma dovete cercare che esse non escano dal palazzo, all’aperto, prima dei quindici anni, altrimenti una folata di vento e di neve le porterà via.
Quella mendicante era una strega, che poteva fare quello che voleva. Fece, infatti, avere le tre figlie alla regina e queste crebbero buone e belle, ma non troppo allegre, perché erano sempre tenute in casa, da cui non avrebbero potuto uscire prima dei quindici anni. Un giorno che il re e la regina erano usciti ed esse erano alla finestra a bearsi del paesaggio, tutto sole e infiorato dalla primavera, non ne poterono più. Vollero a tutti i costi scendere in giardino e tanto supplicarono la sentinella che questa finì per dar loro il permesso, purchè ci si fossero fermate solo un minuto e non lo avessero detto ad anima viva. La felicità di quelle tre figliuole che erano allora sui quattordici anni! Corsero per tutte le aiuole, cogliendo rose e margheritine. Il sole splendeva, il cielo era azzurro, non c’era certo il pericolo di una folata di vento e neve che le portasse via! E invece nel giro di pochi minuti il cielo si oscurò in un lampo e una folata venne e le portò via, come se fossero state delle piume.
Grandi pianti a palazzo: grande lutto in tutto il regno. Il re fece leggere nelle chiese, la domenica che seguì, un breve ma solenne proclama. Chi avesse ritrovato le tre principesse, avrebbe avuto in dono la sua corona, metà del suo regno, e quella delle tre principesse che gli fosse piaciuta di più. Molti si presentarono, molti ci provarono, ma senza alcun risultato. Un giorno giunsero al palazzo un capitano e un tenente. Il re diede loro denaro e tutto quello che volevano e i due si misero in strada alla ricerca delle tre principesse.
Subito dopo si presentò al palazzo anche un semplice soldato che viveva con la madre in una povera capanna. Egli aveva avuto un sogno: si era visto sulle tracce delle principesse.
Raccontò il sogno a sua madre, ma questa gli disse che si doveva trattare di qualche stregoneria. Oh, se avesse avuto lo stesso sogno per tre notti di seguito, allora sarebbe stata un’altra storia! Ebbene: lo credereste?, il soldato aveva avuto lo stesso sogno proprio per tre notti di seguito. Per questo si era lavato, aveva vestito l’uniforme, e si era presentato a palazzo.
Il re lo ricevette in cucina e piuttosto male.
-Che cosa vuoi mai essere buono di fare tu? Del resto, ci ho già speso troppo denaro. Basta ormai.-
Ma il soldato disse che non voleva denaro. Sarebbe stato contento di un po’ di cibo da portare con sé nella sua sacca. Solo del cibo?! Questo lo poteva avere. Lo ebbe e il soldato si mise in strada anche lui.
Dopo un po’ raggiunse il capitano e il tenente.
-Dove vai?- gli chiese il capitano.
-Vado alla ricerca delle tre principesse!-
-Come noi! Allora possiamo metterci insieme.
-Perché no?-
Allora si misero insieme. Andarono a lungo per la strada maestra, ma a un certo punto il soldato prese un piccolo sentiero che menava a una foresta.
-Non sarebbe meglio tenerci sulla strada maestra?- disse il capitano.
No. Il soldato si era fisso su quel sentiero e bisognò seguirlo.
Andarono per un gran pezzo. Attraversarono boschi, vallate, campi coltivati e brughiere e finalmente giunsero a un ponte a cui montava di guardia un orso. Appena li vide, la bestia si alzò sulle zampe di dietro e venne loro incontro con due occhiacci come se volesse mangiarli. Ma il soldato gli gettò un pezzo di carne, allora l’orso li lasciò passare. Se non che, giunti dall’altra parte del ponte si videro venire incontro un leone colla bocca aperta. Il soldato però gli gettò un pezzo di lardo, allora il leone li lasciò passare.
Andarono avanti per un pezzo, fino a che giunsero davanti a un magnifico palazzo. Vi entrarono. Non c’era anima viva. I tre decisero di rimanere un po’ là per riposarsi. Mangiarono del cibo che il soldato aveva nella sacca. Questa però cominciava a svuotarsi, ond’è che la mattina dopo il capitano e il soldato decisero di uscire a caccia per portare a casa qualche capo di selvaggina per il desinare. Il tenete, invece, doveva rimanere nel palazzo e intanto preparare il fuoco e l’acqua calda per far poi bollire la selvaggina. Il capitano e il soldato girarono di qua e di là uccidendo lepri e starne. Quando tornarono trovarono il tenente malconcio come se fosse stato picchiato.
-Che cosa mai ti è successo?- chiese il capitano.
Era successo che un mendicante, il quale camminava a stento con le stampelle, si era presentato a palazzo chiedendo l’elemosina. Il tenente gli aveva dato un soldo. Il mendicante lo aveva lasciato cadere per terra. Si era poi chinato per riprenderlo ma era così vecchio e acciaccoso che non vi riusciva. Allora il tenente si era chinato lui. Ma in quel momento il mendicante si era tolte le sue stampelle e con esse gliene aveva date un sacco e una sporta, conciandolo in quel modo. Vergogna! Un ufficiale del re lasciarsi picchiare da un vecchio mendicante! S’era mai udita una cosa simile? Il capitano era indignato: e il giorno dopo volle rimanere lui a casa, lasciando che alla caccia pensassero il tenente e il soldato. Ma successe proprio al capitano la stessa identica storia che era capitata il giorno precedente al tenente.
Il terzo giorno volle rimanere a casa il soldato. Non appena rimase solo ecco che il vecchio mendicante bussò alla porta del palazzo. Al soldato che gli venne ad aprire come al solito chiese l’elemosina.
-Denaro non ne ho da darvi buon uomo. Posso darvi da mangiare, se voi però mi fate il favore di andare nella legnaia a spaccarmi e a portarmi qui un po’ di legna per fare il fuoco.
-Eh, questa è una cosa che non saprei fare!
-No? Allora ve la insegnerò io. Venite con me!
Giunti alla legnaia il soldato ne tirò fuori un ceppo grosso, vi fece colla scure una spaccatura e vi piantò dentro un cuneo in modo da allargarne la spaccatura.
-Ora- disse il soldato –dovete chinarvi a guardare bene come è fatta la spaccatura. Io, intanto, vi mostrerò come si usa la scure.
Il vecchio si chinò sulla spaccatura. Allora il soldato ne tolse il cuneo: di modo che la spaccatura si richiuse serrando dentro la barba del vecchio, che rimase imprigionato. Giù botte da orbi col manico della scure!
-Ahi! Ahi! Ahi!- gridava il vecchio, ma non riusciva a districare la lunga barba dalla spaccatura.
-Se non mi dici subito dove sono le tre principesse ti spacco il cranio!
-No, non uccidermi: te lo dirò te lo dirò!- gemette il vecchio.- Ecco qui, sta bene attento. Ad oriente di questo palazzo c’è un’altura. Va fino in cima. Quando ci sei, taglia l’erba per un metro quadrato e scoprirai una grossa lastra di pietra. Sollevala: vedrai un grosso buco: calati giù e ti troverai in un altro mondo dove sono le principesse. Ma per arrivare a quell’altro mondo che ti ho detto la via è lunga e dure e bisogna passare attraverso il fuoco e l’acqua.
Saputo ciò il soldato liberò il vecchio che se ne andò via immediatamente. Poco dopo fecero ritorno il capitano e il tenente che furono sorpresi nel trovare il soldato vispo e allegro.
Egli raccontò loro per filo e per segno ciò che era accaduto. Misero in un canestro roba da mangiare; presero tutte le corde trovate nel palazzo e poi, con un altro canestro vuoto se ne andarono. Giunti alla cima dell’altura, tagliarono l’erba, e scoprirono la lastra di pietra, la sollevarono e videro il buco. Ma come era profondo! Annodarono tutte le corde colle quali a mala pena riuscirono a toccare il fondo.
Il primo a scendere fu il capitano. Giù, giù e giù: ad un tratto si trovò in un’acqua così gelata che prese paura: diede uno strattone alla corda e il tenete e il soldato lo tirarono su. Il secondo a provarci fu il tenente. Giù, giù e giù: egli si fece coraggio e riuscì a passare attraverso l’acqua gelata, ma subito dopo si trovò davanti a un grande fuoco che gli fece paura: diede uno strattone alla corda e anche lui fu tirato su.
Per ultimo volle tentare il soldato. Egli ebbe la forza d’animo d’affrontare tutti gli ostacoli. Passò attraverso l’acqua gelata; passò attraverso il fuoco e finalmente toccò il fondo. Ma, giunto là, c’era un grande buio, un buio tale che egli non riusciva a vedere un palmo più in là del naso. Si mosse tentoni, adagio, adagio, e, dopo un po’ cominciò a vedere un filo di luce, poi una luce più forte, poi più forte ancora, fino a che risplendette un bel sole. Allora il soldato potè vedere il mondo in cui era calato: un mondo così bello che pareva fatato!
Si mosse e dopo un po’ giunse ad un palazzo dove tutto era fatto di rame lucente. Il palazzo pareva disabitato. Solo da una camera si udiva come il rumore di un arcolaio che girava. Il soldato vi entrò.
-Santi del Paradiso! Come mai un cristiano da queste parti?- esclamò la principessa che sedeva all’arcolaio.
-Dio vi preservi! Ma che cosa volete?-
-Voi siete una delle tre principesse scomparse, non è vero? Ebbene io voglio liberar voi e le vostre sorelle!-
-No, no, non indugiate un istante! Se il troll torna a casa è finita per voi!-
-Non ho paura del troll. Qui sono venuto e qui rimango!-
-Allora vedrò, se mi riesce, di aiutarvi. Nascondetevi fuori, dietro il pollaio. Quando rientrerà il troll io vedrò di addormentarlo grattandogli il capo e allora uscirò e chiamerò i polli. Quello sarà il segnale per voi di rientrare e di…
Il soldato uscì e si nascose dietro il pollaio. Poco dopo tornò a casa il troll.
-Accù! Accù! Che odor di cristianaccio!- egli andò ripetendo attraversando il cortile ed entrando nel palazzo.
-Avete ragione- disse la principessa. –Un corvo è passato di qui poco fa con un osso umano nel becco: lo lasciò cedere per il camino: io lo raccolsi e lo buttai fuori. E’ quello che deve puzzare suppongo.
-Quello! Quello!-
-Ma adesso il puzzo passerà, non abbiate paura. Intanto venite qui che vi gratterò il capo e così potrete prender sonno.-
Il troll si accostò alla principessa. Mise il capo sulle sue ginocchia e la principessa cominciò a grattargli il capo: e il brutto bestione si addormentò. Allora la principessa delicatamente sollevò quell’enorme testa, la posò sopra uno sgabello e si alzò. Corse fuori e chiamò le galline. Fu il segnale convenuto. Il soldato uscì di dietro il pollaio colla spada sguainata in mano. Entrò in punta di piedi nella camera dove dormiva il troll e con un colpo netto gli tagliò la testa.
-Libera! Libera!- gridò fuori di sé dalla gioia la principessa.
Ma ora bisognava liberare le altre due sorelle. Dove vivevano? Nello stesso palazzo: ma in appartamenti lontani l’uno dall’altro e alla mercè di due altri troll. La seconda viveva in un appartamento tutto d’argento e la terza in uno tutto d’oro. Bisognava…
Basta, per non ripetermi, vi dirò che le cose andarono come per la prima delle tre principesse. Il soldato riuscì così a tagliare la testa degli altri due troll e a liberare le principesse che tenevano prigioniere.
La riconoscenza delle tre fanciulle per il soldato, loro salvatore, fu grande. La più giovane si tolse un anello d’oro e lo legò ai capelli del giovane. Ora bisognava tornare nel mondo di prima. Il soldato le condusse a quel buco per cui egli era disceso e giunto colà diede uno strattone alla corda. Cavallerescamente volle che le tre principesse salissero prima di lui. Così le tre principesse entrarono una per volta nel canestro ov’era attaccata la fune e furono sollevate e portate su.
Quando venne la volta del soldato, questi ebbe un dubbio. E se il capitano e il tenente avessero voluto liberarsi di lui? A buoni conti il soldato mise un grosso sasso nel canestro, diede un o strattone e i due tirarono su la corda, ma poi quando fu a metà, la tagliarono e il canestro col sasso precipitò in basso ai piedi del soldato. Questi, dunque, pensavano i suoi due compagni di viaggio, sarebbe stato perduto ed essi…
Si volsero alle principesse e le minacciarono di morte se avessero detto la verità e non avessero confermato che erano stati loro due a salvarle. Così fecero ritorno col capitano e il tenente al palazzo, dove vi lascio immaginare con quanta gioia furono ricevute. Il re volle mantenere la sua promessa. Il capitano e il tenente dovevano scegliersi quella delle tre principesse che più fossero piaciute, sposarle e diventare sua Maestà. Il capitano e il tenente volevano tutti e due la più giovane delle tre, ma essa rifiutò che i due dovettero rinunciare alla sua mano e accontentarsi delle altre.
Nessuno capiva perché la giovane principessa fosse così triste e malinconica e il re, temendo che volesse fuggire, la fece sorvegliare da dodici militi.
Intanto il soldato non sapeva come fare per risalire dal buco. Tornò nel grande palazzo dove aveva ucciso i troll e si mise a cercare dappertutto. Ma non trovò che una chiavettina d’argento. Si provò ad aprire con essa i tiretti dei vari mobili, ma la chiavettina non andava per alcune delle serrature. Finalmente vide un buco nella parete. Vi introdusse la chiavettina ed ecco che si aprì un usciolino che chiudeva una piccola nicchia. Guardò e vide in essa un fischietto. Lo pose alle labbra e cominciò a soffiare ed ecco uscire un fischio lungo ed acuto. A quel suono centinaia di uccelli accorsero da tutte le parti e scesero nel prato davanti a palazzo. Questa, pensò il soldato, deve essere una magia. Si presentò agli uccelli e chiese loro come poteva fare per uscire da quel mondo incantato.
-No, noi non lo sappiamo. Ma se tu fischi ancora un po’ arriverà nostra madre e se non lo sa lei non lo sa di certo nessun altro!
Il soldato tornò a fischiare ed ecco scendere nel giardino un enorme uccellaccio. Era un’aquila con due enormi ali. L’aquila avrebbe potuto portare il soldato sulla terra, ma bisognava che prima lui uccidesse un bue per darle da mangiare. Il soldato così fece. Allora l’aquila dopo aver mangiato invitò il soldato a sedere fra le sue ali e spiccò il volo. Su, su, su e in breve il soldato si ritrovò nel mondo di prima e proprio nelle vicinanze del palazzo del re, padre delle tre principesse che egli aveva liberato.
Queste frattanto erano tutt’altro che felici. Si facevano grandi preparativi per le nozze, ma ciò non le lusingava. Il re non sapeva spiegarsi la cosa e un giorno ne chiese la spiegazione alla maggiore delle sue figliole, che gli disse che né lei né le sue sorelle sarebbero state felici fino a che non avessero avuto gli scacchi coi quali erano solite giocare quando erano prigioniere nel mondo dei troll. Il re allora ordinò a tutti i gioiellieri del regno di preparargli degli scacchi per le principesse. Tutti i migliori gioiellieri si provarono, ma nessuno riuscì ad accontentare le tre giovani. Ce ne era uno solo che non si era provato. Era un vecchio gioielliere che da tempo non faceva più nulla e viveva miseramente. Non aveva più soldi per pagarsi un apprendista e aveva dovuto chiudere bottega. Ora a lui si presentò il nostro soldato e gli chiese se voleva assumerlo come apprendista. Lo assicurò che egli sarebbe stato capace di fare gli scacchi che le principesse desideravano, ma bisognava che, di fronte al re figurasse lui come l’artefice. Il vecchio orefice allora si presentò al re e disse che gli avrebbe saputo fare gli scacchi desiderati. Il re gli diede l’oro necessario per lavorarli e aggiunse che, qualora non avesse mantenuto la parola, ne sarebbe andata della sua vita.
L’orefice tornò a casa coll’oro e lo diede al soldato:
-Adesso- disse –pensaci tu! Lo rinchiuse in una camera e gli consegnò tutti gli strumenti necessari. Ma per tutto quel giorno non udì il soldato lavorare!
L’orefice cominciò ad aver paura visto che il re lo aveva minacciato di morte se non avesse mantenuto la promessa.
Picchiò all’uscio del soldato:-Che fai? Non lavori? Che cosa mi hai detto e che cosa mi hai fatto promettere al re?-
-Abbiate pazienza! Se non volete aver pazienza provate voi a fare questi scacchi!-
Il povero orefice era disperato. Il giovane se ne stava là in quella stanza senza far nulla. Venne la sera, venne la notte. Quando tutto fu quieto il soldato si affacciò alla finestra e fischiò con quel fischietto magico. Ecco comparirgli davanti l’aquila. Ecco che il giovane la prega di scendere nell’altro mondo, di cercare nel palazzo dei troll gli scacchi coi quali giocavano le tre principesse e di portarli su da lui. Detto fatto. Prima che spuntasse il giorno il soldato aveva gli scacchi e li aveva nascosti sotto il cuscino.
Il vecchio orefice si svegliò di buon ora e più che mai inquieto picchiò al suo uscio.
-Apri! Questa volta voglio vedere chiaro nella cosa! Apri, ti dico!-
Il soldato dovette aprire l’uscio, Sorrideva, era tranquillo. All’orefice che lo guardava atterrito mostrò gli scacchi. Erano quelli che le principesse aspettavano. L’orefice andò a palazzo, chiese del re, chiese delle principesse. Non appena queste videro gli scacchi si misero a saltare dalla gioia. Erano quelli! Il rene fu felice, perché vide finalmente le tre figlie contente. Ora si sarebbero potute celebrare felicemente le nozze col capitano e col tenente. Rimaneva solo un punto da chiarire, era stato proprio il vecchio orefice a fare quegli scacchi? Andiamo, dicesse la verità e tutto sarebbe finito bene. Il povero orefice confessò che gli scacchi non erano stati fatti da lui, ma dal suo apprendista. Si volle l’apprendista a palazzo. Ma non appena vi entrò la principesse diedero un sol grido: -E’ lui!-
La più giovane delle principesse, per darne una prova al padre, pose la mano sulla testa del soldato e ne tolse dai capelli l’anello che vi aveva legato. Conosciuta tutta la verità, il re fece impiccare il capitano e il tenente come traditori e impostori, e diede in sposa al soldato la più giovane delle tre principesse, insieme alla corona e metà del suo regno.
Si fecero grandi feste, feste quali si vedono solo in questo mondo, non in quell’altro, dove i troll possono ben avere palazzi di rame, d’argento e d’oro, ma non possono avere né dare la felicità.

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