Il topolino e l’elefante

Sabatino Scia

elefante
C’era una volta un elefante che doveva fare un lungo viaggio.
C’era una volta un topolino che doveva fare un lungo viaggio.
Si misero d’accordo e viaggiarono insieme.
Il topolino prese uno straccio e ci mise dentro un po’ di pane e un po’ di formaggio.
E l’elefante si procurò due grosse ceste e le riempì ben bene di paglia e se le posò sul groppone.
Si parte! E partirono.
L’elefante, spavaldo, correva comodo con le quattro grosse zampe e si muoveva come se il mondo fosse tutto suo e sventagliava la lunga proboscide e l’aria fischiava.
Il topolino, per stargli dietro, muoveva freneticamente le sue zampine e inciampava nelle code dello straccio, rotolava tra i sassi e gocciolava di sudore come un rubinetto che perde acqua!
Bianco in viso, il topolino, sembrava proprio morto; e affannando, iniziò a sragionare: “Perché? perché così piccolo e meschino la natura infame mi ha creato? Maledetta!: non poteva farmi essere un elefante? Maledetta!: poteva almeno farmi essere una giraffa! Maledetta! mi sarei accontentato pure di essere un cavallo. Maledetta!”
L’elefante buttò un soffio con la proboscide e il topolino fu scaraventato contro un albero e restò appeso ad un ramo ché lo straccio con pane e formaggio si impigliò! E il soffiatore nemmeno se ne accorse.
“Maledetta! Maledetta! Maledetta la natura!
E guarda un po’ questo! che con un soffio mi ha rovi nato!”
E muoveva istericamente le zampine perché voleva scendere.
E la natura, chiamata tante volte “Maledetta”, si presentò!
“Che sbraiti! Che sbraiti! Son la natura: eccomi qua! Fa’ presto a parlare ché devo subito andare”.
“La…la…la natura? Oddio: sei veramente la natura?”
“Si! Son veramente la natura! Fa’ presto a parlare ché devo subito andare. Anzi… Aspetta, aspetta: zitto! ché ho già capito tutto: vuoi diventare un elefante?”
La natura si mise subito a contare e contò e contò in fretta tanti e tanti numeri e in fretta sentenziò:
“Tu sarai elefante e l’elefante sarà topolino: che dovrò pur tenere i conti sempre in ordine in questo strano mondo”.
E la natura sparì!
Il ramo dell’albero per il troppo peso si spezzò! E il topolino si ritrovò elefante. Per prima cosa ebbe fame, si guardò intorno e trovò solo un pizzico di pane e formaggio e lo ingoiò e nulla fece, ché nel suo grande stomaco un pizzico ci andò ballando.
Poco più avanti, l’elefante si ritrovò topolino e si sentì, all’improvviso, schiacciato dalle ceste di paglia e sbraitò:
“Maledetta la natura! Perché? Perché non sono un elefante o una giraffa!? Però… però, però son topolino e non fa niente. Si: son topolino”.
E uscì da sotto al grosso peso, graffiato a sangue.
E fu notte e fu mattina.
Si incontrarono, per caso, il nuovo topolino e il nuovo elefante.
E… l’elefante doveva fare un lungo viaggio.
E… il topolino doveva fare un lungo viaggio.
Si misero d’accordo e ripresero il cammino.
L’elefante aveva tanta fame e lanciava gli occhi in giro come un pazzo per trovare un filo d’erba e l’erba non c’era, ché quella era una zona brulla e piena di pietre.
Il topolino, per caso, trovò una patata e ne rosicchiò metà e si saziò e l’altra metà la offrì all’elefante che vorace se la ficcò nel grande stomaco, ma nulla fece ché quel pizzico di cibo era come una goccia d’acqua in un barile vuoto.
Poi venne la sete! Il topolino scorse una pozzanghera e ci trovò tra il fango poche gocce d’acqua e le bevve e si dissetò e poi chiamò l’elefante e l’elefante nulla fece.
E c’era il sole forte forte che spaccava la terra già spaccata e di ombra non ce n’era neanche un po’! L’elefante era sfinito! Il topolino la trovò l’ombra: trovò un’ombra a forma di elefante e se ne stava al fresco e poi chiamò l’elefante per dargliene un po’ e, stranamente, chissà per quale scherzo di natura, l’ombra scappava sempre dall’elefante!
E fu notte e fu mattina.
Il topolino squittiva forte forte ché era allegro: aveva trovato dieci piccoli vermi e li aveva mangiati.
L’elefante si svegliò e stentava ad alzarsi; le sue zampe soffrivano di debolezza. Si sforzò e si alzò.
Ripresero il viaggio e… e… all’improvviso sbucarono dai cespugli tanti cacciatori e, con facce ghignose, rincorsero l’elefante per strappargli l’avorio di bocca e questo, per salvarsi, dovette sudar sette mutande, mutande di elefante!
E fu notte e fu mattina.
E… e l’elefante si svegliò in un posto.
E… e il topolino si svegliò in un altro posto.
Il topolino da solo riprese il viaggio.
L’elefante da solo riprese il viaggio
L’elefante cammina… cammina e… e… improvvisamente svenne dalla sete e dalla fame. Il sole lo prendeva in pieno e lo cuoceva.
Si avvicinò un piccolo e curioso uomo, con un faccino di ape e nero come uno scarabeo, attorcigliato in una lunga coperta bucata e lo rinfrescò con grossi secchi d’acqua e così l’elefante si riprese, e poi e poi l’uomo gli chiese con una vocina sottile che faceva pena: “Vuoi lavorare per me a far lo schiavo per tutta la tua vita? C’è tanto legno grosso e lungo da portare. Ti darò pere tanta acqua e tanto cibo. Ti conviene. Lo fanno già tanti tanti elefanti ché di si curo muoion di vecchiaia e con l’avorio intatto in bocca. Su! alzati: ti conviene”.
E fu notte e fu mattina.
Il topolino Si svegliò e squittì e squittì e capì e pensò: “Però: che fortuna, è a volte, esser topolino!”
E… e… che dite! vogliamo far incontrare un bel gatto al topolino? No, no! Facciamo così: lasciamolo in pace: se la merita la pace… perché… perché s’è sempre accontentato!!

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