La bicicletta

Questo racconto è opera di Federico e Pietro (1 maggio 2002).

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Da quando sono nato ho usato quattro biciclette. La prima era piccolissima, grande come un cuscino, rossa e verde. Aveva anche le rotelle, ondeggiavo nel cortile, come il bucato di mia madre steso al vento. A volte cadevo e mi spelavo le ginocchia. Aveva un solo freno, ed era senza fanali, ma di sera non uscivo ancora.
La seconda bici era arancione e bianca con le ruote rosse. Questa aveva i fanali.
La terza era bianca con stelle blu disegnate sul telaio e aveva due freni che non riuscivo ad usare, tant’erano duri. Per frenare consumavo le suole delle scarpe.
Il mountainbike che ho adesso è di colore viola con sfumature, molto trendy, ha anche i cambi che non sempre riesco ad ingranare.
Con la bicicletta vado a trovare parenti e amici, a fare scampagnate. Vado spesso con mio padre, che ama la bici più di sua moglie, cioè mia madre. Dice che in bici si rilassa e gli scende la pancia. Mentre con sua moglie si arrabbia e gli cresce la pancia. Lui s’è fatto una bici strana, un vecchio telaio con parafanghi d’acciaio e manubrio da corsa, dice che in Francia si usano così, che è una bicicletta poetica, ma quando lo vedo sopra mi sembra un po’ matto.
A volte vado a trovare anche la mia bisnonna, che è in una Casa di Riposo, in un altro paese.
A me piace andare in bicicletta nelle strade di campagna, sentire l’aria nei capelli, guardare il cielo blu. In primavera mi fermo lungo i fossi a raccogliere viole mammole per le mie innamorate. In bici sembra che si vedono più cose di quando viaggio in automobile. E poi non si sporca il mondo.

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