La Fatina e l’Orsacchiotto Giallo

Cristina Luisa Coronelli

C’era una volta una fatina che viveva con il padre in una casetta al limitare di un bosco popolato di scoiattoli vispi ed industriosi che custodivano i segreti delle foglie magiche. Queste si trovavano nascoste tra le fronde di un olmo, di cui nessuno mai aveva sentito parlare. Perché? Perché se a qualcuno fosse stato svelato il segreto delle foglie magiche, il bosco, la casetta della fatina e il villaggio vicino sarebbero scomparsi. Chiunque infatti, una volta saputo dei poteri delle foglie magiche, avrebbe chiesto di esaudire subito ogni desiderio in fretta, e senza indugiare. Quando invece si vuole veder realizzato qualcosa bisogna saper attendere e non chiedere tutto subito, magari anche a costo di recare danno agli altri.

La vita, nel magico bosco della fatina, da sempre scorreva nel rispetto di questa semplice regola e i suoi abitanti non avevano mai avuto difficoltà ad adeguarsi. Non trascorreva un solo giorno senza che l’amico Sole, preceduto da un’aurora di scintillanti sfumature pastello, non passasse ad allietare il risveglio degli abitanti del bosco; sorrideva sempre a tutti e li accarezzava con i suoi tiepidi raggi. Di quando in quando, preceduta da una schiera di soffici nuvole, giungeva anche l’amica Pioggia che, pur essendo una compagna silenziosa e un tantino malinconica, era accolta sempre di buon grado. Grazie a lei, infatti, le foglie magiche si ritempravano, l’erba e i fiori crescevano più forti e rigogliosi, il fiume in cui scorrevano le sue limpide acque argentate non si prosciugava e il ponte Arcobaleno troneggiava più solido che mai sopra il fiume, quando di lì a poco i tiepidi raggi dell’amico Sole lo avrebbero fatto rifulgere in tutto il suo splendore.

Ogni giorno la fatina accompagnava il padre nel bosco per cogliere i fiori e le erbe con cui avrebbero preparato magici infusi curativi per loro e per tutti gli amici del bosco. La fatina, cullata dai raggi dell’amico Sole e forte dell’immenso amore che colmava il suo cuore puro e che dispensava ad ogni creatura vivente, diventava ogni giorno più bella. Aveva lunghi capelli neri, morbidi come seta; neri erano anche i suoi grandi occhi che scrutavano con rinnovato stupore la prodigiosa immensità dell’universo. La fatina era molto affezionata al padre e da lui aveva appreso i segreti delle foglie magiche. Il vecchio, la cui saggezza era infinita come l’universo, non si stancava mai di ripeterle: “Bimba mia, bada che la tua purezza di spirito non ti porti a peccare d’ingenuità. Stai molto attenta, non lasciarti ingannare da chi sfodera belle parole e sorrisi accattivanti! Non rivelare a nessuno il segreto delle foglie magiche o tutto il bosco morirà in breve tempo. Solo una persona, a parte noi due, è a conoscenza di questo segreto: il Cavaliere dei Sette Cristalli, che vive oltre i monti che circondano il nostro bosco. Ricordati sempre ciò che ti ho detto”.”Certo, padre mio,” annuiva la fatina sorridendo, “tu sei il mio maestro oltre che il mio amatissimo papà. Ascolterò sempre le tue parole e con te vicino non mi accadrà alcun male”.

Un giorno però il vecchio non riuscì ad alzarsi dal letto. “Padre mio, cosa ti succede? Se sei malato ti curerò con i fiori del nostro giardino. Presto sarai guarito, vedrai”. L’uomo la fissò per un attimo con uno sguardo velato di tristezza e poi le disse: “Bambina mia, quanto sto per dirti ti procurerà un immenso dolore, ma non c’è più nulla che tu possa fare per me. Il mio compito sulla Terra e nel nostro bosco è terminato; ora devo andare in Cielo, dove mi attendono altri doveri a cui non mi posso sottrarre”. “Ma come puoi dire questo?” replicò la fatina con voce rotta dal pianto, “io non posso vivere senza di te; e che ne sarà dei nostri amici del bosco?” Ora la fatina piangeva a dirotto; ma il padre, accarezzandole i capelli, le disse: “Ascoltami, bimba mia. Sappi che non ti lascerò mai sola. Veglierò sempre su di te, anche se non mi vedrai più. E ho in serbo anche un’altra sorpresa…” Così dicendo, indicò un orsacchiotto giallo di peluche, con due vispi occhi neri ed un fiocchetto di raso blu annodato intorno al collo, che stava seduto su una seggiola, in un angolo della stanza. La fatina si avvicinò all’orsacchiotto ed esclamò: “Com’è carino, papà, ha due occhietti così buoni… non l’avevo mai visto prima d’ora… ” “Già, però non può parlare…” soggiunse poi, con una nota di delusione nella voce. “Non fermarti all’apparenza”, rispose il padre, “questo orsacchiotto è una creatura davvero speciale che parlerà con te e accorrerà in tuo aiuto ogni volta che ne avrai bisogno. Prendilo in braccio, guardalo negli occhi e trasmettigli tutta la dolcezza di cui sei capace. Poi accarezzalo sulla testa, sussurrando: Orsacchiotto… Orsacchiotto… aiutami, ti prego. “Vedrai che lui ti darà una mano”. Ora il padre stava scrutando un punto lontano nel cielo. “Mi chiamano, devo andare, ma veglierò sempre su di te, bimba mia: non dimenticarlo mai!” In quell’attimo, chiuse gli occhi e spirò. “Papà, papà, non mi lasciare!” gridò la fatina, che per la prima volta in vita sua affrontava la straziante prova della disperazione, mentre una schiera di stelle scintillanti si era avvolta intorno al defunto, per condurlo in Cielo.

La fatina pianse e si disperò per tanti giorni e tante notti, senza notare le costanti visite del Sole, della Pioggia e di tutti gli amici del bosco, rattristati perché nemmeno riuscivano a regalarle un sorriso. Un giorno, stremata dal dolore che le serrava il cuore, la fatina posò il suo sguardo sull’orsacchiotto giallo che la osservava con i suoi teneri occhietti. Memore delle ultime parole pronunciate dal padre, prima di morire, corse da lui. E lo abbracciò, quasi soffocandolo di coccole: infine gli sussurrò: “Orsacchiotto… Orsacchiotto… aiutami, ti prego. Sto tanto male”. E nell’accarezzarlo, le sembrava che lo sguardo dell’orsetto si animasse sempre più. A un certo punto, udì distintamente una voce che le disse in tono cordiale: “Mia bella fatina, perché piangi? Non sai che le lacrime delle fate sono magiche e preziose? Non è giusto consumarle in questo modo!” Stupita da quella risposta inaspettata, la fanciulla rispose: “Mio dolce Orsacchiotto, hai proprio ragione e ti chiedo scusa per essere così sciocca, ma non riesco a trattenere il pianto. Cosa devo fare?” Sul volto dell’orsetto si dipinse un radioso sorriso. “Lascia entrare la luce nel tuo cuore, come hai sempre fatto prima che il dolore vi aprisse una voragine”. “Ma se nel mio cuore si è aperta una voragine, come posso sperare che la luce torni a splendere?” “Abbi fede, fatina mia: in Dio, nel Creato, nel tuo papà che veglia su di te, nei tanti amici che ti vogliono bene, e anche nel tuo piccolo orsacchiotto di peluche”.

Da quella volta ogni notte, dopo che la fatina si era addormentata, l’Orsacchiotto Giallo raccoglieva delicatamente le sue lacrime in una ciotola di cristallo rosa, andava nel giardino e ci alitava sopra, fino a trasformarle in minuscole sfere d’argento. Poi s’inerpicava su per il ponte Arcobaleno che troneggiava sopra il fiume, per raggiungere il cielo su cui deponeva quelle pietre sfavillanti.
“Signore, aiutala a ritrovare presto il sorriso.” E contemplava il cielo blu, ogni notte sempre più luminoso.
Con il trascorrere dei giorni, la fatina rifletteva sempre più assiduamente sulle parole dell’Orsacchiotto Giallo. Aveva capito di aver trovato in lui un nuovo amico sincero e saggio. Al mattino si alzava presto per preparargli una colazione prelibata: senza scordare buon miele d’acacia, tenuto in serbo per le occasioni speciali. La fatina non si stancava mai di ripetere a se stessa: “Esiste forse un’occasione più speciale di questo dono che mi ha lasciato il mio papà? Ti voglio tanto bene, mio dolce Orsacchiotto Giallo e non permetterò a niente e a nessuno di separarci!”
A quelle parole, i vispi occhietti neri dell’amico s’illuminavano di gioia: “Anch’io ti voglio tanto bene, e ti prometto che rimarrò sempre con te!”

Un giorno, mentre giocavano felici nel giardino, la fatina scorse in lontananza la sagoma di una donna che si stava dirigendo proprio verso la sua casetta. “Chi sarà?”, si chiese tra sé “non mi pare di averla mai vista, prima d’ora”. Pochi istanti più tardi, la sconosciuta attraversò il giardino e salutò la fanciulla. “Buongiorno, cara fatina; so che non mi conosci, ma sono tua zia Eulalia. Non appena ho saputo che il tuo papà è andato in Cielo, mi sono messa in viaggio attraversando monti e vallate per venire a portarti il mio conforto”. Sul volto dell’anziana signora si accese un sorriso, in contrasto con il gelido bagliore dei suoi occhi. La fatina se ne accorse e le parve di udire suonare un campanello d’allarme: “Stai molto attenta, non lasciarti ingannare da chi sfodera belle parole e sorrisi accattivanti”. Ma subito scacciò quell’ombra dal suo cuore. “Come posso essere così meschina da dubitare, anche solo per un attimo, delle parole di questa anziana donna? Ha attraversato monti e vallate per venire a portarmi il suo conforto. E’ mia zia: l’amerò e la rispetterò come merita”. E rivolgendosi alla donna, le disse: “Zia, devi essere molto stanca. Entra in casa, ti prego; siediti su una comoda poltrona del salotto; farò in modo che niente disturbi il tuo riposo. Ora ti preparerò un pasto caldo, per rifocillarti”. “Sei una cara fanciulla, lo sai? Sono orgogliosa di avere una nipote come te!” La fatina fece accomodare la zia su una confortevole poltrona del salotto e le coprì le gambe con una copertina di raso celeste. “Ahhhh…” esclamò la vecchia. “Sono davvero esausta: credo che dormirò un pochino…”.
Non appena la fatina la lasciò sola, balzò in piedi di scatto e prese a camminare nervosamente su e giù per il salotto. Cominciò a rovistare nei cassetti, sotto i cuscini delle poltrone e negli scrigni dorati sparsi. “Quella stupida!!! Dove sarà? Dove sarà? Ma stai pur certa che troverò il segreto delle foglie magiche, a costo di mettere a soqquadro la casa e il bosco intero!!!!” In quel mentre, sentendo bussare leggermente alla porta, tornò a sedersi sulla poltrona, si rimise la coperta sulle ginocchia e, fingendo una voce assonnata, le rispose: “Avanti! Avanti!” La fatina entrò reggendo un vassoio con ogni ben di Dio: “Zia, ti ho portato qualcosa da mangiare. Spero che nel frattempo ti sia riposata un poco”. ” Ho dormito saporitamente, come non facevo da tempo immemore. Grazie, mia cara, mangerò volentieri qualcosa”. In un batter d’occhio divorò tutto. Dopo di che soggiunse, con un sonoro sbadiglio: “Sono molto stanca e gradirei ritirarmi nella mia stanza”. La fatina la condusse nella camera degli ospiti e dopo averle augurato buona notte, la lasciò sola. Ancora una volta, la vecchia si mise a rovistare in ogni angolo, ma neppure in quel caso riuscì a trovare quello che cercava. Livida di rabbia, esclamò: “Non è possibile! Non è possibile! Quella piccola strega deve averlo pur messo da qualche parte! Vorrà dire che questa notte, quando tutti dormiranno, ispezionerò il resto della casa!! Devo trovarlo!!! Voglio diventare giovane, bella e ricca, costi quel che costi!!!” Nel cuore della notte, la donna uscì dalla sua stanza e s’infilò nella cameretta dell’Orsacchiotto Giallo, che come sempre era uscito per alitare sulle lacrime della fatina, trasformarle in sfere d’argento e portarle in cielo. L’anziana donna lo aveva saputo, origliando una conversazione tra la fatina e l’orsetto. “Quegli stupidi ancora non sanno che presto tutto questo sarà mio!!!”, pensò, con un ghigno di soddisfazione dipinto sul volto. Ma nella stanza dell’Orsacchiotto non trovò nulla e neppure in quella della fatina: anche lì era entrata in punta di piedi, senza turbare il sonno della fanciulla.

L’indomani mattina, a colazione, zia Eulalia disse con voce zuccherosa: “Nipote mia carissima, immagino quanto tu ti senta sola da quando tuo padre non è più con te. Ma ora ci sono io, e fra noi non dovranno esserci segreti. Confidami ogni cosa affinché io ti possa proteggere”. La fanciulla rispose: “Mia cara zia, sei davvero gentile, ma non ti devi preoccupare; non sono sola perché ho tanti amici che mi vogliono bene: il mio Orsacchiotto Giallo, l’amico Sole, l’amica Pioggia e tutte le creature del bosco. Inoltre ho compreso che mio padre veglia su di me, anche se non lo vedo.” “Sì, ma sono pur sempre tua zia” replicò la vecchia con malcelata stizza. “Hai bisogno di essere guidata da una persona più saggia e avveduta di te. Ci sono troppe cose importanti e più grandi di te, come ad esempio… il segreto delle foglie magiche. Se tu me ne parlassi, farei di tutto affinché nessuno ne venga mai a conoscenza”.
Un brivido percorse la schiena della fatina mentre udiva queste parole riecheggiare nella sua mente: “Non dire nulla!! Questa donna non è tua zia Eulalia! Il bosco è in pericolo!!!” “No, non posso rivelarlo a nessuno, disse la fatina tutto d’un fiato, “mi dispiace ma non intendo infrangere questa regola!” “Ora basta, ragazzina sciagurata! Non sono venuta qui per perdere tempo e andarmene a mani vuote. O mi sveli subito il segreto delle foglie magiche o sarà peggio per te!!!” E nel pronunciare queste parole, la vecchia si avventò sulla fatina e trascinandola per un braccio la condusse nel bosco. “Avanti, dove sono le foglie?”, incalzò la donna. A quel punto, vedendosi perduta, la fatina chiamò nella sua mente “Orsacchiotto… Orsacchiotto… aiutami, ti prego. Purtroppo non ti posso accarezzare ma tu lo sai quanto ti voglio bene. Corri ad avvertire il Cavaliere dei Sette Cristalli: solo lui ci potrà salvare!!!”
In quel mentre, l’orsacchiotto, che era rimasto nella casetta, si riscosse prontamente: uscì come un fulmine, balzò sul ponte Arcobaleno e in men che non si dica si ritrovò oltre i monti che circondavano il bosco. Fortuna volle che il Cavaliere stesse passeggiando tranquillamente in sella al fido destriero Arumir. Quando vide l’orsetto, lo salutò con grande calore: “Ciao, Orsacchiotto Giallo!! è tanto tempo che non ci vediamo! Che notizie mi porti della fatina e del bosco?” “E’ per questo che sono qui, mio signore. Il bosco e la fatina sono in pericolo. Colpa di una vecchia megera che si è spacciata per sua zia Eulalia”. “Non c’è un minuto da perdere”, esclamò il Cavaliere dei Sette Cristalli, “monta in sella e andiamo subito da lei!”

Con due grandi balzi, il Cavaliere dei Sette Cristalli fu subito nel bosco e gridò: “Fatina, dove sei?” “Sono qui”, rispose la fatina, “ai piedi dell’olmo con le foglie magiche.” “Non riuscirà mai a trovarci”, sogghignò la vecchia, “e comunque sarà troppo tardi! Omai le foglie sono mie!!!” “Ne sei proprio sicura?” “Voi?” inorridì la megera, voltandosi a contemplare il Cavaliere dei Sette Cristalli che la fissava puntando su di lei addosso la sua spada di diamanti. “Nessun comune mortale è pronto ad accogliere il segreto delle foglie magiche, tanto meno un mostro come te”. E nel dire questo, un raggio di luce bianca fuoriuscì dalla spada, disintegrando la megera.
“Evviva, il bosco è salvo!!!” esclamò l’Orsacchiotto Giallo, che non riusciva più a contenere la gioia. “Vi devo ringraziare, mio Cavaliere; se non fosse stato per voi, il bosco sarebbe certamente morto, e noi con lui”, disse la fatina. “Mia fatina, non è me che dovete ringraziare, ma l’Orsacchiotto Giallo. Lui ha attraversato le montagne per venirmi a chiedere aiuto”. La fatina corse dal suo orsetto e lo abbracciò forte. “Cosa farei senza il mio orsetto!!! Sei il mio eroe!!!”. E gli stampò un sonoro bacio sulla guancia.
Fu così che il bosco e tutti i suoi abitanti non corsero più alcun pericolo, anche perché nel frattempo la fatina aveva sposato il Cavaliere dei Sette Cristalli con cui visse felice e contenta…
insieme naturalmente all’amatissimo Orsacchiotto Giallo.

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