La filatrice pigra
In un villaggio vivevano due sposi, Ettore e Clorinda, e la donna era così pigra che non aveva mai voglia di lavorare. Quel che Ettore le dava da filare, non lo finiva mai, e se anche lo filava, non ne faceva una matassa, ma lasciava tutto quanto avvolto sul rocchetto.
Un giorno che il marito la stava rimproverando, Clorinda lo rimbeccò dicendo: “Come faccio a fare le matasse se non ho l’attrezzo giusto? Va’ nel bosco e fammene uno”. “Se è tutto qui”, disse Ettore, “andrò nel bosco e prenderò il legno per fare l’aspo.” Allora Clorinda temette che, trovato il legno, il marito facesse davvero l’attrezzo ed ella fosse poi costretta a filare di nuovo. Rifletté un poco e le venne in mente una bella idea: corse di nascosto dietro al marito e quando egli si fu arrampicato su di un albero per scegliere e tagliare il legno, si acquattò in un cespuglio, dove il marito non poteva vederla, e gridò: “A tagliar legna per aspo, si muore; chi se ne serve è preso da malore.” Ettore tese l’orecchio, posò un attimo la scure e stette a pensare che cosa ciò potesse voler dire. “Mah”, disse infine, “cosa vuoi che sia stato! Ti sono fischiate le orecchie, è inutile spaventarsi!”.
Prese di nuovo la scure e stava per menare il colpo, quando da sotto gridarono di nuovo: “A tagliar legna per aspo, si muore; chi se ne serve è preso da malore.” Egli si fermò, ebbe una gran paura e si mise a rimuginare. Ma dopo un po’ tornò a farsi coraggio, afferrò la scure per la terza volta e fece per menare il colpo.
Ma per la terza volta si sentì gridar forte: “A tagliar legna per aspo, si muore; chi se ne serve è preso da malore.”
Allora egli ne ebbe abbastanza, tutta la voglia gli era passata; scese di fretta dall’albero e s’incamminò verso casa. Clorinda corse più veloce che poté per un altro sentiero, per arrivare a casa prima di lui. E quando egli entrò nella stanza disse, con un’aria innocente come se niente fosse: “Be’, mi hai portato del buon legno per l’aspo?”. “No”, rispose egli, “ho capito che annaspare non va bene”.
E così Ettore le raccontò quel che gli era successo nel bosco e, da quel giorno in poi, la lasciò in pace con l’aspo.
Ben presto, però, l’uomo prese a seccarsi del disordine che c’era in casa. “Clorinda”, disse, “è una vergogna che quel filato rimanga sul rocchetto.” “Sai?”, disse Clorinda, “dato che non riusciamo ad avere un aspo, mettiti in solaio e io starò sotto: ti butterò su il rocchetto e tu lo butterai giù: così faremo la matassa.” “Sì, va bene”, rispose il marito. Così fecero e, quand’ebbero finito, Ettore disse: “Adesso che la matassa è fatta, bisogna anche farla cuocere”. La donna ebbe di nuovo timore ma disse: “Sì, la faremo bollire domattina presto” e pensava intanto a un’altra astuzia. Si alzò di buon mattino, accese il fuoco, appese il paiolo, ma al posto del filo ci mise dentro un mucchio di stoppa e lo fece bollire. Poi andò dal marito, che era ancora a letto, e gli disse: “Io devo uscire, tu nel frattempo alzati e cura il filo che è sul fuoco, nel paiolo; ma devi farlo per tempo, fa’ attenzione: se il gallo canta e tu non ci badi, il filo diventa stoppa”.
Ettore non perse tempo, si alzò in fretta e andò in cucina. Ma quando si avvicinò al paiolo e vi guardò dentro, non vide altro che un mucchio di stoppa. Allora se ne stette ben zitto senza fiatare, pensando di essersi sbagliato e che la colpa fosse sua, e da allora in poi non parlò più di filo né di filare alla moglie Clorinda, che ne fu ben felice.