La legge del più forte
Angelo Signorelli
Primo Premio alla XX edizione del "Premio H. C. Andersen - Baia delle Favole 1987"
Un vecchio lupo magro, malconcio e sdentato viveva isolato nel folto della foresta in attesa di passare a miglior vita. In questa solitudine aveva avuto modo e tempo di pensare a ciò che aveva fatto di buono e di cattivo nella sua lunga vita. Giunto sul punto di morire, chiamò a raduno il branco e così disse:
– Amici miei, penso che sia arrivata la mia ultima ora e vado rassegnato verso il mio destino. Nella mia vita credo di aver vissuto sempre onestamente, da vero lupo e nel rispetto della nostra legge, ma ora ho un dubbio che prima di morire voglio mi sia chiarito: ma siamo proprio certi che la nostra legge sia quella giusta?
Tutti i lupi abbassarono la testa silenziosi. Poi prese la parola il capobranco:
– Io personalmente ritengo di non aver dubbi sulla giustezza della nostra legge, ma per poter avere un giudizio esatto bisognerebbe prima metterla a confronto con la legge di Dio e con quella degli uomini.
– Giusto! – confermò in coro il branco. – All’alba – continuò il capo – andrò io stesso in paese per conoscere le altre leggi.
Detto questo s’avviò per il sentiero, salutato e incoraggiato da tutti i presenti.
Giunse al paese che non era ancora buio. Le luci erano accese nelle strade, porte e finestre erano sbarrate. Solo la grande porta della chiesa era socchiusa. Entrò furtivamente e, mentre sbalordito ammirava l’altezza del soffitto e i grandi quadri appesi alle pareti, udì i passi lenti del vecchio sacrestano che si apprestava ad accendere le candele.
Istintivamente la paura prese il sopravvento sui suoi buoni propositi di dialogare con qualcuno. Trovò opportuno rifugiarsi nel confessionale ma, appena entratovi, udì un suono assordante di campanello. Poi venne un uomo vestito di nero, entrò dall’altra parte del confessionale e con voce suadente cominciò a parlare:
– Dimmi figliolo, vuoi confessare qualche peccato che pesa sulla tua coscienza?
– A dire il vero- replicò il lupo – io mi ritengo pienamente a posto con la mia coscienza. Tuttavia è mia intenzione mettermi in regola con la legge divina. Sempre se ciò mi sarà concesso!…
– Certo che ti sarà permesso, figliolo, e posso dirti che tu ti trovi sulla strada giusta, in quanto a posto con la tua coscienza. Dimmi tutto apertamente e ti assicuro che Dio perdonerà ogni tuo peccato.
– Padre – continuò il lupo – non più tardi di ieri ho mangiato una pecora per fame.
– Codesto tuo operare non è affatto peccato!- disse bonariamente il sacerdote – E’ dovere di ognuno curare col nutrimento il corpo che il buon Dio ci ha dato. Per altro, le pecore sono fatte per essere mangiate!
– Meno male – pensò il lupo – fin qui sono in regola, vedremo dopo!
– Ma dimmi – continuò con calma il confessore – codesta pecora che tu hai mangiato era di tua legittima proprietà?
– Veramente – proseguì il lupo – non conosco il significato di quest’ultima parola, specie se riferita alle creature di Dio. Posso capire che si può essere padroni di qualcosa che hai fatto tu, ma non di una pecora che l’ha fatta Dio.
– Lasciamo perdere!- replicò imbarazzato il sacerdote
– Ma dimmi, di grazia, dove hai trovato questa pecora? E di che colore era il suo vello?
E il lupo con naturalezza:
– Era rimasta imbrigliata in un laccio preparato da un bracconiere ai margini del bosco, vicino all’olmo vecchio, e mezza soffocata stava per morire. In quanto al colore non posso essere preciso perché era buio, ma ritengo fosse stata nera!
– Brutto birbante! Ladro assassino!…- esclamò rabbiosamente il confessore – Ma quella pecora era la mia!
Si affacciò dal confessionale e per poco non svenne nel constatare che si trattava di un lupo e non di un uomo.
Si mise ad urlare con tutto il fiato che teneva in gola: – Al lupo! Al lupo!…
Il povero lupo se la diede a gambe, ma non fece in tempo ad uscire dalla chiesa che si trovò prigioniero e incatenato da due gendarmi.
La gente accorreva incuriosita da ogni parte e ognuno esprimeva parole di spregio per il povero malcapitato; qualcuno avrebbe voluto linciarlo sul posto, ma un uomo di buon senso esclamò a voce alta:
– Facciamogli un regolare processo; ascolteremo cos’ha da dire a sua discolpa. Di certo ne sentiremo delle belle!…
Fu subito allestito un regolare processo con giudici, pubblico ministero, banco dell’imputato e fu per l’occasione nominato un difensore d’ufficio.
Spiccava, in bella mostra sul tavolo della giuria, la scritta in rilievo: “LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI.”
– Meno male – pensò subito il lupo, leggendo quella frase – Se la legge è uguale per tutti, ci sarà giustizia anche per la mia innocenza.
Preannunciata dal suono di campanello, entrò in aula la corte con passo calmo e autoritario.
Il presidente della giuria, espletate le formalità di legge, prese subito la parola.
– Siete accusato, in quanto lupo, a rispondere dei reati attribuiti a voi e a tutti gli appartenenti alla specie vostra, e precisamente:
– Associazione a delinquere per furto aggravato di bestiame.
– Strage di pecore.
– Vari tentati omicidi ai danni dell’uomo. Avete qualcosa da dichiarare a vostra discolpa?…
– Signor presidente, onorevole giuria, – cominciò il lupo con voce calma e pacata – non sono in grado di capire alla perfezione le accuse che vengono addebitate a me e ai miei consimili, tuttavia riesco a capire che si tratta di accuse gravi e cercherò di discolparmi e a buona ragione, considerato che mi ritengo innocente. Siamo accusati di associazione a delinquere… ma la nostra, signor presidente, e la più naturale delle associazioni, ove si rispettano non soltanto la nostra gerarchia e le nostre leggi, ma tutte le regole che rispettano l’equilibrio della natura. Strage di pecore?!… Suvvia non esageriamo! E’ vero sì che qualche volta, spinti dalla fame, siamo costretti a mangiar qualche pecora vecchia e malata, ma… dobbiamo pur nutrire il nostro corpo! Tentato omicidio? Questa sì è bella! Ma se ogni volta che vediamo l’uomo, o solamente ne sentiamo l’odore, facciamo certi fugoni!!… Non potete farci simili accuse se non avete la minima prova.
– Prove!… Prove!… Quali prove? – rispose, irritato, il presidente – Basta leggere qualsiasi favola per rendersi conto che il lupo è sempre stato cattivo, malvagio e feroce!
– Lo so, lo so,- rispose il lupo mestamente – ma le favole le scrivono gli uomini… non i lupi!
– Basta così!- interruppe il giudice – Tutte bugie! Avete parlato abbastanza per essere un lupo.
Prese infine la parola l’avvocato della difesa ma si limitò a chiedere una mite condanna e suggerì anche che l’imputato fosse rinchiuso in uno zoo per tutta la vita, dietro robuste sbarre di ferro. Almeno così, sosteneva, avrebbe scontato la sua colpa divertendo i bambini.
La corte si ritirò per decidere e dopo qualche minuto il giudice lesse a voce alta la sentenza.
– In base agli articoli ecc…ecc… – In relazione ai capi d’accusa ecc…ecc… esclusa ogni attenuante generica, l’imputato viene riconosciuto colpevole e condannato a morte per impiccagione da eseguirsi immediatamente nella pubblica piazza.
Mentre tutti applaudivano il verdetto, si creò in aula un po’ di confusione. Il lupo approfittando di un attimo di distrazione dei gendarmi che lo tenevano a bada, spiccò un balzo verso la finestra, ruppe il vetro e via di corsa verso il bosco.
Dopo circa mezz’ora giunse, stanco e sudato, nel posto dove lo aspettavano i lupi del branco.
– Allora…- disse il vecchio lupo, che aspettava ansioso la risposta – Hai confrontato la giustezza della nostra legge? Cosa sai dirmi?
– A dir la verità rispose il capobranco – ho capito soltanto una cosa: la nostra legge è perfettamente in regola con la grande legge della natura. Rispettiamola quindi e comportiamoci in modo tale che mai nessuno abbia a dir che qualche volta
“CI SIAMO COMPORTATI DA UOMINI E NON DA LUPI”.