La storia di Natale
Paolo Di Censi
Una dolce storia di Natale da ascoltare durante i giorni della festa più bella e attesa dell’anno e nei momenti in cui tutti torniamo bambini
Lassù sulla cima di quella collina
se ne stava un albero di un bel verde oliva.
Alto, imponente, robusto e altezzoso
dai rami massicci e dal tronco nodoso.
Sembrava che nulla potesse scalfirlo,
neppure che il vento potesse spostarlo.
Ma lì, sul cucuzzolo di quella sua casa
è vero, poteva osservare ogni cosa,
ma in fondo una volta guardata la valle
restava da solo, annoiato e assai triste.
Nemmeno un amico a cui dire buongiorno,
nemmeno un lombrico, una volpe od un corvo;
Gino era l’unico: un cordiale uccelletto,
un pennuto col cuore disegnato sul petto,
che ogni tanto passando veloce lì intorno
volava di striscio gridando – “Buongiorno!”.
I giorni passavano e arrivò anche l’inverno
ed ogni animale era pronto al letargo,
ognuno al sicuro nella propria tana
al caldo riparo fino a primavera.
Il freddo era tanto e pian piano dal cielo
cominciò a cadere un soffice velo,
dei piccoli fiocchi colore del latte:
la neve che tutto pian piano nasconde.
Il piccolo uccello volando leggero
si accorse di un pianto, non gli sembrò vero;
planando pian piano e sbattendo le ali
si accorse che il pianto veniva dai rami.
Incredulo ancora di quel gran baccano
cercò una risposta a quel fatto strano,
poi prese coraggio e disse a gran voce:
“Ohi caro albero, che c’è? Che succede?”
L’albero triste e coi rami imbiancati
rispose: – “non vedi, di me si son tutti scordati!”
Gino colpito da quell’albero solo
decise all’istante di spiccare il volo,
gridò col suo canto nel cielo ormai scuro
ma nessuno rispose: nessuno.
La notte era giunta e Gino sfinito
tornò tutto solo dal suo nuovo amico.
“Non essere triste” – il pennuto gli disse –
“Con te resto io!” E le ali poi scosse.
La neve cadeva e soffiava anche il vento
e il piccolo uccello tremava dal freddo.
Ma il canto di Gino non era perduto
e su fino al cielo era intanto salito,
le stelle colpite da quel nobile gesto
decisero insieme di scendere, di far presto
e come una pioggia di polvere d’oro
coprirono l’albero che non era più solo.
Così da ogni angolo della valle innevata
si vedeva un abete dalla chioma dorata,
brillava lassù come mille candele
sembravano lucciole in mezzo alla neve.
Così tutti gli anni per Gino e l’abete
si porta quell’albero dentro le case
per tenerli stretti lì nella memoria,
per non scordar mai questa loro storia;
quella di un freddo, di un freddo polare,
di chi non ha nulla, ma ha molto da dare
in cui basta poco per scaldare il cuore
questo vuol dire davvero Natale.
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