La volpe e l’aquila


volpe

Anche se forse può sembrare strano, in un bosco fitto fitto, un giorno, fecero amicizia un’aquila e una volpe. L’aquila si chiamava Clarissa e la volpe Clizia. La loro amicizia nacque per caso quando l’aquila Clarissa, spezzandosi un’ala per aver inseguito un leprotto, venne medicata e curata dalla volpe che, stranamente, aveva un’indole docile nonostante la sua furbizia.

A poco a poco, le due bestiole, divennero sempre più amiche, tanto che decisero di abitare una vicina all’altra, pensando che la vita in comune avrebbe rafforzato la loro amicizia: “Così, saremo sempre vicine e sempre più amiche”, diceva la volpe Clizia, che credeva molto nella loro amicizia.
Lentamente, per entrambe si avvicinava il momento di mettere al mondo i loro piccoli, così, una mattina l’aquila Clarissa volò sulla cima di un albero altissimo, e vi fece il suo nido: “Così i miei piccoli saranno al sicuro“, pensò. L’amica volpe, invece, strisciò sotto il cespuglio che cresceva ai suoi piedi e qui partorì i suoi piccoli volpini. Erano tre, paffuti e teneri: uno color miele, gli altri due, avevano il pelo di un rosso carico, quasi arancio.

Un giorno successe qualcosa di inaspettato e doloroso che rovinò per sempre la forte amicizia che legava Clizia a Clarissa: mentre la volpe Clizia era uscita a cercar da mangiare per sfamare i suoi cuccioli, l’aquila Clarissa, che aveva poco cibo per sè e i suoi piccoli, piombò nel cespuglio, dove dormivano i volpacchiotti, e con uno scatto fulmineo, li afferrò e li divorò crudelmente dandone anche in pasto ai suoi piccoli aquilotti.
Quando, al suo ritorno, Clizia vide che cosa le aveva fatto l’aquila, fu colta da un dolore grandissimo, non credeva ai suoi occhi, il suo cuore era straziato! “Come ha potuto un’amica così cara e fidata, approfittare della mia assenza e procurarmi un male così grande e incancellabile!?”.

Clizia era rimasta da sola, era triste perché pensava spesso ai suoi piccoli e inoltre era disperata perché non riusciva a soddisfare la sua sete di vendetta. Sapeva di essere un animale di terra, abituata a correre a saltare, ma di certo non era in grado di volare in alto e veloce come le aquile e, quindi, il suo desiderio di vendetta lo covò dentro di sé per lungo tempo. Ma Clizia era molto intelligente e sicura di sé, e così, pensava nel suo cuore: “Aspetterò il momento giusto, e ne sono certa, mi vendicherò!”.

Immobile, di lontano, scagliava maledizioni sulla sua nemica: l’unico rimedio che rimane ai deboli e agli impotenti.
Ma non passò molto e l’aquila subì quello che si meritava per aver tradito la sua amica. Un giorno, in aperta campagna si offriva in sacrificio una capra agli dei, l’aquila Clarissa, sempre in cerca di cibo, pensò di approfittare di quel momento per farsi una bella scorpacciata insieme ai suoi piccoli: “Che prelibatezza!” pensava, “i miei piccoli si sazieranno fino a domattina!”. Così, piombò giù e di colpo, con un gesto fulmineo, si portò via dall’altare uno dei visceri che stava prendendo fuoco. Quando l’ebbe trasportato nel suo nido, successe l’imprevedibile: un forte soffio di vento lo investì e da qualche filo di paglia secca suscitò un fuoco vivido e spaventoso. Fu così che i suoi piccoli, aquilotti ancora impotenti, furono bruciati e cascarono al suolo. La volpe Clizia, pronta a vendicarsi, corse fulminea e se li divorò tutti in un sol boccone, sotto gli occhi della madre. Finalmente aveva avuto la sua rivincita e, vedendo Clarissa disperata per la morte dei suoi piccoli, le disse: “Hai tradito la mia amicizia e l’amicizia è sacra, questo è quello che meriti per quello che mi hai fatto!”.
La favola mostra come coloro che tradiscono l’amicizia, anche se, per l’impotenza delle vittime, sfuggono alla loro vendetta, non riescono mai ad evitare la punizione degli dei.

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