L’albero parlante

C’era una volta un Re che credeva d’aver raccolto nel suo palazzo tutte le cose più rare del mondo.
Un giorno venne un forestiero, e chiese di vederle. Osservò minutamente ogni cosa e poi disse:
– Maestà, vi manca il meglio.
– Che cosa mi manca?
– L’albero che parla.
Infatti, tra quelle rarità, l’albero che parlava non c’era.
Con questa pulce nell’orecchio, il Re non dormì più. Mandò corrieri per tutto il mondo in cerca dell’albero che parlava, ma tornarono con le mani vuote.
Il Re si credette canzonato dal quel forestiero, e ordinò d’arrestarlo.
– Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio.
– E tu l’hai veduto, coi tuoi occhi, l’albero che parla?
– L’ho veduto con questi occhi e l’ho sentito con queste orecchie.
– Dove?
– Non me ne rammento più.
– E che cosa diceva?
– Diceva: “Aspettare e non venire è una cosa da morire”.
Era dunque vero! Il Re spedì di nuovo i suoi corrieri. Passa un anno, e questi ritornano da capo tutti con le mani vuote.
Allora, sdegnato, ordinò che al forestiero si tagliasse la testa.
– Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio.
Questa insistenza lo colpì. Chiamati i suoi ministri, disse che voleva andar lui in persona alla ricerca dell’albero che parlava.
Finchè non lo avesse avuto nel suo palazzo, non si sarebbe stimato un Re.
E partì, travestito.
Cammina, cammina, dopo molti giorni la notte lo colse in una vallata dove non c’era anima viva. Si sdraiò per terra e stava per addormentarsi, quand’ecco una voce che pareva piangesse:
– Aspettare e non venire è una cosa da morire!
Si scosse e tese l’orecchio. Se l’era sognato?
– Aspettare e non venire è una cosa da morire!
Non se l’era sognato! E domandò subito:
– Chi sei tu?
Non rispondeva nessuno. Ma le parole erano, precise, quelle dell’albero che parlava.
– Chi sei tu?
Non rispondeva nessuno. La mattina, come fece giorno, vide li vicino un bell’albero coi rami pendenti fino a terra: doveva essere quello.
E per accertarsene, stese la mano e strappò due foglie.
– Ahi! Perchè mi strappi?
Il Re, con tutto il suo gran coraggio, rimase atterrito.
– Chi sei tu? Se sei un’anima battezzata, rispondi, in nome di Dio!
– Son la figliola del Re di Spagna.
– E in che modo ti trovi lì?
– Vidi una fontana limpida come il cristallo, e pensai di lavarmi. Ma appena toccai quell’acqua, rimasi incantata.
– Che posso fare per liberarti?
– Bisogna aver la magia e giurare di sposarmi.
– Questo lo giuro subito, e la magia saprò procurarmela, dovessi andare in capo al mondo. Ma tu, perchè non mi rispondevi la notte scorsa?
– C’era la strega… Sta zitto, allontanati; sento la strega che ritorna. Se per disgrazia ti trovasse, incanterebbe anche te.
Il Re corse a nascondersi dietro un muricciolo, e vide arrivare la strega a cavallo del manico di una granata.
– Con chi hai parlato?
– Col vento dell’aria.
– Vedo qui delle orme.
– Son forse le vostre.
– Ah! Son le mie?
La strega afferrò una mazza di ferro e giù botte.
– Basta, per carità! Non lo farò più!
– Ah! Son le mie?
Il Re, angustiato, si persuase che era inutile seguitare a star lì; bisognava procurarsi la magia. E tornò indietro.
Ma sbagliò strada. Quando s’accorse d’essersi smarrito in un gran bosco e non trovava più la via, pensò di montare in cima a un albero per passarvi la notte; altrimenti, le bestie feroci n’avrebbero fatto un boccone.
Ed ecco, a mezzanotte, un rumore assordante per tutto il bosco. Era un Orco che tornava a casa coi suoi cento mastini, che gli latravano dietro.
– Oh, che buon odore di carne cristiana!
L’Orco si fermò al piedi dell’albero, e cominciò ad annusar l’aria:
– Oh, che buon odore!
Il Re aveva i brividi mentre i mastini frugavano latrando, fra i cespugli, e raspando il suolo dove fiutavan le orme. Ma per sua buona sorte era buio fitto; e l’Orco, cercato inutilmente per un po’ di tempo, andò via chiamandosi dietro i mastini:
– Tè! Tè!
Quando fu giorno, il Re, che tremava ancora dalla paura, scese da quell’albero e cominciò ad inoltrarsi cautamente. Incontrò una bella ragazza.
– Bella ragazza, per carità, additatemi la via. Sono un viandante smarrito.
– Ah, povero te! Dove sei capitato! Fra poco ripasserà mio padre e ti mangerà vivo, poverino!
Infatti si sentivano i latrati dei mastini dell’Orco e la voce di lui che se li chiamava dietro:
– Tè! Tè!
“Questa volta sono morto” pensò il Re.
– Vieni qua, – disse la ragazza, – buttati carponi. Io mi siederò sulla tua schiena, e la mia gonna ti coprirà. Non fiatare!
L’Orco, vista la figliola, si fermò.
– Che fai lì?
– Mi riposo.
– Oh, che buon odore di carne cristiana!
– Passava un ragazzino, e ne feci un bocconcino.
– Brava! E le ossa?
– Se le rosicchiarono i cani.
L’Orco non cessava d’annusar l’aria.
– Oh, che buon odore!
– Se volete arrivare alla marina, non indugiate per via.
Partito che fu l’Orco, il Re raccontò alla ragazza, per filo e per segno, tutta la sua storia.
– Maestà, se voleste sposarmi, la magia ve la darei io.
La ragazza era una bellezza; il Re l’avrebbe sposata volentieri.
– Ahimè, bella ragazza! Ho impegnata la parola.
– È la mia cattiva sorte! Ma non importa.
Lo condusse a casa, prese un barattolo e gli strofinò il petto con una pomata di suo padre. Il Re fu fatato.
– Ed ora, bella ragazza, dovresti prestarmi una scure.
– Eccola.
– Che cosa è quest’unto?
– È l’olio della cote dove è stata affilata.
Con la magia, ci volle un batter d’occhio per tornare al luogo dove si trovava l’albero che parlava.
La strega non c’era, e l’albero gli disse:
– Bada! Dentro il tronco c’e nascosto il mio cuore. Quando dovrai abbattermi, non dar retta alla strega. Se ti dirà di dar i colpi in su, tu dalli in giù. Se ti dirà di darli in giù, tu dalli in su; altrimenti m’ammazzeresti. Alla stregaccia poi bisognerà spaccarle la testa con un sol colpo, o saresti spacciato; neppure la magia ti salverebbe.
Venne la strega.
– Che cerchi da queste parti?
– Cerco un albero per far del carbone, e stavo osservando questo qui.
– Ti farebbe comodo? Te lo regalo, a patto che per atterrarlo tu dia colpi dove ti dirò io.
– Va bene.
Il Re brandì la scure, che tagliava meglio d’un rasoio, e domandò:
– Dove?
– Qui.
E lui, invece, colpì là.
– Ho sbagliato. Da capo. Dove?
– Lì.
E lui, invece, colpì qua.
– Ho sbagliato. Da capo. Dove?
Intanto non trovava il verso di assestare il colpo alla strega: essa stava guardinga. Il Re fece:
– Oooh!
– Che vedi?
– Una stella.
– Di giorno? È impossibile.
– Lassù, diritto a quel ramo: guardate!
E mentre la strega gli voltava le spalle per guardare diritto a quel ramo, lui le menò il colpo e le staccò, di netto, la testa.
Rotta così la magia, dal tronco dell’albero uscì fuori una donzella, che non poteva esser guardata fissa, tanto era bella!
Il Re, contentissimo, tornò insieme con lei al palazzo reale, e ordinò che si preparassero subito magnifiche feste per gli sponsali.
Arrivato quel giorno, mentre le dame di corte abbigliavano da sposa la Regina, s’accorsero, con grande meraviglia, che aveva le carni dure come il legno. Una di esse volò dal Re:
– Maestà, la Regina ha le carni dure come il legno!
– Possibile?
Il Re e i ministri andarono ad osservare. La cosa era sorprendente. Alla vista parevano carni da ingannare chiunque; a toccarle, eran legno! Lei intanto parlava e si muoveva.
I ministri dissero che il Re non poteva sposare una bambola, quantunque essa parlasse e si muovesse; e rimandarono le feste.
“Qui c’è un altro incanto!” pensò il Re, che si ricordò dell’unto della scure.
Prese un pezzetto di carne e lo tagliuzzò con questa. Aveva indovinato! I pezzettini, alla vista, parevan carne da ingannare chiunque; a toccarli, eran legno. Il tradimento gliel’aveva fatto la figliola dell’Orco, per gelosia.
Il Re disse ai ministri:
– Vado e torno.
E si trovò nel bosco, dove aveva incontrato quella ragazza.
– Maestà, da queste parti? Che buon vento vi mena?
– Son venuto apposta per te.
La figlia dell’Orco non voleva credergli:
– Parola di Re, che siete venuto apposta per me?
– Parola di Re!
Ed era vero; ma lei s’immaginava per le nozze.
Si presero a braccetto ed entrarono in casa.
– Questa è la scure che tu mi prestasti.
Nel porgergliela, il Re fece in maniera di ferirla a una mano.
– Ah, Maestà, che avete fatto! Son diventata di legno!
Il Re si finse afflittissimo di quell’accidente:
– E non si può rimediare?
– Aprite quell’armadio, prendete quel barattolo, ungetemi tutta con l’olio che è lì dentro, e sarò subito guarita.
Il Re prese il barattolo:
– Aspetta che io torni!
Lei capì e si mise a urlare:
– Tradimento! Tradimento!
E gli scatenò dietro i cento mastini di suo padre. Ma sì!… il Re era sparito.
Con quell’olio le carni della Regina tornarono subito morbide, e si poterono celebrare le nozze.
Furono fatte feste reali per otto giorni, e a noialtri non dettero neppur un corno.

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