Le soprascarpe della felicità

soprascarpe della felicità

Nel secolo scorso, in un palazzo molto elegante di una grande città, si stava svolgendo una festa da ballo. Gli invitati erano persone d’alto livello: ufficiali, petrolieri e grandi dame sontuosamente vestite. In un angolino, stava una ragazzetta riservata, la gente sosteneva che fosse una fata. “La fata delle cause perse però!”, ridacchiò una grassa signora di mezza età tutta ingioiellata. “Pensate che le sue magie finora sono state: aver salvato un cappello da un temporale, aver fatto in modo che Gigi lo spazzino venisse salutato dal sindaco della città, aver impedito che una carrozza schizzasse acqua su dei passanti in un giorno di pioggia!” diceva la gente in finto tono solenne, ridendo a crepapelle.
Lizzy, la giovane fata, era sconsolata nel suo cantuccio, piangeva piano e si sfogava con una sua amica: “Stanotte userò il dono che mi è stato fatto per il mio compleanno: le soprascarpe della felicità. E finalmente farò degli incantesimi importanti e prodigiosi, nessuno riderà più di me!”. Un vecchio sergente che passava di lì la canzonò: “E tu vorresti dire che se io indossassi queste soprascarpe sarò felice? Io non ti credo”. “Provi, sergente Van Teese. Qual è la cosa che la renderebbe più felice?”. Il sergente ci pensò un momento, poi esclamò: “Poter vivere nel Medioevo, epoca davvero affascinante quella!”. E così dicendo, indossò le soprascarpe. Prima che se ne rendesse conto, si ritrovò in un povero villaggio medievale, vestito di stracci e con i piedi nel fango.
Tutto intorno era sudiciume e povertà: i vecchi mendicavano a piedi nudi, i bambini battevano i denti intirizziti dal freddo, addirittura si diceva che nel villaggio vicino era scoppiata la peste e stava dilagando a macchia d’olio. Van Teese era sconvolto. Dopo un attimo di smarrimento, si ricordò che sui libri aveva studiato che la parte più bella del Medioevo era quella della vita di corte. Si recò dunque al castello del borgo, un maniero rude e un po’ tetro. Si intrufolò a palazzo nascondendosi su un carro, dentro un sacco. Quando fu sicuro di non essere scoperto, scese dal carro e si mise ad esplorare i meandri dell’edificio. Per poco si imbatté in alcuni vassalli: appena li vide, si addossò alla parete trattenendo il respiro e li sentì ragionare in questo modo: “Uccideremo il re nel sonno, con un potente sonnifero, il regno sarà nostro e ci spartiremo le terre!”. Stavano congiurando contro il loro stesso re! Van Teese era sempre più sbigottito, fuggì dal castello a gambe levate.
Si ritrovò nella foresta e fu catturato da una banda di fuorilegge. Un brutto ceffo lo afferrò alle spalle e minacciò di tagliargli la gola se non gli avesse dato del denaro: “Non ho nulla”, strillò il sergente terrorizzato e svenne accasciandosi come un sacco vuoto. Al suo risveglio, si ritrovò dentro una taverna. Il bandito che lo aveva catturato lo stava vendendo: sarebbe diventato servo della gleba per un grande feudatario. Ad un certo punto il sergente Van Teese guardò verso il basso e si accorse delle soprascarpe. Le tolse.
In un attimo si ritrovò nel sontuoso palazzo, al ballo, nel 1900! Era stravolto e  respirava a fatica. Lizzy gli chiese: “Com’era il Medioevo?”. “Terribile!”, esclamò il sergente “miseria, sporcizia, pestilenze, malattie, fame, guerre, tradimenti, violenza… queste soprascarpe della felicità non funzionano affatto!”. “Oh davvero?” insistette Lizzy. “Certo che no!”, ribattè Van Teese: “Sono davvero felice di vivere nel ventesimo secolo… ops!”. “Hai visto?”, fece la fatina, “le soprascarpe della felicità sono davvero efficaci!”, gli strizzò l’occhio e se ne andò, lasciandolo con un palmo di naso.
Le soprascarpe avevano donato al sergente la felicità: la felicità di vivere esattamente nell’epoca e nel luogo in cui stava vivendo!

Un commento su “Le soprascarpe della felicità”

  1. Grazie per questa bella fiaba: sono le ghette che usiamo ancora sui pantaloni e stivaletti bassi (detti Jodhpur) in equitazione.
    🙂

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