L’usignuolo e la rondine
Luigi Fiacchi
Un ameno bosco ombroso,
quando april riveste il suolo,
dimorava un amoroso
soavissimo usignolo.
Qui spiegando i suoi concetti
la dolcissima maniera,
ne arricchiva i molli venti
della bella primavera.
O sorgesse il sol dall’ onda,
o la notte in bruno ammanto,
ogni colle ed ogni sponda
echeggiava al suo bel canto.
Nella stessa piaggia aprica
stava arguta rondinella,
che al narrar di fama antica
l’ usignuolo ha per sorella.
Essa udendo l’ armonia
dal suo rustico ricetto,
l’ ammirava, e ne sentia
un dolcissimo diletto.
Venti volte in Oriente
avea il sol portato il giorno,
quando udì che men frequente
risonava il canto intorno.
anzi udillo sì dimesso,
e ristretto a sì poch’ ore,
che parca non dell’ istesso
ammirabile cantore,
onde là rivolse il volo.
ove il caro albergo avea
il già tacito usignuolo,
ed a lui così dicea:
o mio caro, e perché mai
la tua voce or non s’ ascolta?
Onde vien che non ci fai
rallegrar come una volta?
Io temea non fosse occorso
tristo caso a te di pena,
che turbalo avesse il corso
della tua vita serena.
L’ usignuolo a’ detti suoi
sì rispose: vieni, e vedi;
vieni, e vedi, e dirai poi
se mi scusi, e se mi credi.
Quel che miri, è il nido mio;
son nel nido i figli miei;
or se pascergli degg’ io,
come mai cantar potrei?
Molto, è vero, ai dì passati
apprezzai de’ versi il vanto;
or che i figli a me son nati
penso a lor, non penso al canto.
Così disse. Or voi, che avete
già di padre il dolce nome,
deh! pensate che ora siete
sottoposti ad altre some.
Date ai figli ogni pensiere,
non al frivolo piacere.