Michelaccio
Giovanni Arpino
Tratta da Le nuove filastrocche, Rizzoli, Milano 1968
Leggiamo insieme: Michelaccio di Giovanni Arpino
Voglia di lavorar saltami addosso,
però non consumarmi fino all’osso;
voglia di lavorar saltami in testa,
ma moltiplicami i giorni della festa;
voglia di lavorar saltami in braccio,
ma non ridurmi mai come uno straccio;
voglia di lavorar saltami al collo,
ma non spennarmi nudo come un pollo;
voglia di lavorar saltami al naso,
però di rado, però quasi per caso;
voglia di lavorar saltami agli occhi,
ma non strapparmi in mille e mille tocchi;
voglia di lavorar vienimi in mente,
ma non mischiarmi a tutta l’altra gente;
voglia di lavorar dammi un bacio,
ma non ridurmi a solo pane e cacio;
voglia di lavorar va’ da qualcuno,
ma lascia in pace me che son nessuno;
voglia di lavorar dormi a Natale
e seguita a dormir a carnevale;
voglia di lavorar non starmi intorno
e lasciami dormire tutto il giorno;
voglia di lavorar batti il martello,
ma non chiedere aiuto al mio cervello;
voglia di lavorar, cara signora,
ho avuto gran pazienza sino ad ora;
voglia di lavorar non s’offenda
mi lasci solo con la mia merenda…
Corre la tartaruga e corre Achille
tutti e due volendo far scintille,
corre la lepre e dietro a lei il cane,
il povero insegue pane con salame;
insegue il ricco un nuovo patrimonio
fino a perdere fiato e comprendonio,
corre il leopardo dietro alla gazzella
corre brucia scompare ogni stella.
Che posso farci se io son nato stanco,
pigro, tranquillo, e subito mi sfianco?
Mi chiaman Michelaccio, perchè dormo
seduto e in piedi, sera notte e giorno.
Quando mi corico sogno difilato
ventitremila sogni colorati.
Non corro, io, non faccio. Non mi muovo.
Non cerco. Non mi agito. Non trovo.
Son milioni le gambe a questo mondo
che corrono in tremendo girotondo:
le vedo e dico: e se cascano in un fosso?
Voglia di lavorar saltami addosso…
Illustrazione di Roberta Angeletti, tratta da BibliotecaTre – Antologia Italiana – Lattes Editori
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