Il Principe superficiale
Questa bellissima fiaba è opera di Camilla e Carlo (26 febbraio 2015).
C’era una volta… un anziano re, Anacleto IV, che, tra guerre, spese della corte, tornei di cavalieri, balli in maschera e banchetti, aveva finito per dilapidare le sostanze del suo regno.
Le sue proprietà agricole le aveva già vendute a una multinazionale, le riserve di caccia erano state conferite a un fondo di investimento immobiliare che le aveva trasformate in agriturismo, le miniere di gemme e di metalli preziosi erano state privatizzate, il fido mago Merlino era stato dato in garanzia a un pool di banche svizzere e persino il castello in cui viveva era ormai ipotecato fino all’ultimo ponte levatoio.
Gli restava soltanto una palude improduttiva sotto la quale i geologi di corte avevano trovato un giacimento di mercurio che non aveva neanche provato a vendere: fosse stato almeno un giacimento di petrolio, gli avrebbe fruttato un bel po’, ma con il mercurio, si sa, ci puoi fare giusto i termometri per misurare la febbre e, da quando Merlino aveva inventato i termometri elettronici, il prezzo di quel metallo era pure crollato.
Insomma, il povero Anacleto re di Smidollandia, non sapeva più dove sbattere la testa e non poté fare altro che confessare a suo figlio, il principe Adalgiso, la realtà della triste situazione in cui versava il regno che, un giorno, avrebbe dovuto ereditare.
Il buon Adalgiso avrebbe anche potuto essere un bravo ragazzo, se non fosse stato per quella sua mania di vestirsi sempre con ridicole tute azzurre iper-aderenti, mantello extra-lungo e cappello piumato (il tutto rigorosamente blu chiaro, o meglio azzurro come insisteva a dire lui) e se non fosse stato affetto da una fortissima allergia a qualsiasi sorta di lavoro, anche vagamente produttivo.
Insomma, poteva essere un re perfetto, se solo avesse ereditato un regno di questo nome, ma, purtroppo, la sua prospettiva era, ormai molto meno brillante.
Adalgiso accusò il colpo, e, per qualche giorno cadde in depressione, ma poi si mise a cercare una soluzione, perché, in fondo, era sempre stato un ottimista.
Purtroppo, in zona non c’erano più orchi da uccidere né fanciulle da risvegliare e i draghi erano estinti da tempo.
Si affidò anche a un’agenzia di collocamento, ma le offerte di lavoro, per principi azzurri purtroppo scarseggiavano in quel periodo e, francamente, qualsiasi altra professione gli sarebbe sembrata poco onorevole, quindi non se ne fece nulla.
Fu a quel punto che ebbe un’illuminazione e concepì una soluzione rappresentata, per la verità, da una delle idee meno originali che a un principe squattrinato potessero venire in mente: sposare una principessa danarosa.
Re Anacleto fu entusiasta quando suo figlio gli espose il progetto e individuò subito la candidata ideale nell’erede al trono del confinante regno di Svegliolandia.
La ragazza in questione era molto avvenente, era figlia unica e in famiglia, oltre a lei, restava solo la regina, sua madre che, ormai anziana, non vedeva l’ora di abdicare a suo favore.
Ma, soprattutto, era estremamente ricca, perché il suo reame ospitava le più grandi miniere d’argento nel raggio di mille leghe.
Albertina, questo era il nome della principessa, in realtà un difetto ce l’aveva e anche abbastanza grave: pareva che fosse molto intelligente e, dopo la laurea aveva addirittura fatto un master in finanza e gestione reami alla prestigiosa Università di Camelot.
Ad Adalgiso, per la verità, questo non piaceva per nulla, ma il patrimonio della fanciulla valeva ben qualche sacrificio.
Purtroppo i ragazzi non avrebbero potuto essere più diversi e caratterialmente meno compatibili tra loro.
Fu quindi con qualche sorpresa del re e di suo figlio che, non appena gli ambasciatori di Smidollandia portarono la proposta di fidanzamento alla principessa di Svegliolandia, ricevettero subito una risposta positiva e la richiesta di fissare le nozze entro tre mesi.
C’era solo un dettaglio più fastidioso che negativo da accettare: la ragazza, durante gli studi a Camelot aveva un po’ assorbito le consuetudini pragmatiche e poco romantiche di quel paese, perciò, come era in uso laggiù, richiedeva la stesura di un contratto pre-matrimoniale che definisse impegni e obblighi dei futuri sposi.
I legali di Smidollandia si prepararono dunque a una trattativa estenuante, nel timore che si presentasse davanti a loro una selva di clausole e tranelli, tali da annullare qualsiasi vantaggio per il loro futuro re, ma tutti restarono sorpresi per quanto si rivelarono modeste le pretese della principessa Albertina.
In poche parole: il giorno stesso del matrimonio, Svegliolandia avrebbe pagato tutti i debiti di re Anacleto e Adalgiso avrebbe messo le mani sull’intero patrimonio di Albertina che, in cambio, chiedeva solo che le fosse intestata da subito, come garanzia, la proprietà di quell’unico patrimonio (si fa per dire) che era rimasto alla famiglia dello sposo, ovvero quella palude che nessuno voleva comperare. Insomma: una richiesta più simbolica che altro.
Inoltre, nelle poche settimane di attesa delle nozze, Adalgiso non avrebbe più avuto alcun problema economico, visto che, per tutto quel periodo avrebbe vissuto alla corte di Svegliolandia, trattato, sin da subito, come un futuro re.
In realtà, per il principe, le cose andarono persino meglio del previsto: ogni singolo giorno, per lui e per i suoi amici erano organizzati banchetti, balli di corte, grandi bevute e feste a non finire. Il tutto era persino allietato dalla presenza di certe ancelle di corte, molto avvenenti e amichevoli, mentre Albertina, dimostrandosi straordinariamente comprensiva, su tutto questo chiudeva un occhio, dicendo che si trattava, in fondo, di un lungo e regale addio al celibato; mentre lei si teneva in disparte, occupata com’era con le prove del vestito e i preparativi per le nozze.
Al termine del secondo mese, il principe era ormai sfiancato dai bagordi: aveva il colesterolo a 950, il fegato ingrossato come un’anatra pronta a diventare una specialità della cucina francese e le occhiaie gli arrivavano alle ginocchia.
In più, era anche un po’ annoiato perché l’unica cosa che non gli lasciavano fare era andare a caccia, dato che Albertina, tanto affettuosa e premurosa, non voleva che lui rischiasse di farsi del male, cadendo da cavallo, proprio prima delle nozze.
Ma lui adorava la caccia, in fondo era un principe, per bacco! Così, questo argomento finì per essere l’unica causa di screzio tra i due promessi sposi, che peraltro non avevano altre occasioni per litigare, dato che non si vedevano quasi mai.
Quella sera, Adalgiso, si era quasi pentito dell’accaduto (non per un riguardo verso i sentimenti della principessa, dei quali, sinceramente, non gli importava nulla, ma per il timore che questa potesse cambiare idea prima delle nozze), quando l’adorabile e comprensiva Albertina tornò da lui per dirgli che, in fondo, era lei ad aver sbagliato e che lui avrebbe potuto andare a caccia quando voleva.
Il mattino dopo, nonostante il solito cerchio alla testa per le bevute della sera prima, il principe si sentiva inorgoglito per il potere che già sentiva di poter imporre sulla volontà della sua futura moglie e felice per l’imminente battuta di caccia.
Cacciare, si, ma cosa e dove?
Adalberto, infatti, non ancora aveva avuto modo di conoscere le foreste e la selvaggina del posto. Ma, proprio mentre pensava a queste difficoltà, nel giro di mezz’ora ecco arrivare una dopo l’altra due sorprese graditissime. Dopo innumerevoli anni, un drago era stato avvistato nel villaggio vicino e, neanche a farlo apposta, la sera prima, Albertina, per fargli una sorpresa, aveva fatto portare a corte il destriero e l’armatura del principe, direttamente da Smidollandia.
Inoltre, gli mandava un biglietto scritto di suo pugno che diceva: “ Oh mio principe, ora potrai mostrare il tuo valore a me e a tutti i tuoi futuri sudditi!”. Nessun principe azzurro avrebbe potuto resistere a tanto e, infatti, lui partì, nonostante la nausea e la sua ormai pessima condizione fisica.
Inutile dire che la lotta con il drago durò meno di un minuto e mezzo e che del principe si ritrovarono soltanto il mantello, qualche brandello di calzamaglia e un pezzo dell’elmo.
Le solite male lingue dissero che qualcuno, a tradimento, aveva saldato di nascosto la spada al suo fodero e che, per questo, il povero principe non era neppure riuscito a sguainarla, ma, naturalmente erano solo pettegolezzi infondati e malevoli: fantasiose dietrologie da giornalisti cortigiani.
Qualche settimana dopo, Albertina e la regina, sua madre, stavano brindando, con un abbondante gin-tonic, sul terrazzo del castello.
La recente acquisizione (gratuita) della più grande miniera di mercurio che ci fosse nei dintorni aveva reso il regno enormemente più ricco: grazie a quello strano metallo liquido, finalmente, gli alchimisti di corte potevano raffinare l’argento direttamente nei laboratori del reame, anziché doverlo vendere, come prima, allo stato di minerale grezzo, per un prezzo molto inferiore.
Certo, importare di nascosto un drago (specie protetta), fingersi addolorate al funerale, consolare il mancato suocero per il suo lutto e, prima ancora, sopportare a corte per due mesi quella folla di gozzovigliatori e ubriaconi, per non parlare di tutta la complicata recita, messa in scena per quel fidanzamento: tutto questo era stato molto pesante, ma ne era valsa la pena!
Morale della fiaba: se pensi che riuscirai ad approfittarti facilmente di qualcuno a causa della sua ingenuità, stai attento a non finire per essere tu la sua vittima.