Re Carlo Alberto

Angiolo Silvio Novaro

Tratta da: Il Cestello - Poesie per i Piccoli - A. Mondadori (Milano, 1928)

Re Carlo Alberto

Leggiamo insieme: Re Carlo Alberto di Angiolo Silvio Novaro

I

“Io cerco nel ciel la mia stella,
e quando la veda brillare
io voglio per te, Italia bella,
e vita e corona gettare”.

Diceva questo voto tra sé
nel primo oscurar della notte
il pallido attonito re
spiando le nuvole rotte.

Lucea come argento la stella
un’alba, tra i fiori del pesco,
e il re salta intrepido in sella
urlando: “La guerra al Tedesco!”.

In mano ha la spada tagliente,
sul capo ha la ricca corona
e dietro ha la giovine gente
d’Italia a combattere buona;

e accanto ha i suoi floridi figli
ché vuole anche questi gettare,
e vuol che il destino gli pigli,
se perde, le cose più care.

Abbatte la torbida faccia
sul petto il magnanimo re,
e un grido al suo popolo caccia:
“Avanti! Il Signore è con me!”.

Il grido urta monti e pianura.
Avanti! Il Tedesco già ondeggia…
Avanti! Il Tedesco ha paura:
somiglia, fuggente, una greggia.

Avanti! Garrisce nel vento
la tricolorata bandiera,
risplende la stella d’argento
sui fumi di Goito e Peschiera.

La cerula terra lombarda
è libera! Il pallido re
di sopra il caval la riguarda
e piange, in silenzio, tra sé.

 

II

Di gioia piangea… Ma una sera
calò dalle nevi irta e muta
ai prati una nuvola, ed era
la rabbia tedesca accresciuta…

Il re cercò in ciel con angoscia
la stella di ieri. Sparita!
Volea dove il fuoco più scroscia
gettar come un cencio la vita:

ed ebbe la pena più amara,
seguendo le lacere truppe
fra l’onta e la polve a Novara,
e il cuore in andar gli si ruppe.

Gettò la corona e la spada,
si strinse i figliuoli ai ginocchi,
baciò la perduta contrada
con un lento volgere d’occhi;

e via per il tacito orrore
notturno tra cenni di larve
tenendosi in mano il suo cuore
spezzato, a cavallo disparve.

Galoppa galoppa galoppa,
di là dall’Italia un gran mare
lo vide a caval nero in groppa
più vecchio e più smorto arrivare.

Battea con l’ondata sonora
ai piedi del pallido re
il mare e chiedea d’ora in ora:
“Che hai? Dillo a me, dillo a me…”.

Ma nulla il dolente diceva:
reggevasi il cuor con la mano,
e il viso in silenzio volgeva
a un ciel piccoletto lontano.

Tre giorni in quel cielo fu assorto
lo sguardo del pallido re:
al quarto cadeva egli morto,
e il mare baciavagli i pie’.

 

Illustrazione di Domenico Buratti

 

Cestello

 

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