Una carrozza speciale
Chiara Lossani
Fiaba inedita vincitrice del premio “Alpi Apuane” 1997
– Sepe! Ramiro! Dove siete? – chiamò Miraldo, il capogiardiniere, superando il cancello del giardino imperiale decorato con intrecci di fiori e foglie a forma di corona.
Da un cespuglio di Rose Nere della Notte spuntò il viso rotondo di Sepe, il giardiniere. Dalla chioma di un Giganpesco carico di frutti grossi come palloni, si udì il borbottio di Ramiro, l’aiutogiardiniere.
– Ramiro! Sepe!- ripetè Miraldo, fermandosi al centro del viale e disegnando l’aria con ampi gesti. – Venite, presto!
Sepe potò l’ultimo ramo secco, poi lo raggiunse con andatura ondeggiante: – Che c’è? – fece, calmo.
Intanto le lunghe gambe di Ramiro penzolavano dal tronco, mentre i piedi cercavano i pioli della scala: – Scendo, arrivo: possibile che non si riesca mai a lavorare tranquilli?
– Ho una notizia sensazionale: tra una settimana l’imperatrice si recherà al Raduno dei Re!
I due lo fissarono perplessi.
– Non capite? E’ l’occasione che aspettavamo!
– Ah! – fece Sepe, spalancando la bocca.
– Mmmm – fu il commento di Ramiro a labbra strette.
– Possibile che non ci arriviate da soli? L’Imperatrice vorrà fare bella figura, e noi tre costruiremo per lei una carrozza- giardino straordinaria, da lasciare senza fiato gli altri re.
– Vuoi dire con terra, fiori…
– Terra, fiori, alberi! Ma avrà anche ruote, cocchiere e cavalli! Sarà il giardino più piccolo del mondo e la carrozza più profumata che sia mai stata costruita. Che occasione, amici! Faremo felice l’Imperatrice, e mostreremo a tutti quali meraviglie sanno coltivare i suoi giardinieri!
– Ma l’Imperatrice sarà d’accordo?
– E’ entusiasta, e non vede l’ora di salirci. Allora, vi va l’idea?
La larga bocca di Sepe si aprì in un sorriso, gli occhi stretti di Ramiro scintillarono di desiderio, mentre nelle tre teste si accavallavano i progetti.
Non si era mai visto un vaso di terracotta più grande di quello: rotondo e con un bordo abbastanza alto da trattenere la terra, occupava quasi tutto lo spazio davanti alla serra imperiale.
Miraldo gli aveva fatto applicare quattro ruote di legno, un seggiolino per il cocchiere e un asse di collegamento per attaccare i cavalli.
Quel giorno l’Imperatrice sarebbe partita per il famoso Raduno, e i tre giardinieri andavano e venivano tra serra e giardino, portando piante e fiori per gli ultimi ritocchi.
Sepe aveva disposto nel vaso- carrozza dieci cespugli di rose arcobaleno, più un esemplare della superba Rosa della Notte, il cui profumo poteva essere sentito a un chilometro di distanza; aveva aggiunto una camelia e una mimosa.
Ramiro aveva trapiantato due peschi, un cipresso e uno dei suoi celebri Melograni Millechicchi.
Miraldo aveva curato la siepe, facendola girare, ora bassa ora alta, intorno al bordo. Le aveva dato forma di case, di castelli e di montagne.
In mezzo al giardino, sotto una pergola di glicine, più in alto di tutto, su una piattaforma, avevano sistemato un trono dorato. Mancavano ancora un tappeto di prato e ciuffi di margherite e viole qua e là.
Quando anche gli ultimi lavori si furono conclusi, Miraldo ordinò: – I cavalli! – e quattro puledri bianchi con pennacchi sulla testa furono attaccati al vaso. Poi il cocchiere prese posto, e un delizioso giardino apparve davanti agli occhi soddisfatti dei giardinieri, che pensarono: “Non si é mai vista una carrozza più originale!”
Finalmente giunse l’Imperatrice. L’intera corte era schierata in attesa: c’erano le dame, i cavalieri, i paggi, e dietro di loro i servitori, i cuochi, gli stallieri. I più emozionati di tutti però erano i tre giardinieri, che non volevano perdere neanche un istante della partenza della carrozza- giardino.
I giri di perle e le pietre preziose dell’abito distraevano l’attenzione dalle forme rotonde dell’Imperatrice, che prima ammirò la nuova carrozza, poi prese a salire la scaletta e i tre gradini della piattaforma. Nonostante l’aspetto robusto, con grazia leggera si accomodò sul trono. Che, insolente, scricchiolò.
Mentre la dama di compagnia le sistemava il vestito, tra il glicine si udì il ronzio di un’ape, che, scambiando l’acconciatura imperiale per un cespuglio, si infilò tra i capelli in cerca di nettare.
– Aiuto!- gridò la sovrana, scuotendosi tutta. In quel momento il lacchè, che era ai piedi del trono, allungò una mano verso il melograno carico di frutti. Erano così succosi che gli avevano fatto venire l’acquolina in bocca. Per staccarne uno di nascosto mosse un ramo, il quale tempestò a terra mille grani macchiando lo strascico dell’Imperatrice. Ma lei non se ne accorse: aveva iniziato a tossire a causa di tutta quella mimosa. Sentiva la gola pizzicare, e per il profumo intenso di rosa la testa iniziava a farle male.
– Andiamo!- ordinò al cocchiere. Forse, con il movimento dell’aria tutto quanto sarebbe passato, pensava. I cavalli si avviarono verso il cancello.
– Evviva!- esultarono i cortigiani. – Evviva l’Imperatrice!
Le ruote cigolarono, frantumando la ghiaia. La punta del cipresso ondeggiò come un cappello e i peschi lasciarono cadere una pioggia soffice di petali. L’Imperatrice salutò la corte con la mano grassoccia.
– Evviva l’Imperatrice! – gridò Sepe. La sovrana gli sorrise paffuta. Ramiro si commosse. Miraldo invece, mentre la carrozza gli sfilava davanti, notò una crepa nel bordo esterno del vaso. Fu in quel momento che le ruote anteriori sobbalzarono a causa di un sasso. La fessura iniziò a correre come una smagliatura. Quando saltarono anche le ruote di dietro, la crepa si aprì, di più, sempre di più, finché, premuto dalla terra, una parte del bordo andò in pezzi.
Dapprima franò la siepe a forma di castello, che precipitò su una ruota, incrinandola. Come un elefante stanco la carrozza si adagiò su un lato, rovesciando su viale peschi, cipresso e mimosa. Scivolò il prato – sembrava che pattinasse sul ghiaccio! – tirandosi dietro l’arcobaleno di rose e il Melograno Millechicchi. Insieme col lacchè. Intanto la crepa aveva raggiunto il centro del vaso, che si aprì nel mezzo con uno schianto. La pergola rovinò dentro la voragine, dove scomparve, risucchiata, la dama di compagnia. Il trono, dopo aver catapultato la sovrana, rotolò lontano, mentre l’Imperatrice, preso il volo, atterrò a gambe all’aria al centro del viale.
Un’ora dopo non c’erano che quei quattro a guardare il cumulo di cocci, terra, cespugli e foglie, resti di quella che doveva essere la carrozza più speciale del mondo.
– Con questa non si potrà andare più da nessuna parte…- disse Miraldo.
Sepe scuoteva la testa: – Era destino!
– Non ci sarà mai più un giardino come quello… – aggiunse Ramiro.
– Ed è un vero peccato che nessuno dei miei amici Re l’abbia vista- sospirò l’Imperatrice. Restò assorta, poi disse: – Anche se con quello che rimane potrei fare dei doni…
Sepe, Ramiro e Miraldo la videro passare poco dopo al di là del cancello, a bordo della sua carrozza bianca e oro diretta al Raduno dei Re. Dal finestrino, l’imperatrice sorrideva rubiconda alla corte, mentre sulle ginocchia teneva un cesto con tre Rose della Notte da portare in omaggio alle mogli del Re di Saggiochefù, un ramo di Melograno Millechicchi da mostrare alla Regina del paese delle Ocheincantate, quattro Gigantesche per il re Malabarba, oltre agli altri doni che le avevano suggerito i suoi tre straordinari giardinieri.