Cyberbullismo, ragazzi soli e genitori smarriti. L’identità e la prepotenza ai tempi di facebook

Nei giorni scorsi ho seguito con una certa aspettativa la diretta streaming di Navigaresicuri. Tema in programma il cyberbullismo che per me, madre di maschi in una fascia di età (da 9 a 13) in cui con bullismo e prepotenze di gruppo si ha a che fare per forza, era come stare, come si dice, “sul pezzo”.

Gli ospiti invitanti a parlare hanno portato ognuno la loro personale esperienza. Maria Rita Parsi quella di psicologa e psicoterapeuta impegnata da tempo nella tutela dei minori, Frieda Brioschi, presidente di Wikimedia Italia, quella di veterana della rete, e Lucia d’Adda, autrice del Blog In vacanza da una vita, quella di mamma di preadolescenti.

Eppure, come già durante l’ultimo incontro, le cose più interessanti sono venute fuori più dal confronto delle diverse posizioni e dalle reazioni di ragazzi e genitori che dai singoli interventi.

Il web si rivela ogni volta di più come un universo in cui le regole di navigazione e sopravvivenza sono mutevoli e sfuggenti.
Ciò che è chiaro è che i blocchi ed i divieti soluti servono poco, quando non rischiano di diventare controproducenti, perché una scappatoia si trova sempre.

I genitori che mentono consapevolmente sull’età dei figli per aprire loro un profilo facebook forse a volte sono inconsapevoli e sinceramente illegali, ma altre forse cercano di barcamenarsi tra scelte non facili, scegliendo il male minore: meglio una bugia (o meglio un’infrazione) ed un profilo controllabile che un account aperto di nascosto, di cui non si sa niente.

Proteggere i propri figli è sempre difficile, e sulla rete, universo in cui l’accesso e la fruibilità appaiono semplici ed immediati, può nascondere insidie inaspettate.
“Voi non attraversereste certo un’autostrada a piedi” dice sapientemente Frieda Brioschi ai ragazzi, con una sottile provocazione. Eppure è quello che spesso succede in rete, dove si affrontano sentimenti, esperienze e relazioni senza essere adeguatamente corazzati.

Il cyberbullismo è l’evoluzione digitale del bullismo, che a sua volta è una forma di prepotenza, ma anche l’espressione di una sofferenza, di un malessere, come ricorda Maria Rita Parsi. I bulli spesso si rifanno sugli altri, sui più deboli, i diversi, “gli sfigati”, di una solitudine che si portano dentro.
E la solitudine è il sentimento centrale del bullismo. La vittima subisce isolandosi, non riuscendo a chiedere aiuto perché non ha fiducia nella possibilità di essere capito e sostenuto dagli altri.
La vittima del bullismo viene fatta sentire indegna di stima, di affetto e quindi di solidarietà.

Per combattere il fenomeno bisogna quindi, come ricorda giustamente una mamma in sala, lavorare sull’autostima, sulla crescita personale e sul senso della comunità.
Il gruppo a questa età è infatti fondamentale. E’ il momento in cui ai genitori si cominciano a nascondere le cose, proprio per affermarsi come individui distinti. E quindi nel momento in cui il gruppo di amici ci si rivolta contro non avere neanche l’appoggio degli adulti è ancora più grave.

E gli adulti in questo possono avere una grande responsabilità. L’errore più grave è minimizzare, ritenere per esempio che un post su facebook, una foto rubata, un sms offensivo, così come un atteggiamento ostile da parte dei compagni siano cose da ragazzi. Certo lo sono, ma provocano ferite gravi e  profonde. Ascoltare i ragazzi, mettersi nei loro panni, imparare da loro come funzionano i sentimenti in rete è l’unico modo di star loro davvero vicini, per aiutarli a crescere.

D’altronde il mondo dei figli è da sempre, per definizione, un mondo di cui i grandi non sanno niente.
Ciò che conta è riuscire a passare una bussola di emozioni e punti saldi per orientarsi in ogni nuovo universo.

Anna Lo Piano

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