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Gli sdraiati, un film da vedere perché
Sono stata all’anteprima del film Gli Sdraiati di Francesca Archibugi.
Se avete figli adolescenti in giro per casa, come me, vederlo non sarà una passeggiata.
Sono sicura che gli Sdraiati vi piacerà, come è piaciuto a me, ma vi susciterà anche un groviglio di sentimenti e sensazioni contrastanti: un misto di pugni nello stomaco, risate e pensieri tipo: “Sì, vero, è proprio così!!!”, oppure “La regista ha messo una webcam in camera dei miei figli?”
A tratti vi immedesimerete nel padre affettuoso, preoccupato e un po’pedante (Bisio), che si ritrova ogni giorno a combattere con i suoi sensi di colpa e con il dentifricio senza tappino nel bagno; altre volte non potrete fare a meno di ritornare indietro sui banchi del liceo, quando sul divano sdraiati c’eravate voi e di fronte avevate genitori molto meno tolleranti. Non c’erano smartphone, ma le dinamiche di incomunicabilità fra generazioni sono più o meno le stesse.
Tutto il film è basato sulle parole non dette, su padre e figlio che non riescono a comunicare. In ogni scena lo spettatore ha davanti sempre i due punti di vista, le due visioni differenti del mondo e l’impressione che tutti e due abbiano ragione e torto insieme.
Non vi racconterò nulla, ma vi dirò perché secondo me è un film da vedere tutti.
Va bene per chi ha i figli che sembrano usciti dal grande schermo come me (i miei fanno addirittura lo stesso liceo di Gaddo e compagnia!), ma anche per i genitori di bambini ancora piccoli e innocenti, perché anche loro sono già dei potenziali #sdraiati!
Chi di figli non ne ha proprio, invece, davanti a qualche scena non potrà che fare fiuuuu! e tirare un sospiro di sollievo, mentre pensa ai ceffoni che darebbe a tutta la cumpa.
I giovani potranno invece riconoscersi nei protagonisti, perché per una volta non sono “finti” come nelle fiction TV, ma parlano, si muovono e vanno in bici, esattamente come loro. Gli attori sono bravi e credibili, sia Bisio sia i ragazzi, alla prima prova davanti alla cinepresa.
Consiglio il film a chi ha letto il libro di Michele Serra e si è chiesto come fosse possibile trarne un film, dato che non c’era una vera storia e a chi non lo ha letto, perché la sceneggiatura di Francesco Piccolo merita.
La figura del nonno tassista interpretata da Cochi Ponzoni (che per quelli della mia generazione è un mito) è una chicca, che da sola vale cento punti. E’ praticamente la versione maschile della Pupette del “Tempo delle mele”, ve la ricordate?
Pinin è infatti un ottantenne speciale, che riesce a diventare complice del nipote e della sua banda di sdraiati, in barba ai salti generazionali, dimostrandosi molto più moderno ed empatico dei genitori.
Infine vale la pena di andare al cinema per vedere una Milano bellissima, che solo l’occhio di una straniera ha potuto cogliere. La regista che milanese non è, prima di girare il film ha girato la città in bicicletta e si vede, perché ha catturato scorci mai banali e molto d’effetto, dai licei del centro fino al Giambellino.