C’è vita felina nello spazio?

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C’è vita felina nello spazio?

di Domenica Luciani e Roberto Luciani
Feltrinelli
Collana “Il gatto nero”
2009

Era l’alba di una fredda mattina di pollaio, il mese in cui su Bumppo, il Pianeta dei Gatti, nevica cosce di pollo alla griglia. Alle ore 29 spaccate si spalancò la porta dipinta a stelle di una casetta col cannocchiale sul tetto. Fuori trotterellò un gatto rosso con una bussola e un amuleto appeso al collo. Avete indovinato: era Ottokar, il gatto esploratore siderale!
Ottokar era emozionatissimo, perché quel giorno avrebbe intrapreso il suo primo viaggio solitario nello spazio. Infatti aveva ottenuto da poco la patente del miciorazzo, l’astronave felina, e finora non si era mai avventurato nel cosmo da solo. Adesso non stava più nella sua pelliccia rossa dall’ansia di scoprire se ci fosse vita felina anche su altri pianeti.
Ottokar aprì il cancelletto del garage e rimirò orgoglioso il miciorazzo, che aveva comprato la settimana prima al bazar dell’usato. Una vera occasione, era costato solo sette miaomalicchi, dodici fusatelli e due soffioncini e mezzo.
“Sembra nuovo di zecca, non certo di seconda zampa!”, pensò soddisfatto.
Ottokar sputò sugli specchietti laterali e li strofinò ben bene fino a farli luccicare. Mentre scrutava dentro lo specchietto di sinistra ci vide riflesso il musetto candido di una gattina.
– Jizzy! – esclamò voltandosi. – Sei venuta a salutarmi?
– Anche, Otti, anche – rispose Jizzy sussiegosa. A Jizzy non andava giù che Ottokar volesse fare l’esploratore. Aveva paura che a forza di bighellonare per lo spazio si tramutasse in un gattaccio randagio e scordasse così la sua amica più cara, che appunto era lei.
Ottokar si grattò sulla pancia, dove tre piccole pulci stavano giocando ad acchiappino. Poi alzò i tergicristalli e prese a sfregare il parabrezza.
– In realtà dovresti farmi un piacere – disse Jizzy osservandosi gli artigli delle zampette. Erano puliti e splendenti come tante piccole mezzelune nel cielo notturno.
– Miagola! – disse Ottokar cordiale.
– Dovresti pulirmi dietro le orecchie, perché io non ci arrivo – rispose Jizzy.
Ottokar fece un sospiro. Quello era il momento di decollare, non di fare la toeletta all’amica! Ma la gattina, leggendogli nel muso, aveva già preso a sbattere la coda innervosita.
– E va bene – disse Ottokar.
Ottokar prese a leccare Jizzy dietro l’orecchio destro, lisciando quel pelo soffice e bianco come panna montata. Poi passò all’orecchio sinistro, finché non si sentì la lingua tutta intorpidita.
– Poho oha pahtihe? – chiese finalmente a Jizzy.
– Cosa? – fece lei.
– Ti ho chiesto se ora posso partire… – disse Ottokar riprendendo a muovere scioltamente la lingua.
Jizzy ci pensò su.
– Ti sei ricordato di affilarti le unghie? – gli chiese.
– Lo posso sempre fare sul sedile del miciorazzo – disse Ottokar.
Quel gatto aveva sempre la risposta pronta! Ma Jizzy non mollava facilmente.
– E hai fatto provvista di erba gatta? Nel caso tu soffra di mal di razzo e debba vomitare, un ciuffetto di erba gatta potrebbe aiutarti.
Ottokar aprì la portiera e saltò dentro l’abitacolo.
– No, ho fatto scorta di cosce di pollo – disse. – Tanto non soffro di mal di razzo. E adesso ti saluto!
Ma Jizzy, che non sopportava l’idea della sua partenza, cominciò a profondersi in raccomandazioni:
– Attento ai gatti alieni, se li incontri, non toccarli: potrebbero attaccarti la rogna marziana!
– Non lo farò! – assicurò Ottokar.
Intanto aveva infilato la chiavetta nel quadro di accensione.
– E sta’ lontano dai colpi di vento: potresti beccarti il cimurro cosmico! – implorò Jizzy.
– Lo farò! – assicurò di nuovo Ottokar.
Forse Jizzy, prospettandogli tutti questi pericoli, aveva intenzione di scoraggiarlo. Per fortuna però Ottokar non era tipo da scoraggiarsi. Perché un gatto scoraggiato difficilmente farebbe le fusa e per l’appunto le fusa erano l’unico carburante che faceva partire il miciorazzo.
In realtà Ottokar era così felice di iniziare la sua prima avventura, che prese subito a ronfare a tutto volume. Il serbatoio del carburante si riempì in mezzo miao.
Ottokar abbassò il vetro del finestrino e strofinò il naso contro quello di Jizzy.
– Maociao, amica mia! – disse gongolante.
– Maociao, Otti! – esclamò Jizzy. – Se ti trovi in difficoltà, ricordati di invocare Natty!
Ottokar annuì, stringendo nella zampa l’amuleto di Natty il Grande, l’antico progenitore di tutti i gatti del pianeta. Ottokar era convinto di essere passato all’esame di guida grazie alla sua protezione.
Il miciorazzo cominciò a rombare e a vibrare, slittando fuori dal garage. Jizzy gli trotterellò dietro finché l’astronave non cominciò a innalzarsi nel cielo invernale sprizzando scintille violette. Allora si arrampicò su un albero e si mise a naso in su, coi baffi frementi per la commozione.
Quando il miciorazzo fu sparito del tutto alla vista, scese dall’albero e si leccò via inorridita una macchiolina di resina che le aveva sporcato il callo di una zampetta. Poi raccolse una coscia di pollo caduta dal cielo e cercò di scacciare la tristezza pappandosela in tre bocconi.

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