Giulia Orecchia: “Di punta, leggera – Di tacco, profonda”

Di punta, leggera – Di tacco, profonda
di Giusi Quaregni
Premio Battello a vapore 1997

Giulia, una cosa simile non posso proprio fartela, e neppure posso lasciare che l’arcigna minaccia si avveri… “uno studio retrospettivo della sua (tua) carriera sul catalogo illustratori dell’anno prossimo”. Questo.
Sta scritto proprio così sul n. 17 di LeggendoLeggendo.
D’altra parte può succedere che anche i premi, talvolta, non vengano soli. Vedi il tuo 1997: a maggio il PREMIO ANDERSEN IL MONDO DELL’INFANZIA come migliore ilustratrice (motivazione: “Artista versatile e curiosa, collabora con le principali case editrici spaziando dal cartonato del libro-gioco all’albo illustrato ai disegni per le collane di narrativa. Le sue illustrazioni si connotano per la continua voglia di sperimentare, per un tono allegro e cordiale, impertinente e arguto”); a settembre il PREMIO NAZIONALE D’ILLUSTRAZIONE BATTELLO A VAPORE – CITTA’ DI VERBANIA con promessa, per il ’98, di mostra e di ‘studio retrospettivo della carriera’. Bene, anzi no, perché a quest’ultimo, personalmente, mi oppongo. E forse anche tu.
Perché non una delle parole che vanno a dar corpo al macabro progetto ti somiglia, perché so che non le vorresti per casa… e se ti capitano tra pennelli e matite io so che le butteresti via con un colpo di mano rapido deciso e leggero. E allora… pussa via, studio retrospettivo della carriera!

Prendiamoci invece un po’ di tempo e fammi sfilare davanti, con calma, le cose che hai fatto, prendi dagli scaffali i libri pubblicati, le cartelline con i progetti, le prove, e mettili all’aria, fammeli toccare. E intanto parliamo… del lavoro, certo, del segno, del disegno, del colore, della tecnica, del pieno e del vuoto, del taglio, del formato, del fattore Esse (che sta per ‘sorpresa’)… e di mille altre cose, dei nostri figli per esempio, di come sono, di come promettono/minacciano di essere …Tu cosa dici, sarà segno di carattere o solo gusto di ribellione? …Di loro non potrei proprio fare a meno, tranne quando li disferei, sperando di arrivare un attimo prima che loro disfino me! …Ti ricordi quell’armadio, sarebbe da buttar via, ma forse ridipinto, anzi illustrato! …E di quando in corso Venezia? ... e di come riuscire a stare nel mondo, un po’ dentro un po’ fuori, tra passioni e delusioni, amori e timori, desideri e abbandoni, conti e racconti, torte di mele e disegni per le feste di compleanno, le cure, gli affanni, e le date delle consegne, sempre ieri.

… Il fatto è che non so bene come dire del tuo lavoro, dall’interno di questa nostra amicizia che non ricordo più se cominciata per amor di illustrazione, le tue e altre; o se affinità di gusto e di modo di lavorare hanno portato la frequentazione a crescere in conoscenza, fino all’amicizia.
E anche del dato che ci conosciamo (e che da vent’anni ‘facciamo cose e vediamo gente’) che ne faccio? Lo esibisco e lo gioco come credenziale di affidabilità, o lo denuncio come fattore di sospettabilità, incontrollabile veicolo di interesse troppo privato?…
Insomma, quello che voglio dire è che l’osservazione risentirà enormemente dell’osservatore… storia vecchia, d’altra parte, Popper ci ha avvertiti per tempo e da tempo fortunatamente memorabile, ma chissà se intendeva anche in questo senso e, soprattutto, fino a questo punto?!

Per trarmi d’impaccio, sarebbe molto utile ricorrere a quel movimento, un classico della presentazione critica, o studio retrospettivo come-si-deve, che non mi sembra improprio definire come ‘ricerca della mappatura genica’, a rintracciare filiazioni, attribuzioni, derivazioni, agnizioni, citazioni, frequentazioni, provocazioni, debiti, omaggi e ammicchi, orme e segni. Segni d’altri segni, della storia nobile e colta e multimediale del segno, passando per tutte le forme di espressione, su su fino all’Arte, vibrando di maraviglia e di piacer.
Maraviglia e piacer che provo anch’io, guardando i libri le tavole le cose che mi stai facendo sfilare davanti, perdendomi e divertendomi, anch’io, a rintracciare, a riconoscere… sai chi? …

Simone, Michele, Giovanni, Susanna, Valentina, Gaia, Marco, Clara, Filippo, Matteo, Duccio, Laura, Andrea, Anna, Tommaso, Serena…
loro, i bambini e le bambine, Giulia, i nostri, nostri nel senso che sono i bambini che noi guardiamo, che sono bambini mentre noi (che non lo siamo più, ma che ci ricordiamo bene) li guardiamo, i bambini che entrano nei nostri sguardi, che ci toccano, che si fanno sentire, che ci prendono tempo.
E quante facce dietro un nome solo, e quante età, umori, espressioni, storie. Ritratti.
Bambini ritratti, non nelle loro fisionomie somatiche, ma in quelle emotive, quelle con le quali incontrano la vita, scontrandosi a volte, conoscendola intanto; quelle con le quali da lei si fanno riconoscere, lasciandole il proprio segno, infinite volte nel giorno, perché infiniti sono i gesti, le emozioni i pensieri con i quali un bambino/una bambina vive ogni giorno. E guarda, mangia, ascolta, scappa, ride, teme, rincorre, aspetta, si sorprende, scapriccia, tocca, butta, fa-bau… e ha infiniti modi per incontrare la notte, e la nanna.
Perché anche i bambini dormono. E da tempo noi abbiamo eletto la cosa a incontrovertibile prova dell’esistenza di Dio, e degli angeli, almeno sul fare della notte e per qualche ora.

Istantanee disegnate. Istantanee narrate. Segnate dal tuo modo di guardarli, questi bambini e queste bambine: con tenerezza, con complicità, con curiosità, con una pazienza che riesce a essere divertita anche quando è messa a dura, quanto dura, prova…
E’ questo sguardo che raccontano i tuoi disegni. Di bambini facce-da-schiaffi e gote-da-baci, insieme, nello stesso momento.
Bambini amati, sì credo di sì, ma forse più ancora, e prima, rispettati. Come creature che non ci appartengono. Come nessuna creatura ci appartiene.
Tranne, forse, gli orchi, i giganti, le streghe, la befana, i maghi, gli gnomi, i mostri… i tuoi almeno, quelli che disegni tu… oh sì, io credo siano esattamente come quelli che hai ‘visto’ da bambina. Anch’io. Mostri. A misura dell’infinita paura di ogni bambino. Che quando sta per essere sopraffatto stringe la mano, per trovarne un’altra. E se i mostri li hai disegnati tu, la trova. Perché tu disegni tenendo un bambino per mano.

Ci sono due bambini che conosco bene, e anche tu.
Qualche anno fa, quando erano più piccoli, esattamente il più grande in prima elementare e il più piccolo in prima asilo, succedeva che di sera, a volte, il grande leggesse un libro al piccolo. Una sera li trovai che si erano invertiti le parti: il piccolo leggeva e il grande ascoltava
“Io so leggere – si giustificò il grande – e leggo solo la storia che c’è scritta, lui guarda le figure e legge anche la storia che non c’è”. Era un tuo libro, Giulia, I Topini, credo.
Anche ‘la storia che non c’è’ è un po’ tua.

Ma devo dirti anche di un’altra storia che non c’è, scritta nelle parole, e che leggo nelle tue illustrazioni. E’ quella dei sentimenti delle vita che i bambini ci fanno provare, scoprire.
Ci sono pensieri che si fanno solo guardando un bambino che gioca, che aspetta, che piange; emozioni che ci toccano solo tenendo un bambino per mano; risate che solo loro ci regalano, e ansie e tenerezze e stupori e angosce e dubbi che mai avremmo avvicinato.
Decidere/accettare di far entrare dei bambini nella propria vita vuol dire decidere/accettare di esporsi alla ‘storia che non c’è’. …Se poi sono gemelli!!…

Disegni alla presenza dei bambini, con i loro occhi che ti guardano. I loro, prima e più di quelli dell’art-director, dell’editore, dell’adulto che forse comprerà il libro. Sono i bambini i tuoi veri committenti. Loro: i bambini come sono e come immagini che sono, con tutto il tumulto della realtà e tutto il rigore della fantasia.

Abbiamo lavorato insieme un bel po’… bene, credo di poter sostenere con sicurezza che non ti ho mai visto, Giulia, ‘fare l’artista’, fare perché incalzata dal moloch dell’ispirazione, perché premuta dal tuo io profondo (annessi e sconnessi compresi, esplosioni e implosioni pure) che urge e reclama d’esprimersi.
Io conosco la Giulia che racconta storie ai bambini, che illustra e disegna per raccontare storie ai bambini, e conosce da tempo (e subito l’ha accettato perché è lei la prima a divertirsi) il trucco neanche tanto segreto: e cioé che se fai una cosa per i bambini quello che conta è che piaccia a loro.
Forse per questo sei così ‘fresca’.

“Molto fresca” disse “Bene, perché io quando volevo lodare una cosa dicevo che era fresca” (Luigi Meneghello, Piccoli Maestri, Mondadori, 1986)
E alla freschezza aggiungo la ‘leggerezza’, quella di Calvino nelle Lezioni Americane (Garzanti, 1988). La leggerezza che “fa in modo che la conoscenza del mondo diventi dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. (…) Con la grande preoccupazione di evitare che il peso del mondo ci schiacci” … Calvino parlava della poesia del De Rerum Natura di Lucrezio, ma… ‘così cerco, ci provo, nel mio piccolissimo’. Me l’hai anche scritto, in fondo, tra parentesi, ti ricordi?

E allora lasciami far correre la voce e invitare quelli ai quali piacciono le illustrazioni a entrare nel paese delle tue, un raro paese dal clima temperato (anzi, ben temperato, come si dice di un clavicembalo, e anche di un lapis…) senza torridi geli o orride calure, con quelle meravigliose mezze stagioni che non ci sono così più, da essere una battuta di cabaret.
Illustrazioni, paese, da guardare, come un prato visitato dalla rugiada, che mentre sei dentro e lo attraversi senti solo una leggera frescura ai piedi e quando lo lasci ti accorgi che invece te li sei proprio bagnati, i piedi… ma bastano quattro passi sui sassi e l’aria per farli tornare asciutti. No, non perché la rugiada non è acqua vera, ma perché la rugiada è leggera, è una carezza non una minaccia, non ha mai fatto male a nessuno, la rugiada, è un gioco non un’incombenza!… Come le tue illustrazioni, Giulia. Se poi ci metti che i piedi possono essere libri-piede…. Ciao. Giusi.

Biografia
Giulia Orecchia è nata nel 1955, il 27 luglio (e cioè due giorni prima del 29 … quando che matura il grano e è nata una bambina con una rosa in mano…), ma è poi vissuta sempre a Milano, studiando al Liceo Artistico di Brera (1969-1973) e alla Scuola Politecnica del Design (1973-1975) “dove c’erano Bruno Munari e Pino Tovaglia”.
Poi decide per l’università (lettere, storia dell’arte) ma scopre anche, grazie a Margherita Saccaro, che la cosa che le piaceva tanto fare (“…da piccola leggevo molto, ma prima guardavo sempre le figure: se mi piacevano, bene. Altrimenti ne immaginavo delle altre”) era un mestiere: l’illustratrice. Ma non c’erano scuole. Così inizia a fare l’assistente allo Studio Orti (G. Cingoli – N. Falcioni – M. Saccaro); impara a fare la grafica e l’illustratrice, lavorando per la pubblicità e per l’editoria (dalle Edizioni Tramontana alle collaborazioni con i periodici MODA e KING)…”Faccio un lavoro che mi piace e che mi diverte: speriamo di farcela e che duri”…
Il primo gennaio del 1980, va a vivere da sola: “dovevo e volevo mantanermi”. Ce la fa al punto di permettersi, nel 1982, viaggio e soggiorno a Berlino: tre mesi, sufficienti per dare l’esame di tedesco al Goethe Institut e per fare un’esperienza di lavoro in uno studio di urbanisti e architetti. Torna in Italia e pubblica il primo libro per bambini: CINQUE TOPINI, Coccinella Editore.
Prosegue, tra editoria per bambini, collaborazioni con riviste e pubblicità “che paga così bene”…. Finché nel gennaio del 1991, nascono “i gemelli”. Biograficamente molto comodi: la vita di Giulia ora si dividerà semplicemente in ‘prima dei gemelli’ e ‘dopo i gemelli’. E tra le novità e gli assestamenti del ‘dopo i gemelli’ c’è anche la scelta di fare solamente l’autrice, di libri, per bambini. Se non fosse gesto ormai rovinosamente televisivo, proporrei un applauso.

“Libri per bambini, perché mi piacciono i bambini, a piccole dosi. Mi piace guardarli, ascoltarli… sono dei folletti straordinari. Mi piace il loro gusto per i paradossi, per l’assurdo, mi piace farli ridere… Non ho mai cercato di fare le-belle-illustrazioni, ma figure curiose, buffe, tenere, che esprimano emozioni, sentimenti… che accompagnino il testo assecondandolo, a volte, e a volte contrastandolo.
Non sono mai veramente soddisfatta di quello che ho fatto, e spero sempre di migliorare, riscattarmi, con il lavoro successivo…
Cerco di mantenere la spontaneità del gesto nel segno…
E poi, i libri. Mi piacciono come oggetti. Mi piace progettarli, tenendo conto del numero di pagine, del tipo di carta, del formato. E, soprattutto, mi piace giocarci un po’, con pieghe, buchi, finestre, sorprese…”

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