Giulia Orecchia: Favole in punta di matita
Giulia Orecchia, mamma e illustratrice, descrive il fascino e le difficoltà del suo mestiere
Favole in punta di matita
Dal “Corriere della Sera”
Venerdì 10 Maggio 2002
“I miei figli da piccoli non volevano che disegnassi per gli altri bambini”
Sorride spesso e usa poche parole per parlare di sé: Giulia Orecchia, torinese che vive a Milano da sempre, dipinge favole per professione e riempie di colore i sogni dei bambini. Ha disegnato per romanzi e poesie di diversi scrittori italiani, da Roberto Piumini (I Dovinelli della Feltrinelli) a Bianca Pitzorno (Incantesimi e starnuti della Mondadori). Ama lo stile di Quentin Blake e Tomi Ungerer e il suo tratto leggero non tenta di riprodurre la realtà ma segue il filo della fantasia.
Quando ha iniziato?
“Tutto è cominciato al liceo artistico e alla Scuola Politecnica del Design. Terminati gli studi sono stata assistente di un grafico, ho lavorato in uno studio di cartoni animati e mi sono occupata di testi scolastici: in principio non è stato facile e ho fatto un po’ di tutto”.
Come mai ha deciso di dedicarsi esclusivamente all’editoria per ragazzi?
“All’inizio giravo negli uffici promozionali, nelle redazioni e nelle case editrici della città. Distribuivo equamente il tempo tra le varie collaborazioni, ma poi c’è stata una forte crisi nel settore pubblicitario. Anche le riviste hanno gradualmente abbandonato l’uso di illustrazioni: per fortuna sono rimasti i libri, la cosa che più amavo. La decisione di dedicarmi esclusivamente all’editoria per ragazzi si è resa definitiva dopo la nascita dei miei figli”.
Qual è stato il suo primo lavoro?
“Il primo volume pubblicato, che raccontava la storia di cinque topini, è uscito nel 1983 con la Coccinella, una casa editrice che stava costruendosi uno spazio di rilievo nel mercato dei piccoli.
Il gruppo milanese è rimasto per me un punto di riferimento importante, ma poi ho collaborato con moltissimi altri editori, italiani e tedeschi. è un lavoro che posso programmare abbastanza liberamente. Riviste e pubblicità avevano tempi stretti, che oggi non potrei rispettare a causa degli impegni familiari”.
Il mestiere di illustratore permette dunque di conciliare casa e ufficio?
“Certo, ma in compenso non garantisce un reddito fisso. E’ un lavoro precario, su cui è difficile contare, e passato l’entusiasmo dei primi libri pubblicati ci si trova in una condizione per certi aspetti pesante. Questo è vero soprattutto in Italia, dove chi disegna non si vede riconosciuti i diritti d’autore e ha assai poche certezze: per dedicarsi a tempo pieno ai libri per bambini bisogna mantenere numerosi contatti anche con l’estero, e naturalmente avere molta passione per il mestiere”.
Un po’ di stanchezza?
“Nonostante le difficoltà è una professione affascinante, perché mette in contatto con i bambini e l’ambiente editoriale, dove è possibile incontrare persone che amano davvero il proprio lavoro”.
Come nasce l’illustrazione nei libri destinati ai più piccoli?
“Spesso nasce prima del testo, contrariamente ai volumi per i più grandicelli. Si parte da un’idea cartotecnica, ad esempio un libro bianco con buchi concentrici a forma di stella, si sviluppa una sceneggiatura, si disegna e come ultima cosa si scrive la sceneggiatura o il racconto. Talvolta è necessario adattarsi alle proposte degli editori, oppure presentare progetti originali. Io cerco di fare cose rapide e vive. Mi interessa soprattutto la comunicazione emotiva con il bambino”.
E il suo rapporto con i figli?
“Da piccoli erano molto gelosi, non volevano che disegnassi per gli altri. Adesso sono fieri di me, un giorno forse criticheranno…”
Il libro che ha illustrato più volentieri?
“In questo momento sono particolarmente affezionata a Rima rimani di Bruno Tognolini (Salani), un autore con il quale mi sento in perfetta sintonia” .
E lo scrittore per cui vorrebbe disegnare?
“Credo sarebbe bellissimo illustrare Italo Calvino”.
Mara Pace
Cronaca di Milano
Corriere della Sera