Intervista a Giulia Orecchia

Da “Pepeverde”
novembre 2002

Perché hai scelto questo lavoro?
Adoravo disegnare e mi sembrava meraviglioso poter fare un lavoro che consistesse nel disegnare tutto il giorno.
Mi piacevano i libri, come oggetti, piccoli prodotti industriali contenitori per qualsiasi cosa.

Perché illustrazioni per bambini piuttosto che per adulti?
I bambini sono fantastici, mi piacciono.
Sono dei folletti che guardano gli adulti da un’altra dimensione, sono sinceri, diretti, amano i paradossi, sono affettivi.
Poi mi piace mettermi alla prova, avere il compito di cercare un linguaggio visivo adatto a un pubblico piccolo, raccontare ed entrare in contatto con loro, dal loro punto di vista, dalla parte dei bambini.

Quali scuole ti hanno formato?
Il liceo artistico, erano anni di bombe, assemblee e manifestazioni,
si parlava del ruolo dell’artista nella società, l’arte era morta, l’arte era borghese, saremmo finiti a vendere saponette…
Poi il corso di visual design alla scuola politecnica
I programmi come alla Bauhaus: le teorie del colore, la psicologia della percezione, il disegno dei caratteri, la fotografia, ma soprattutto grandi maestri, Munari, che io già adoravo per aver letto con passione i suoi libri, Silvestrini che parlava delle teorie del colore come di filosofiche visioni del mondo, Pino Tovaglia, grafico di quelli storici degli anni ’60, e tanti altri.
Lavoravamo con un linguaggio essenziale, astratto, ma applicavamo i principi della psicologia della percezione creativamente. Forse per questo non amo e non so fare illustrazioni elaborate e pittoriche, ma preferisco lavorare velocemente, far sì che si percepisca il gesto nel segno, anche imperfetto purchè espressivo e essenziale.
C’era una libreria sotto la scuola, dove passavo ore a guardarmi i libri della Emme Edizioni, di Bruno Munari, di Enzo Mari, di Pinin Carpi.
Adesso a distanza di tanto tempo mi rendo conto di quanto siano stati fondamentali e formativi quei pochi anni.
Fare libri mi era sembrato un modo per far coincidere tutto: l’arte, che era morta, l’arte come mestiere di Bruno Munari, l’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica, la fantasia al potere, l’opera aperta di Umbrto Eco, il mondo incantato di Bruno Bettelheim, il ramo d’oro di Frazer, le fiabe italiane raccolte da Italo Calvino…
Ma lavorare era un’altra cosa…Mica ho fatto subito libri! Magari!
Ho iniziato a girare con la mia cartellona, ho conosciuto gli illustratori che lavoravano a Milano, ho fatto l’assistente, la grafica e l’illustratrice free-lance per riviste e agenzie di pubblicità.

Quali sono i tuoi illustratori preferiti?
Tanti, Tomi Ungerer, Saul Steinberg, Sempè, Sto del signor Bonaventura, Quentin Blake, Buzzati dalla famosa invasione degli orsi in Sicilia, Edward Lear dei nonsense, G orey, Sendak, Leo Lionni, Eric Carle….

Perché?
Mi piacciono le illustrazioni ironiche ed espressive, mi piace la narrazione visiva.

I grandi illustratori hanno sempre, qualunque tema affrontino, una loro riconoscibilità, un loro stile personale. Anche tu ce l’hai. Cosa pensi allora della versatilità, della capacità e necessità di cambiare, modularsi, secondo il diverso tema da illustrare?
Io non credo di avere uno stile, ogni lavoro che affronto mi sembra abbia bisogno di un suo linguaggio speciale, sono poi i miei limiti che fanno sì che i miei disegni siano riconoscibili.
Se si spiega come fare una torta, o se si illustra una poesia, il linguaggio non può essere lo stesso, viene da sé.
Questo lavoro dell’illustrare ognuno lo affronta come sa e può, sono tante le variabili, è un lavoro d’autore ed è anche un mestiere. Rimane il fatto che si tratta di illustrazioni e non di opere d’arte, quindi è la comunicazione che deve essere privilegiata su qualsiasi esibizione di bravura fine a sé stessa.
Io apprezzo chi lavora con serietà e passione. Un libro per bambini non è una vetrina per l’illustratore ma è un libro per bambini.

Raccontaci come affronti un testo impegnativo (per esempio, come illustreresti Pinocchio?)
Immagino di avere un bambino in braccio, e di raccontargli la storia con delle figure che lui possa leggere, cercando un linguaggio visivo che sia analogo a quello letterario e aggiunga la mia emozione e la mia lettura del testo.
Purtroppo mi è capitato raramente di illustrare veri testi letterari, o forse per fortuna, perché i lavori impegnativi mi spaventano da morire. I testi che ho amato hanno evocato illustrazioni più intense.
Entrare in un testo è un’avventura interiore, un viaggio molto affascinante nei mondi evocati dall’autore.

Cosa ne pensi dell’editoria italiana?
Escono tantissimi libri bellissimi… la qualità è sempre più alta. Però sono troppi, libri meravigliosi scompaiono dagli scaffali delle librerie perché la nuova produzione incalza…e per produrre sempre nuove cose si fanno anche tanti libri inutili.

Ti ricordi di qualche libro della tua infanzia? Cosa leggevi (fumetti, giornalini, libri illustrati…)?
Ero una bambina timida e introversa, quindi leggevo tantissimo. Adrienne Segur aveva illustrato un libro di fiabe russe magico e affascinante, I racconti della neve, che era il mio preferito.
Poi amavo un libro di fiabe da tutto il mondo, Il tesoro nascosto, con figure bellissime, etniche, e Mary Poppins, con quei disegni molto inglesi.Verso i 10 anni ho scoperto il Corriere dei Piccoli, così ho conosciuto Iris de Paoli, Grazia Nidasio, Hugo Pratt, di Gennaro, Gioia, Toppi, Uggeri, Battaglia…ho imparato molto senza accorgermene.

Hai fatto molti laboratori con i bambini. Cosa ti dà questa esperienza? E cosa dà loro?
Starmene sola in studio a lavorare tutto il giorno tutti i giorni mi fa perdere un po’ il senso della realtà.
Andare ogni tanto nelle scuole e lavorare con i bambini è una bella cura. Fare la direzione artistica di una truppa di 25 piccoli illustratori mi piace tantissimo, è divertentissimo. Loro sono fantastici, si entusiasmano, producono vere meraviglie e poi mi baciano. Quando mi incontrano per strada mi salutano gridando “Ciao Giuliorecchia!! Quando torni a lavorare con noi? ”
Si riesce anche a fare dei bellissimi lavori, basta vietare l’uso di pennarelli, gomma e matita! Mettendo a disposizione dei bambini altri mezzi espressivi, i risultati sono sorprendenti e interessantissimi.

Hai due figli di dodici anni. Che rapporto hanno con i libri e la lettura in generale?
Quando erano molto piccoli i libri per bambini li disfavano, li lanciavano per la stanza, li usavano per fare costruzioni o li ignoravano ostentatamente. Erano gelosi e mi chiedevano acidi se i disegni li facevo “anche per gli altri bambini”. Un giorno mi hanno portato una pila di libri miei e mi hanno comunicato che potevo tranquillamente regalarli a qualcuno perché tanto a loro non interessavano per niente. Io ho letto loro ad alta voce tutte le sere, per 8 o 9 anni, di tutto: fiabe, Pinin Carpi, Rohald Dahl, Collodi, Calvino, tutti gli Harry Potter e ancora tanti tanti altri; piaceva a me e piaceva anche a loro. Risultato, per ora: per addormentarsi devono leggere Topolino, amano i libri scientifici, storici, ma evitano come la peste la narrativa.

Cosa leggono i bambini di oggi, cosa preferiscono?
Ogni bambino ha il suo carattere e i suoi gusti…. Ci sono bambini che amano i libri e leggono e bambini che ignorano i libri e non ne leggono mai. Sono abituati a cose veloci, si stancano presto e hanno la fortuna di avere a disposizione migliaia di libri bellissimi.
Mi sorprende sempre, invece, l’effetto immediato di silenzio e attenzione suscitato dalla lettura ad alta voce, che piace tanto a tutti.

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