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Mondo Tarocco
Mondo Tarocco
di Domenica Luciani
Feltrinelli
collana Feltrinelli Kids
Il gatto nero
2011
Meet Mrchameleon
Avete mai avuto l’impressione di essere invisibili? Io spessissimo (praticamente mi capita ogni giorno) e, mondo puzzone, vi assicuro che è una roba tristissima.
Naturalmente dovete scordare tutte quelle magiche menate stile Harry Potter. Tanto più che a me non occorre nemmeno indossare il mantello dell’invisibilità, visto che ce l’ho addosso in dotazione da quando sono nato.
Vedi la giornata di oggi: stamani, a scuola, la prof di arte distribuisce a ciascuno dei miei compagni il foglio che devono firmare i genitori per l’autorizzazione alla prossima uscita didattica (visita del Museo della ceramica). Evidentemente ce n’è uno di meno, perché a un certo punto ce l’hanno tutti tranne me. E vi dirò di più: se restassi zitto, non se ne accorgerebbe nessuno, nemmeno la prof.
Ma non è finita: mentre torno da scuola, sottocasa, incrocio sulla pista ciclabile Tony che fila sui suoi roller-blade. D’accordo, sono vestito di grigio e quindi mi mimetizzo bene col marciapiede. In più, cammino a piedi, col mio solito passo incerto da lombrico rintontito. Però gli dico: ‘Ciao’, forte e chiaro. E lui? Non solo non mi risponde, ma mi sfreccia pure accanto a meno di un millimetro come un Eurostar, a rischio di mandarmi a gambe all’aria.
Più tardi, a tavola, non riesco a spiccicare parola. Non perché abbia la bocca piena, ma perché Dantuccio, come al solito, monopolizza la conversazione. Lui riesce a incantare tutti (i nostri genitori in prima fila), recitando le sue poesie e imitando voci di gente svariata.
Le poesie gli vengono con un’ispirazione improvvisa, che in genere si manifesta quando gli scappa la cacca (come dire, vogliono uscire in simultanea, solo le prime dalla bocca e l’ultima… be’, sapete da dove).
Oggi declama ‘un’Ode all’imbuto’ che dice:
Imbuto, trombone un po’ sparuto,
per quanto tu sia muto,
mi sei sempre piaciuto,
sottile e poi panciuto.
E’ inoltre risaputo,
che fai passare tuto:
perfino un grosso sputo,
in te introdotto, oh imbuto,
va giù senza il mio aiuto
nel tunnel che è un velluto
e quando lo ha compiuto
può dir di aver vissuto.’
– Ma è fantastica! – esclama il babbo.
– Vado a scriverla – dice la mamma correndo a prendere il suo bloc-notes. – E’ un capolavoro!
Dantuccio però si stringe nelle spalle:
– No, non è un capolavoro – ammette. – Quella rima con ‘tutto’ non tornava, perciò ho dovuto rimediare con una parola che non esiste. Ho pensato che andasse bene anche così, dato che non sono riuscito a trovare di meglio.
Il babbo allora interviene con gli occhi scintillanti:
– Tesoro! Hai fatto una licenza poetica senza saperlo, sei davvero un piccolo genio!
– Licenza come quella di caccia? – chiede lui.
– Più o meno – spiega il babbo: – ti sei preso una libertà, solo non di acchiappare animali, ma di modificare una parola in modo che faccia rima.
Malgrado abbia un vocabolario impressionante, anche il piccolo genio necessita di qualche delucidazione, ogni tanto. Be’, dopotutto ha solo quattro anni.
L’exploit di Dantuccio ci intrattiene fino all’arrivo del dessert (panna cotta). Dopodiché fa il suo ingresso in scena Emanuele, l’altro mio importante fratello, di ritorno dagli allenamenti in piscina. Con piglio cupo annuncia:
– Oh, gente, se continuo così, l’anno prox finisco di sicuro agli euro.
Intende ovviamente gli ‘europei’ dell’anno ‘prossimo’. Mio fratello abbrevia ogni parola per risparmiare fiato, che gli serve troppo per stabilire nuovi record di nuoto.
Infatti poi spiega:
– Ho fatto un tempo bestia nei cinquecento dorso. L’alle ha detto che sono un feno.
– Eh, lo sappiamo che sei un fenomeno! – fa la mamma tutta gongolante.
E il babbo rincara la dose:
– Se poi diventi campione europeo, Dario ti dedica una poesia, vero Dario?
Ma Dantuccio scuote energicamente la testa e fa una pernacchia.
– Non scrivo poesie per quello lì – ringhia.
– Embé, sai chi se ne fre (gra) – ribatte Emanuele, dimostrando di saper fare la rima pure lui.
Infatti quei due sono come cane e gatto. Logico: fra le megastar di casa cova sempre una feroce competizione.
Fatto sta che, alla fine del pranzo, la mia presenza a tavola può essere dimostrata solo da un piatto sporco e da un tovagliolo appallottolato. Per il resto, è come non ci sia mai stato.
Ma la ciliegina sulla torta arriva alla sera, all’ora della buonanotte. Dopo aver guardato la televisione con gli altri, rimango sul divano del salotto a sfogliare la guida tivù. La mamma accompagna a letto Dantuccio, Emanuele si fionda nella sua camera e il babbo, uscendo dalla stanza, canticchia il jingle di un dentifricio supersbiancante e spegne la luce come se nulla fosse. E io lì, in bella vista sul divano, resto al buio, in preda a una strana perplessità.
E’ vero che grido:
– Ehi, riaccendi, ci sono io!
Però ci metto qualche istante di troppo a protestare e il babbo, nel frattempo, si è già chiuso in bagno per i suoi lavaggi serali.
Esco dal salotto buio e vado in camera mia, scivolando nel corridoio come un fantasma malinconico. Come ogni sera, aspetto le undici con la fronte incollata al vetro della finestra, anche se casco dal sonno.
E finalmente, alle undici e cinque, il quadrato di fronte si illumina e io la vedo entrare volteggiando, leggera come una farfalla attirata dalla luce. Ha il gatto bianco in collo, il cellulare rosa all’orecchio e una fascia azzurra che le copre in parte i capelli biondi. Purtroppo, stavolta va sparata alla finestra e tira subito giù l’avvolgibile, facendo calare il sipario su quel meraviglioso spettacolo.
Naturalmente non si è accorta di me, o comunque non ha fatto caso a quella comunissima faccia di ragazzo che la fissava come un ritratto dalla finestra del palazzo di fronte.
Del resto, se sei invisibile non c’è neanche bisogno di tirare le tende.
* * *
Il pomeriggio del giorno dopo è dura fare i compiti con l’aspirapolvere di Estella che fa un fracasso infernale. Se la trascina dietro in ogni stanza, reggendo il cavo come fosse lo strascico del suo vestito – però non da sposa, perché è bruttissima (ha i capelli come lana d’acciaio) e non esiste proprio che uno se la porti all’altare.
Quando entra in camera mia, pretende che sollevi i piedi dal pavimento e mi accucci sulla sedia come un gatto. Infatti lei è una delle poche persone che si accorge di me.
– Vittorio, tu mi escusa – dice, – ma tu fai il tuo lavoro e io faccio il mio.
– Uff, va bene, Estella – dico io, cacciandomi le gambe sotto il sedere.
Fruga in ogni angolo della mia stanza, alzando la trapunta del letto e tirando calci alle scarpe disseminate per terra. Poi spegne l’aspirapolvere e l’appoggia al muro. Mi si avvicina e prende a fissarmi la faccia incuriosita, zoommando verso il mio naso.
– Che c’è? – faccio io, sollevando la testa dal libro di biologia.
Lei non mi risponde, ma invece si inumidisce un indice con la saliva e me lo appoggia sulla punta del naso. Mondo sclerato, che schifo!
Faccio uno schizzo per aria e, data la sedia supermolleggiata, vado quasi a sbattere la testa contro il lampadario (abbiamo soffitti bassissimi, prima o poi si scoprirà che la nostra casa è stata progettata per una famiglia di nani).
Estella resta impassibile e invece si fissa il polpastrello, dove, mi accorgo, è rimasto incollato un mio ciglio. Poi se lo infila in mezzo a quei due grossi airbag che ha sul davanti.
– Ecco qua – dice, – sono custode di un tuo desiderio segreto.
– Ehhh?
– Magari non ancora – specifica, – ma lo diventerò presto. Perché una piccola parte di te è qui, vicino al mio cuore.
Scoppia a ridere forte, e così rido anch’io, anche se la cosa, a veder bene, è leggermente inquietante. Spero che sia uno scherzo, i miei segreti non deve saperli nessuno e tantomeno la nostra colf.
A proposito di desideri segreti, devo farmi forza e telefonare a Leo Spighi. In classe parlano tutti della festa che darà per Carnevale: pare che inviterà un sacco di ragazze, fra cui le bellone della scuola. E’ chiaro che ci sarà anche Grazia, ma purtroppo non è altrettanto chiaro che ci sarà il sottoscritto. Perlomeno, finora nessuno si è degnato di chiedermi se mi va di essere della compagnia.
Non appena Estella e l’odiosa aspirapolvere si sono levate dai tre passi, mi alzo e chiudo la porta. Poi acchiappo il cellulare e faccio il numero col dito un po’ tremante. Infatti mi rompe un sacco chiamare il VIP della scuola, che di sicuro manco si ricorda nemmeno chi sono.
– Eccomi! – fa lui dopo il primo squillo.
– Ehm, Leo, sono io, Vittorio Bonsanti della seconda B – dico. Lo devo specificare perché dubito proprio che Leo Spighi abbia il mio numero memorizzato in rubrica.
Ma lui si mette a gridare, con una voce che va e che viene come la marea:
– Non sento nulla, miseriaccia, non c’è campo!
– Sono Vittorio! – grido. – Mi senti?
– Chiunque tu sia, sono in treno, sotto una galleria! – continua a gridare. – A proposito.. chi è? Non sento un cavolo!
Che la gente non mi veda, passi. Ma che non mi senta nemmeno…!
Vorrei fare qualche altro tentativo, ma lui mi riattacca in faccia e io sono quasi sollevato.
Mi rimetto a studiare gli organismi monocellulari, che sono praticamente come me: esseri assolutamente insignificanti, a volte dotati di ciglia (non so se collezionate dalle loro colf), che si muovono affannosi in acque torbide e che nessuno vede, se non col microscopio.
Be’, perlomeno sono studiati e questo li rende un po’ interessanti.
Ma non posso farci nulla: mentre fisso la pagina del manuale di biologia, dalla foto di un paramecio azzurrino vedo affiorare il viso divino di Grazia. Cioè, più che altro vedo la sua cascata di capelli biondi talmente folti e lunghi da sembrare taroccati con le extension – ma invece sono naturali! O meglio, questo è quello che spero: non vorrei, un domani che glieli potessi carezzare, ritrovarmi con qualche ciuffo in mano e farle lo scalpo.
Insomma, mi torna in mente la festa e così mi viene un’altra idea. In realtà, un metodo indolore per informarsi se io sia o no nella lista degli invitati al party dello Spighi c’è… Oltretutto, l’orologio mi conferma che questa è proprio l’ora giusta.
Cambio rapidamente postazione, mi fiondo sulla sedia del computer e accendo il PC. Entro nella room della seconda B con un nick che non conosce nessuno: ‘Mrchameleon’. Come prevedevo, è il momento della chat pomeridiana per alcuni miei compagni di classe. Ho anche buon gioco, visto che stanno discutendo proprio di travestimenti (immagino appunto in vista della festa). Io per il momento non intervengo, ma attendo l’occasione buona per farlo.
Ed ecco il dibattito:
Ladyjen: ‘Sì, xò, Lara Croft è troppo scontata…’
Muskolo: ‘Immaginati ke il Chiappi si vuol vestire da Zorro!’
Redcherry: ‘Ki è Zorro?’
Ladyjen: ‘Cretiiina!’
Redcherry: ‘Sul serio, nn so ki sia!’
Koppothebest: ‘Zorro è una specie di bandito mascherato.’
Redcherry: ‘Anke lui era invitato a una festa d Carnevale?’
Ladyjen: (>__<)
Muskolo: ‘A prop della festa, sapete se Leo ha invitato anke Marika?’
Ladyjen: ‘Certo, quella ha le tette come lasciapassare!’
Ecco l’occasione buona! Mi inserisco a palla:
Mrchameleon: ‘In classe vostra sno stati invitati proprio tutti?’
Koppothebest: ‘Ki 6? Nn conosco questo nick! Qualcuno di voi lo conosce?
Redcherry: ‘Io nn so ki sia’
Muskolo: ‘Tanto x cambiare’.
Io racconto una palla, come previsto:
Mrchameleon: ‘Sno d III A. In classe nostra alcuni nn sono stati invitati… Leo è un po’ selettivo. Così, mi kiedevo se fosse lo stesso x voi di II B’
Ladyjen: ‘Sì, infatti. Melania nn è stata invitata.’
Muskolo: ‘Xké ha 13 anni e ne dimostra 8’
Koppothebest: ‘Neanke il Bonsanti’.
Come da manuale. Decido di defilarmi seduta stante, anche se so che questo desterà dei sospetti. Ma qui c’è qualcuno che vuole infierire: ‘Muskolo’, a.k.a. l’Alfieri, che deve fornire una spiegazione del fatto che io non sia stato invitato. Non posso fare a meno di leggere:
Muskolo: Xké è uno ke nn sa neanke di H2O a 37-.
Redcherry: ‘Ehhh???’
Muskolo: ‘Nn sa neanche d’acqua calda!’ :)))
Koppothebest: ‘Secondo me, xò, Leo nn si è proprio ricordato di lui’.
Ladyjen: ‘Poeruccio’.
Redcherry: ‘Io nn rikordo nemmeno cme fa d nome.’
Ladyjen: ‘Vittorio?’
Koppothebest: Già, giusto.
Muskolo: ‘Cmnque nessuno lo kiama mai x nome. E poco anke x cognome.’
Mrchameleon:
Esco dalla stanza virtuale e mi ritrovo in quella reale: camera mia, dove purtroppo sono costretto a riprendere la mia vera identità.
Cioè, la mia vera nullità.
…continua…