Sii forte, Adelasia

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Sii forte, Adelasia

di Sofia Gallo
Notizie e curiosità storiche a cura di Elena Frontaloni
Gruppo Editoriale Raffaello
2006

Adelasia è una ragazzina dodicenne che vive in un palazzo signorile agli inizi del Quattrocento a Pienza, importante città dello Stato Pontificio. Prigioniera di rigide regole di comportamento Adelasia non ha voce in capitolo per determinare il suo destino. Accetta dunque la vita che altri disegnano per lei e si trova, quasi senza rendersene conto, chiusa nel convento della prozia e poi “liberata” a causa della malattia della sorella Donata che nessuno riesce a curare. Quando la prozia badessa le annuncia il suo rientro a casa, Adelasia non può immaginare il nuovo corso che prenderà la sua vita…

Per un po’ il tempo trascorse senza novità finché un mattino la prozia mi fece chiamare in parlatorio. Aveva una faccia che non prometteva nulla di buono.
Si strofinò le mani e disse: “Ho ricevuto una lettera da casa tua. Poi ne ho un’altra indirizzata direttamente a te. è qui da un po’ e io non l’ho aperta, ma le regole del convento proibiscono alle educande di ricevere posta. Adesso te la posso dare perché il periodo della tua permanenza qui è finito”.
“Non capisco…”, accennai timidamente.
La prozia si alzò, si sistemò il velo, sospirò, poi continuò con aria mesta:
“Donata sta molto male e tuo padre manderà domani una carrozza a prenderti. Vuole che tu la saluti prima che Nostro Signore l’accolga in cielo, dove certamente lei andrà come tutte le ragazze buone e generose”.
Scandiva le parole mentre mi parlava e al “buone e generose” mi gettò un’occhiata di traverso a sottintendere che io non meritavo il paradiso come mia sorella.
Chinai la testa e non dissi niente. Se avessi parlato sarei scoppiata a piangere e non volevo, lì davanti a lei.
“Non tornerai più qui – continuò lei -. Forse per te è un bene o forse no. Non sono ancora riuscita a conoscerti a fondo, ma mi piacevi e mi mancherai. Prendi con te il libro che stai decorando. Serbalo come ricordo”.
Detto questo, estrasse una lettera dalla tasca della veste, me la porse, mi appoggiò lievemente una mano sulla testa e aggiunse: “Ora vai a prepararti. Fermina ti ridarà le tue cose”.
Poi si allontanò con passo pesante.
Un nodo mi strinse la gola: mille pensieri si confondevano in testa.
Dunque finiva così la mia vita da suora. Tutta questa fatica per niente. E Donata? Avevo sperato tanto che guarisse e invece…
Che cosa mi aspettava a palazzo? Gli ordini della zia Carolina, Arnaldo, i pettegolezzi della servitù, il frusciare leggero dei vestiti di mia madre, gli sguardi di Manfredi, i tasti metallici del clavicordo, l’eco di quel tremendo delitto…Tutto mi sembrava lontanissimo come se fossi mancata da palazzo non da un anno, ma da dieci o forse più.
Stavo lì immobile stringendo la lettera in mano; frastornata.
Proprio allora udii dei colpi di batacchio sul portone; sollevai il lembo della veste e volai ad aprire. Arrivai col fiato grosso prima della suora portinaia e mi trovai di fronte la ragazza dai capelli arruffati con la sua gerla vuota. Le guardai le gambe magre: erano piene di lividi; anche un occhio era pesto e le labbra gonfie. Mi tese la mano con il foglio di pergamena che le avevo dato, piegò le ginocchia, mi fissò con gli occhi tristi e cadde a terra. La gerla le rotolò a fianco.
“Aiuto! – gridai – Qualcuno mi aiuti”.

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