Topo di biblioteca

Topo di biblioteca
Giovanni Caviezel

La passione di Topicchio

La biblioteca era chiusa, anche l’ultimo bambino che si era attardato a leggere oltre l’orario di apertura se n’era andato da un pezzo. Topicchio entrò da un buchetto che sapeva proprio sotto il portone, e attraversò velocissimo l’atrio. Infilò il breve corridoio che conduceva alla sala di lettura, girò a destra del secondo scaffale e piombò su una pila di grandi libri che riposavano l’uno accanto all’altro, in cima a uno schedario rosso coperto di polvere.
Da anni quei libri erano stati dimenticati lassù, e nessuno se ne ricordava, a parte Topicchio che anzi li teneva in grandissima considerazione. Tutte le sere il topo di biblioteca correva a sbirciare le figure dei libri e cercava di immaginarsi la storia senza poterla leggere perché, purtroppo, era analfabeta.
Le figure di quei libri erano molto belle, e in particolare magnifiche quelle del Libro Azzurro. Così Topicchio chiamava il più grosso di quei volumi: un cartonato di quarantotto pagine con la copertina celeste e vivaci disegni a colori.
Spingendo e tirando con le zampine, il topo sistemava il Libro Azzurro contro il muro, lo apriva e piano piano lo sfogliava, fino ad arrivare alla fatidica pagina quarantacinque, la sua preferita. Qui campeggiava una grande illustrazione che comprendeva nell’ordine:
un grande bosco verde attraversato da un sentiero giallo;
una casetta rossa in cima alla pagina, circondata da alberi colorati in diverse tonalità di verde;
un’altra casetta (gialla) collocata in fondo alla pagina, anch’essa circondata dagli alberi;
un bambino e una bambina con un cestello di provviste, ben disegnati nel mezzo della pagina e diretti verso la casetta gialla.
Questo disegno piaceva moltissimo a Topicchio perché gli permetteva di fantasticare e immaginare che cosa stesse accadendo proprio dentro l’illustrazione.
Il topo di biblioteca pensava che i due bambini fossero diretti verso la casetta gialla dove probabilmente si trovava una nonnetta malata, oppure degli amici, o addirittura i genitori dei piccoli.

Un altro pensiero di Topicchio era costantemente rivolto al cesto delle provviste: che cosa conteneva? Probabilmente buon formaggio, e forse pane; quasi certamente biscotti. Più Topicchio guardava l’immagine, più gli piaceva. Anzi, a volte, guardando il cestello, gli veniva pure una gran fame. Dopo un’oretta di contemplazione, il topo richiudeva il Libro Azzurro, lo rimetteva a posto e se ne andava senza dargli neanche una rosicchiata: infatti sapeva che i libri (e in particolare il Libro Azzurro) devono essere tenuti in gran conto, e si possono mangiare solo in caso di estrema necessità.

Quel giorno, come al solito, Topicchio sbirciò i libri più amati, poi cominciò a sfogliare il Libro Azzurro. Arrivato a pagina quarantacinque, si mise a studiare l’illustrazione del boschetto. E qui gli venne quasi un colpo, perché era successa una cosa davvero strana: dietro i due bambini, in mezzo ai cespugli, si vedevano chiaramente due figure che – Topicchio l’avrebbe potuto giurare – il giorno prima non c’erano affatto. Le due figure rappresentavano due ceffi tremendi, armati di bastoni nodosi e pesantissimi – almeno così gli sembrava – e spiavano i due bambini, standosene ben nascosti tra le foglie. Uno era un lupone spelacchiato e grigio, con una benda sull’occhio, e l’altra era una volpe sogghignante, con un cappello piumato sulla testa.
Topicchio si aggrappò forte al libro e guardò attentamente: era proprio vero, le due brutte figure stavano lì, immobili, a una certa distanza dai due bambini; inquietanti e minacciose, seminascoste fra i rami del cespuglio.
Molto preoccupato, ma incapace di decidere il da farsi, il topolino richiuse il libro e se ne ritornò pensieroso alla sua tana e si coricò. La sera scendeva pian piano, e mentre rosicchiava una crosta di formaggio, di colpo si addormentò nel lettino.

 

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