Zaina, figlia delle palme e altre fiabe giordane
Zaina, figlia delle palme e altre fiabe giordane
di Sofia Gallo e Barakat Rabie
con testo arabo a fronte,
illustrazioni di Elena Cannas
Sinnos editrice
2009
Un fiore nel deserto
Ida come tutte le ragazze in fiore, amava, quando era sola, guardarsi di nascosto allo specchio. Si guardava e riguardava, ma più lo faceva più si sentiva brutta e si disperava e non bastavano le parole della mamma a consolarla.
“Sei la più bella del mondo”, le diceva accarezzandole i capelli.
Ida faceva spallucce e una lacrima scivolava sul suo viso.
Fu così, finché nel villaggio arrivò un uomo giramondo con una grossa sacca sulle spalle, che di mestiere faceva il commerciante di nomi.
Ida gli andò subito incontro e lo abbordò:
“Voglio un nome che mi faccia diventare bella”, disse e lui estrasse dalla sua sacca un appellativo luccicante, Targhila.
Targhila nei tempi antichi era una principessa del deserto di leggendaria bellezza, e fu cosi che Ida cambiò nome.
Crescendo diventò la più bella d’Oriente, cavalieri e poeti decantavano il suo fascino e le sue lodi attraversavano deserti e città finche giunsero alle orecchie del sultano, che ammagliato dai racconti e dai versi che descrivevano il suo impareggiabile splendore, decise di rapire Targhila.
Mandò dunque i suoi guardiani a prenderla per condurla a lui nel suo dorato palazzo.
Il re appena la vide nella sua delicata bellezza, si invaghì dei suoi occhi da gazzella e la prese in moglie. Targhila, però, restava indifferente allo sfarzo della corte e alla magnificenza delle stanze del palazzo del sultano, tuffato tra giardini di mandorli e peschi e diventò sempre più triste.
Le mancavano gli spazi infiniti del deserto e il silenzio di Hamada, sognava con struggente nostalgia le tende in balia del vento, le carovane e i racconti nelle notte, rimpiangeva persino le furiose tempeste di sabbia e il calore infuocato del sole.
Il sultano non la lasciò andare via e lei visse con lui, come una prigioniera, coperta d’oro, ma con l’animo incatenato.
Passò tanto tempo e trascorsero anni interminabili, ma la malinconia non abbandonò la ragazza.
Una notte, contemplando il nero mantello stellato del cielo, Taghila vide la stella di Suhail, quella che accompagna con la sua luce i passi dei nomadi nelle loro lunghe camminate notturne e le confidò il desiderio di tornare libera.
La richiesta era così accorata e intensa che Suhail si arrestò nel bel mezzo del cielo per ascoltarla meglio e la illuminò di tutti suoi raggi per scorgerne l’espressione del volto.
Il giorno dopo, attorniata di cortigiane, Taghila andò a fare compere nel Bazar e rivide quell’uomo che le vendette il nome quando era piccola.
“Voglio comprare un nuovo appellativo”, disse lei e lui la invitò a frugare nella sacca che portava appesa al collo.
Taghila rovistò a lungo finche trovò il vecchio nome di Ida e se lo strinse forte al petto.
“Perderai tutte le tue ricchezze” le disse il venditore.
Ma Ida accettò ridendo e tornò serenamente a essere la bambina che giocava nell’oasi, forse brutta, forse no, ma in ogni caso la più felice di tutto l’Oriente.